Habemus Ratzinger
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2011)
Habemus Papam: quello vero, in anteprima mondiale a rispondere alla Tv a sette domande di telespettatori. Non è una diretta, tutto è stato preregistrato nel palazzo apostolico, ma resta uno scoop della trasmissione “A sua immagine” l’aver portato il pontefice ad un colloquio con gente di tutto il mondo. Perché le domande non venivano soltanto dall’Italia, ma anche dal lontano Giappone e persino dai musulmani della Costa d’Avorio.
Però non è neanche il trionfo della spontaneità. La disponibilità di papa Ratzinger si inserisce in una strategia di public relation dopo le crisi cicliche del pontificato, culminate l’anno scorso quando la Chiesa è stata scossa dagli scandali degli abusi sessuali.
PER APRIRE una nuova pagina di comunicazione nel 2010 i collaboratori del Papa hanno dato il via al libro-intervista con il giornalista tedesco Peter Seewald e ora è stata varata l’operazione Venerdì Santo.
Habemus un pontefice, che con la consueta chiarezza e semplicità, affronta concetti teologici complessi: il senso del dolore nel progetto divino, la discesa agli inferi di Cristo dopo la morte, il suo corpo dopo la resurrezione. C’è anche, tra i quesiti, un argomento che consente una discreta scivolata nella politica italiana con un riferimento implicito al testamento biologico.
Una madre parla del figlio in stato vegetativo dal 2009. Replica Benedetto XVI che “certamente l’anima è ancora presente nel corpo”. E’ come una chitarra le cui corde sono spezzate e non si possono suonare, dice il pontefice. Eppure, “io sono sicuro che quest’anima nascosta sente in profondità il vostro amore, anche se non capisce le parole”. E perciò la presenza dei genitori è un atto di grande valore, “entra nella profondità di quest’anima nascosta” ed è testimonianza di fede in Dio oltre che di rispetto della vita e di “amore per un corpo lacerato, un’anima sofferente”.
Risposta delicata, ma certamente tale da suggerire che male fanno quanti in parlamento chiedono l’autodeterminazione del paziente nell’interrompere i trattamenti medici quando si è in stato vegetativo persistente. D’altronde la posizione di Benedetto XVI quella è, e non cambia.
TREMILA DOMANDE sono arrivate in redazione, sette ne sono state scelte. Una bimba del Giappone parla della sua paura, della casa che ha “tremato tanto, tanto”, dei coetanei morti. E’ la domanda terribile sulla “teodicea”, la giustizia divina nelle catastrofi che colpiscono vite innocenti. Dal terremoto di Lisbona nel 1755 ai lager di Auschwitz è l’interrogativo che continua a tormentare lo spirito europeo. Risponde il Papa che è importante sapere che “Dio mi ama, anche se sembra che non mi conosca”. Un giorno la bimba capirà che “questa sofferenza non era invano, ma che dietro di essa c’è un progetto di amore”.
Procede così - oscillando tra la catechesi e la consolazione del buon parroco, un po’ filosofia, un po’ teologia - il ping pong delle domande e delle risposte. Al fondo si ha l’impressione che Benedetto XVI non ami molto questo genere di dialogo, spezzettato in mollichine dove grandi temi non permettono il dispiegarsi di pensieri complessi. Il Papa appare molto stanco, il viso poco espressivo (sorride soltanto quando gli comunicano che c’è l’ultima domanda). Due settimane fa, alla presentazione di un documentario polacco su Giovanni Paolo II si presentava molto più vigoroso.
Una donna musulmana della Costa d’Avorio parla delle tensioni interetniche ed interreligiose. E qui papa Ratzinger sembra animarsi di più. Perché tocca un tema centrale della sua predicazione: la violenza non porta da nessuna parte, la pace si crea con i mezzi della pace. Cristo “è venuto debole, è venuto solo con la forza dell’amore, totalmente senza violenza fino ad andare alla croce”. E questo, sottolinea il pontefice, “mostra il vero volto di Dio”.
Nel dialogo virtuale con il mondo niente di problematico viene sottoposto al pontefice. Niente sulla Chiesa, niente sul tema degli abusi che ha sconvolto l’anno appena trascorso. Le domande contengono già le riposte. Che cosa si può esprimere ai cristiani perseguitati in Iraq se non la giustasolidarietà?
Tra le pieghe dell’immaginaria conversazione, Ratzinger infila qualche concetto più sottile. La “discesa agli inferi” di Cristo dopo la crocifissione viene descritta come un estendersi della sua presenza a “tutto il passato” della storia dell’umanità per portarlo nel piano della resurrezione.
E sul corpo di Cristo risorto il Papa respinge qualsiasi visione fisico-biologica (come ha fatto già nel suo secondo libro su Gesù), spiegando con un’immagine ardita che “ha preso anche la materia con sé, e così la materia ha la promessa dell’eternità”. E’ UN VERO UOMO, non un fantasma, che vive una vera vita, ma una vita nuova che “non è più sottomessa alla morte e che è la nostra grande promessa”. D’altronde con l’eucaristia, sottolinea Ratzinger, Gesù entra nel corpo dei fedeli non come “carne da mangiare” ma come persona che tocca interiormente il credente.
Esercizi difficili, televisivamente parlando. Più immediata è la risposta sulle parole di Gesù in croce a Maria e Giovanni. “E’ umano”, soprattutto umano prima che teologico, l’affidamento di Maria a Giovanni fatto da Cristo prima di morire. Un modo di tutelarla nella società orientale dove per una donna sola era impossibile vivere. Poi subentra subito il “guardiano della fede”: la Madre è l’immagine della Chiesa e “non possiamo essere cristiani da soli”, con un cristianesimo costruito secondo le proprie idee. Un avvertimento preciso.