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Politica

San Giovanni in Fiore, quando la politica non è stata mai così ricca, partecipata, appassionata

Risposta di Vincenzo Tiano ad Emiliano Morrone
mercoledì 11 maggio 2011 di Vincenzo Tiano
Caro direttore Emilione Morrone,
non è nel mio stile confondere le posizioni. Gli articoli che pubblico sono firmati da me o dai suoi autori. Non condivido per nulla la tua analisi politica, nella misura in cui ritieni che Barile abbia fatto l’errore di farsi connotare come il candidato di Berlusconi e di Scopelliti. Sai bene che San Giovanni in Fiore è un comune storicamente di sinistra. Se Barile ha preso settemila voti, alle ultime comunali, è perché soprattutto le persone di sinistra lo (...)

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> San Giovanni in Fiore ---- Debbo dire che il copione non mi soddisfa e il racconto mi sembra ingannevole (di Mario Pirani - Il vilipendio al potere)

sabato 23 aprile 2011

Il vilipendio al potere

di Mario Pirani (la Repubblica, 23 aprile 2011)

Quanto più esplode con voluta sfrenatezza l’odio berlusconiano per le garanzie costituzionali, tanto più un nutrito gruppo di opinion makers si prodiga in deprecazioni per le reazioni risentite dell’opposizione. Quasi quest’ultima, invece di far finta di nulla, come conviene ai gentiluomini, si abbandonasse ad una altrettanto rabbiosa e biasimevole violazione del galateo politico. Non è neutrale questa raffigurazione. Anche quando è delineata in buona fede essa presuppone la rimozione delle caratteristiche devastanti della situazione italiana. Si ignorano le degenerazioni tipiche del berlusconismo e si finge di assimilarle a quelle sussistenti nei normali contenziosi politici d’oltre frontiera.

Il panorama preferito da questi pittori della domenica nel dipingere i loro affreschi fintamente ingenui è quello che rappresenta gli italiani nella loro essenza fisiognomica come tutti eguali, berlusconiani e avversari del premier, distinti solo dal secolare spirito di parte che dai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini li ha sempre spinti ad azzannarsi fra loro con quella esasperazione partigiana che sopravanza un pacato esame delle ragioni altrui.

Se, invece, analizzassero con fredda oggettività le linee del contendere si accorgerebbero presto che esse passano, come in tutte le altre democrazie occidentali, per attaccamento a valori compatibili, se pur dialetticamente contrapposti, con la destra che predilige la libertà rispetto all’eguaglianza e la sinistra l’eguaglianza rispetto alla libertà. Insomma, saremmo degli inglesi, fieri della loro Westminister, se non fosse per le caldane iraconde da curva sud che ci fan scambiare i mulini a vento del Cavaliere per draghi e guerrieri vogliosi di distruggerci.

Se poi a qualcuno sorge il dubbio che le cose non stiano proprio così e che Berlusconi abbia sdoganato e reso più accettabili comportamenti incivili tra il plauso dei suoi fan, basta lasciar da parte con noncuranza il fastidioso problema e rifarsi al solito vizio caratteriale, quella specificità negativa italiana della partigianeria che i politici eccitano, anziché moderare.

In ogni caso, insomma, quale chi sia l’interprete, il dramma italiano sarebbe destinato a una eterna replica della disfida tra Capuleti e Montecchi. Tutti si somigliano e tutti si odiano perché tale è il loro destino caratteriale. Dopo di che non resta che acquistare il biglietto, sedersi in poltrona, applaudire o fischiare i commedianti nei quali ci rispecchiamo.

Debbo dire che il copione non mi soddisfa e il racconto mi sembra ingannevole. Eppure, data la diffusione che queste idee tendono ad assumere, credo utile contestarne la validità senza veruna indignazione di maniera.

Ora, se è una banalità antropologica ricordare che gli italiani dell’una e dell’altra sponda sono tutti italiani e, in quanto tali, hanno molti tratti che li accomunano, va anche ribadito che la scissione che oggi ne divide le azioni e i pensieri non scaturisce da una tara caratteriale che li renderebbe naturalmente impenetrabili alle ragioni comuni ma da una ben individuabile fase della loro storia. Solo analizzando questo aspetto potremmo forse capire le odierne avversioni come le specificità di una situazione non paragonabile a quella delle altre nazioni democratiche e tale da far temere il nostro progressivo scivolamento verso un regime plebiscitario.

Per contro, se poniamo al centro la Storia e la Politica, capiremmo assai meglio le cose e ricorderemmo meglio anche un passato non troppo lontano. Mi riferisco al periodo conclusivo del secondo conflitto mondiale, quando con il disastro bellico venne meno il consenso di massa al regime fascista. E poi al cinquantennio che ne seguì, quello della ricostruzione, della Repubblica, della Costituzione, del miracolo economico, dell’adesione all’Alleanza atlantica e al Mercato comune. Infine, il terrorismo. Il periodo si concluse con la caduta del Muro di Berlino e con Tangentopoli.

Non si può dire, peraltro, che antropologicamente gli italiani fossero diversi da quelli di oggi né che le avversioni non avessero spazio per esplicitarsi nelle lotte e manifestazioni di piazza, negli scioperi, nelle elezioni, negli scontri parlamentari. Eventi che, per di più, si collocavano in un retroterra internazionale segnato dalla guerra fredda e da schieramenti di campo che vedevano gli uni sodali con l’universo sovietico, gli altri con gli Stati Uniti e il Vaticano. Tutto


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