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WEB , SCUOLA, E MUTAMENTI ANTROPOLOGICI. I NOSTRI SCHEMI SONO VECCHI. "Pietà per il mondo, venga il nuovo sapere"(M. Serres, Distacco, 1986).

I NATIVI DIGITALI E LE DOMANDE DI UNA NUOVA EDUCAZIONE. RISPOSTA A MICHEL SERRES. Una riflessione di Gaetano Mirabella - a c. di Federico La Sala

(...) a Michel Serres la mia ammirazione e la mia adesione alle sue idee con un mio contributo teorico tratto dal mio libro “Pensiero liquido e crollo della mente” nel quale tento di elaborare una ipotesi teorica (...)
mercoledì 11 maggio 2011 di Federico La Sala


RISPOSTA A MICHEL SERRES
di Gaetano Mirabella
"Senza che noi ce ne rendessimo conto, e in un breve intervallo di tempo, (quello che separa i nostri giorni dagli anni Settanta) è nato un nuovo tipo di essere umano. Questo ragazzo, o questa ragazza, non ha lo stesso corpo, nè la stessa aspettativa di vita di chi lo ha preceduto, non comunica secondo le stesse modalità, non percepisce lo stesso mondo,non vive nella stessa natura, nè abita (...)

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> I NATIVI DIGITALI E LE DOMANDE DI UNA NUOVA EDUCAZIONE. --- MILLENNIALS. Il paradosso generazionale dei figli che educano i padri (di Marino Niola)

sabato 30 luglio 2016


La parola presente/5

MILLENNIALS Hannola stessa età del web. Anche se il loro agire evoca il mito di Ulisse

Il paradosso generazionale dei figli che educano i padri

di Marino Niola (la Repubblica, 29.07.2016)

Più che una generazione, sono una specie in mutazione. Con il cambiamento epocale scritto nel nome. Li chiamiamo millennials, con una definizione che evoca le incognite delle grandi svolte, l’inquietudine del numero mille. L’attesa millenaristica, le insidie del millennium bug, il debutto del nuovo millennio, con il suo carico di angosce paralizzanti e innovazioni esaltanti. Un triplo concentrato di storia allo stato puro in undici lettere e quattro sillabe. Di più zippato c’è solo il poema di Aramis, il più letterato dei tre moschettieri, ventimila versi in una sillaba sola.

Nata nei primi anni Novanta come millennial generation, in origine l’espressione designava coloro che sarebbero diventati adulti con l’avvento del Duemila. Gli inventori, William Strauss e Neil Howe, avevano bisogno di un’etichetta semplice per classificare nella loro teoria delle culture generazionali i bambini nati fra il 1982 e il 2004. Ragazzi che hanno la stessa età, e lo stesso dna, di internet. Tanto è vero che li hanno identificati anche come generazione internet e, in seguito, come nativi digitali. Perché a disegnarne il profilo collettivo e a definirne il destino storico è la rete. Che ne ha fatto i protagonisti di un testacoda generazionale senza precedenti. Perché per la prima volta i figli della galassia virtuale hanno invertito i flussi di trasmissione della cultura e dei valori. Perché sono fatti a immagine e somiglianza del web, ne compartecipano l’orizzontalità, la simultaneità e l’assenza di autorità. E perché si sono fatti maestri di se stessi. Ma anche nostri.

Una volta i modelli culturali, i contenuti dell’insegnamento, le regole del comportamento, avevano un andamento discendente. Saperi, esperienze, conoscenze, competenze passavano dagli adulti ai giovani. Oggi è sempre più vero il contrario. Le istruzioni per vivere hanno un moto ascendente, dagli under agli over. Gli stili di vita, la moda e il dress code, le aspirazioni, le emozioni, i costumi, i consumi hanno un segno sempre più giovanilista. E di questa inversione di polarità, la tecnologia è la causa efficiente e, insieme, l’icona dominante. Quella che cattura il sentimento del tempo, che linka il passaggio dall’età della stampa a quella dello schermo, dall’elettrico all’elettronico, dal pensiero analogico a quello digitale, dal mondo della diacronicità a quello della sincronicità, dalla Galassia Gutenberg alla Galassia Zuckerberg.

La naturalità con cui i nativi stanno di casa nella tecnologia, li ha sparati molto più avanti dei loro genitori e insegnanti. Se la simultaneità, che è la cifra profonda della società liquida, fa fuori la cronologia, l’anteriorità del prima e la posteriorità del poi, rende di fatto superfluo ogni rituale di iniziazione e revoca i fondamenti stessi dell’educazione.

Addirittura oggi l’iniziazione funziona alla rovescia, nel senso che sono i nativi digitali a iniziare i loro genitori, portati dalle onde del web come migranti in cerca di approdi. Richiedenti asilo in un mondo nuovo e pieno di promesse, di cui i ragazzini custodiscono gelosamente le chiavi. Sono loro a decidere se e quando aprire cancelli e cancelletti a mamme, papà e insegnanti. È una lotta impari fra grandi che si arrampicano faticosamente, e volenterosamente, sulle scale impervie dell’alfabetizzazione tecnologica e la facilità irridente di pischelli che sembrano nati imparati e surfeggiano leggeri sulle onde del web.

In fondo sono l’incarnazione tech dell’intelligenza multifunzione di Ulisse. Il grande archetipo del multitasking. Non a caso Omero lo chiama polytropos, cioè ingegno multiforme. E forse, a guardarlo dalla nostra prospettiva, la sua navigazione ondivaga, piena di distrazioni e di deviazioni, fa pensare al labirinto liquido della rete dove i ragazzi dot.com amano perdersi in una simultaneità orizzontale, piena di diversioni e di seduzioni. Del resto, come diceva Walter Benjamin, il labirinto è la via di chi non vuole arrivare alla meta. E proprio così ci appaiono spesso i nostri piccoli nerd. Il loro rapporto tra mezzi e fini ci spiazza e ci irrita, soprattutto quando si tratta dei nostri figli. Non riusciamo a decidere se ammirarli, invidiarli o detestarli.

Anche per questo, la loro disarmante competenza innata ci fa quasi rabbia, il loro dadaismo digitale, pieno di ironia e qualche volta di sufficienza nei nostri confronti, ci fa sentire ininfluenti, incompetenti, vagamente dementi. Mentre loro ostentano una scienza infusa che, di fatto, rottama i tutori. E li sostituisce con i tutorial.

Secondo una ricerca dell’Università di Stanford scrivono molto più delle generazioni precedenti e, soprattutto, hanno elaborato linguaggi, codici ed estetiche che bypassano la scuola. Adesso sono app e youtube, forum e chat che forniscono info e consulting, guide e counseling. Con guru under 20 che postano lezioni su tutto lo scibile, il fattibile e il pensabile. Come imparare ad usare l’ultimo programma di montaggio o avere un makeup impeccabile h24. Ma anche l’arte di fare ordine nei cassetti, corsi di pittura, fitness, compressione dei file, chitarra e perfino l’how to play per suonare Mozart. E ancora, disegnare manga e intonare mantra, l’abbici del cake design, i trucchi di instagram, l’autoproduzione di cosmetici bio, come nutrirsi correttamente, le mosse del gangnam. Senza trascurare i classici, autostima e automassaggio, cucina e cucito, inglese e cinese. E la mappa concettuale per l’esame di maturità.

In questo oceano del possibile, i ragazzi, che a 15 anni inventano start up milionarie, appaiono molto meno spaesati di quegli adulti che pontificano su di loro. O li inseguono affannosamente, nello sforzo patetico di catturarne l’attenzione, di intercettarne i valori, finendo invece per esserne catturati. E diventare, come diceva Guillaume Apollinaire, figli dei propri figli.


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