Il Rinascimento parla ebraico
Fino al 15 settembre, presso il MEIS di Ferrara, sarà possibile visitare un percorso espositivo che mette bene in luce i forti legami che, durante il secolo e mezzo del periodo rinascimentale italiano, si instaurarono tra la comunità ebraica e quella cristiana italiane.
di Alessandro Brogani *
Ferrara è un piccolo comune italiano riconosciuto nel 1995 dall’UNESCO patrimonio dell’umanità come città del Rinascimento, periodo che ne vide uno sviluppo politico ed artistico senza precedenti. Ma il piccolo centro situato nel cuore dell’Emilia-Romagna, a metà strada fra Bologna e Venezia, è indissolubilmente legato anche alla comunità ebraica che soprattutto sotto Ercole I d’Este, che ne accolse la comunità sefardita cacciata dalla Spagna di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, assunse vieppiù importanza nella storia culturale, politica e artistica della città. Lo testimonia bene la mostra “Il Rinascimento parla ebraico” (aperta fino al 15 settembre), curata dai professori Giulio Busi e Silvana Greco della Freie Universität di Berlino, che si può visitare presso il MEIS, il Museo nazionale del giudaismo italiano e della Shoah, presente nella cittadina romagnola.
La mostra prende in considerazione un periodo temporale che va dagli inizi del Quattrocento alla metà del Cinquecento, ossia dall’affermarsi dell’Umanesimo alla conclusione del Concilio di Trento (1545 - 1563), che portò alla Controriforma della Chiesa cattolica in risposta alla Riforma luterana. Dunque uno dei periodi storici più densi di significato politico-sociale e, ovviamente, artistico. Tra il XIV e il XVI secolo la presenza ebraica (gli ebrei erano circa l’un per cento della popolazione) nella parte settentrionale della Penisola vide un notevole incremento in ben il 15 per cento dei comuni e le sue attività erano per lo più legate al commercio e al finanziamento. Va peraltro ricordato che fin dal medioevo la Chiesa cattolica aveva proibito agli ebrei di coltivare la terra (cosa al contrario assai comune fra i cristiani, che vedevano nell’agricoltura una delle principali fonti di sostentamento), pertanto fra le attività loro concesse c’era il prestito ad usura, che all’epoca era consentito e non aveva una valenza negativa come quella che ha assunto ai giorni nostri. La proibizione della lavorazione della terra fece sì che i giovani ebrei fossero indirizzati allo
studio, molto più di quanto non fosse comune fra i cristiani. Questo consentì loro di avere un grado di acculturamento maggiore, e li pose nella condizione di esercitare un’influenza notevole in campo culturale, stabilendo così uno scambio reciproco con la comunità cristiana, e dando luogo a notevoli progetti culturali lungo tutta la Penisola, anche se poco riconosciuti come tali. Il pregiudizio e le persecuzioni ebbero infatti una parte predominante nei rapporti, anche se, come rileva Busi nell’introduzione al catalogo della Silvana Editoriale che accompagna la mostra, «... La presenza ebraica nelle città italiane è varia e cangiante, proprio come sempre diversi sono i volti del panorama urbanistico e politico della Penisola».
Così, oltre ad un piano temporale l’esposizione si snoda anche su un piano espositivo delle attività predominanti tra gli ebrei italiani dell’epoca e al loro mondo spirituale, declinate sia al maschile che al femminile. Ed è così che si scopre che le attività non erano solo quelle legate al denaro, ma che ruotavano attorno a professioni assai variegate, da quella medica a quella musicale, da quella poetica a quella filosofica solo per citarne alcune.
Vi è poi una sezione che mette in luce il lato più tristemente famoso, quello legato alle persecuzioni. Sono infatti numerosi gli episodi di intolleranza, di minacce e di antagonismi che si sono snodati nel corso del Rinascimento italiano, tanto in luoghi differenti che, talvolta, nel contesto del medesimo perimetro cittadino. Famoso l’episodio legato al processo tenutosi a Trento, sotto il governo del principe vescovo Johann Hinderbach, che sfociò nella condanna e messa a morte di quindici ebrei della locale comunità, accusati di aver ucciso un bimbo cristiano di nome Simon Unferdorben, durante la Pasqua 1475. Episodio ovviamente falso.
Una quarta parte mette in rilievo, invece, i rapporti di scambio ed amicizia tra le due comunità italiane, con curiosità reciproca, contatti quotidiani e di compenetrazione.
Berlino ha contribuito all’allestimento della mostra con un opera di Ludovico Mazzolino, Gesù dodicenne al Tempio (1520-1521 circa), presente nella collezione della Gemäldegalerie. L’opera, già appartenuta alla Collezione Giustiniani, reca nella sua parte superiore un’iscrizione in ebraico che tradotta significa “Il Tempio che Salomone ha costruito per il Signore”. L’espressione “per il Signore” fa chiaramente pensare che la frase fosse stata suggerita al pittore ferrarese da un ebreo (probabilmente il dotto Avraham Farissol che operava in quel periodo a Ferrara), poiché rivela l’intenzione esplicita di non nominare il Tetragramma, ossia il nome di Dio, come prescrive la religione ebraica. È solo un esempio della presenza ebraica in campo artistico durante il Rinascimento, come ha avuto occasione di sottolineare la direttrice del museo ferrarese, Simonetta Della Seta, in occasione della presentazione della mostra presso l’Ambasciata italiana nella Capitale tedesca tenutasi lo scorso maggio. Le altre meraviglie le si possono ammirare direttamente presso il MEIS.
* Il Deutsch -Italia, 14.06.2019 (ripresa parziale - senza immagini).