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UOMINI E DONNE, PROFETI E SIBILLE, OGGI: STORIA DELLE IDEE E DELLE IMMAGINI. A CONTURSI TERME (SALERNO), IN EREDITA’, L’ULTIMO MESSAGGIO DELL’ECUMENISMO RINASCIMENTALE .....

RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI: LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE. Sul tema, la prefazione di Fulvio Papi e parte della premessa del lavoro di Federico La Sala

Le Sibille di Contursi hanno parentele più celebri nella Cattedrale di Siena, nell’appartamento Borgia in Vaticano, nel Tempio Malatestiano di Rimini, nella Cappella Sistina di Michelangelo. La pittura disegna l’ eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale (...)
martedì 9 aprile 2013
TONDO DONI. Attenzione: nella cornice "raffigurate la testa di Cristo e quelle di quattro profeti" (Galleria degli Uffizi)? Ma, per Michelangelo, non sono due profeti e due sibille?!

[...] La pittura disegna l’ eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale che colloca la filosofia e la teologia pagana in sequenza con il Cristianesimo. Ne deriva un’immagine del mondo come presenza divina nella quale abita l’uomo cóme unità di corpo (...)

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> RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI --- Rosario Villari: «Un sogno di libertà. Napoli e un declino di un impero, 1585-1648». Per chiunque voglia voltarsi indietro per rilanciare oggi la questione meridionale (di Giovanni De Luna - Quelle teste mozzate invocano Masaniello)

sabato 16 giugno 2012

Rosario Villari

Ritorno di un classico: «Un sogno di libertà. Napoli e un declino di un impero, 1585-1648»

Quelle teste mozzate invocano Masaniello

di Giovanni De Luna (La Stampa - TuttoLibri, 16.06.2012)

Un oceano quasi immobile di subalternità, increspato ogni tanto da un improvviso ed effimero moto di ribellione. Tra i tanti luoghi comuni affiorati nel dibattito che ha accompagnato, nel 2011, la riflessione sulla nostra storia unitaria, questo, che si riferisce alla storia del Mezzogiorno, è uno dei più consolidati, fronteggiato da quelli che favoleggiano sulle ricchezze saccheggiate dal Nord o sulla virtuosità del sistema di governo dei Borboni.

Sono immagini speculari, molto diffuse nel senso comune, ma che c’entrano poco o niente con la ricerca storica. Sembra così opportuna la scelta di Rosario Villari di ripubblicare una sua opera classica, del 1967, ampliandola con parti completamente nuove, dedicata a Napoli tra il 1585 e il 1648 ( Un sogno di libertà. Napoli e un declino di un impero, 1585-1648, Mondadori). Due date, per due rivolte contro il dominio spagnolo. Entrambe concentrate in pochi giorni di violenza, ma con uno spessore che non si lascia imprigionare nello schema dell’accensione improvvisa e della follia sanguinaria del popolo.

La prima si concluse con l’esposizione delle teste dei rivoltosi in un macabro monumento. Avrebbe dovuto essere un monito severo contro chi si ribellava all’autorità spagnola; in realtà fu rimosso perché perpetuava la collera degli sconfitti, pronta a riesplodere, come avvenne nel 1647, con lo stesso tragico epilogo, con l’eccidio di Masaniello e dei suoi compagni.

Le pagine di Villari ci accompagnano nei meandri delle rivolte, permettendoci di entrare in contatto con un composito universo di figure individuali e di attori sociali, in una serie di cerchi concentrici che partono dal più largo (Madrid e il potere lontano della Corona) e riattraversano in successione la corte napoletana del Vicerè, i baroni insaziabilmente a caccia di privilegi, il banditismo delle campagne, esponenti dei ceti provinciali e periferici («leggitori di libri» li definì un cronista dell’epoca) che alimentarono i primi progetti di indipendenza e di rifiuto del dominio baronale, le «profezie» visionarie di Tommaso Campanella e, infine, il popolo, con i suoi istinti plebei ma anche con la generosità di alcune figure di uomini consapevoli, come Giulio Genoino e lo stesso Masaniello.

Un groviglio di interessi contrapposti, un affresco complesso che interagisce con le rivolte in Portogallo, in Catalogna, nelle Fiandre, teatri di guerra lontani, ma che scardinano il nostro Mezzogiorno da ogni ruolo periferico e marginale, lo inseriscono nel cuore della crisi dei domini spagnoli, della rete delle relazioni diplomatiche con la Francia, in una dimensione che si nutre dei fermenti sociali e culturali dell’Europa di allora.

Certo tutto finisce male. Ma in quelle rivolte ci sono speranze di futuro, aneliti di libertà che appartengono al Mezzogiorno italiano così come il conformismo, l’ossequio ai potenti, l’immobilismo. C’è di tutto: proteste per la fame, ansie religiose, banditismo, attese messianiche, fremiti libertini, «una volontà di rifiuto radicale, di eversione». E su tutto incombe il prezzo enorme pagato dal Mezzogiorno a quelle sconfitte.

Scrivendone secoli dopo, Vincenzo Cuoco osservava come «una rivoluzione ritardata o respinta è un male gravissimo, di cui l’umanità non si libera se non quando le sue idee saranno di nuovo al livello coi governi suoi... Ma talora passano dei secoli e si soffre la barbarie prima che questi tempi ritornino». Nel 1799, lui stesso era stato protagonista dell’effimera ma straordinaria avventura della Repubblica partenopea, soffocata nel sangue dai cattolicissimi sanfedisti del cardinale Ruffo.

Per chiunque voglia voltarsi indietro per rilanciare oggi la questione meridionale, questo libro offre una traccia importante, proponendo di leggere in quei sussulti e in quelle sconfitte uno dei cardini su cui fondare la ricerca delle energie che si sono proposte di riscattare il Sud dalla miseria e la sua storia dalla suggestione dei luoghi comuni.


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