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PIANETA TERRA. EUROPA - CURARE LA DEMOCRAZIA ....

DEMOCRAZIA REALE SUBITO: "DEMOCRACIA REAL YA"!!! NOTIZIE DALLA SPAGNA. Alcuni articoli sulla situazione - a c. di Federico La Sala

SPAGNA. La protesta degli «indignados» si è estesa un po’ in tutto il paese. Sul banco degli accusati c’è tutta la classe politica, di destra e di sinistra.
domenica 22 maggio 2011 di Federico La Sala
[...] La protesta degli «indignados» si è estesa un po’ in tutto il paese. I partiti stanno a guardare colti di sorpresa alla vigilia di un voto che nelle previsioni dovrebbe cambiare lo scenario a favore del centro-destra, oggi all’opposizione. Il principale obiettivo della protesta sociale è il premier socialista Zapatero, al governo dal 2004, colpevole - secondo gli «indignati» - di non aver saputo reagire ad una crisi che in Spagna per l’anno in corso prevede una crescita irrisoria del (...)

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> DEMOCRAZIA REALE SUBITO: "DEMOCRACIA REAL YA"!!! ---- UNA SPIAGGIA IN PUERTA DEL SOL (di Santiago López Petit - Superare le piazze).

sabato 4 giugno 2011

Superare le piazze

di Santiago López Petit *

Santiago López Petit, docente di Storia della Filosofia presso l’università di Barcellona e promotore, con altri, del movimento Espai en Blanc, è tra gli intellettuali più apprezzati nel movimento M15. Pubblichiamo un suo articolo molto discusso in queste ore nelle acapampadas spagnole, da Barcellona a Madrid.

1. Il movimento 15M che si è manifestato in questi giorni segna la fine di un lungo periodo di obbedienza e di sottomissione. Occupare la piazza è stato il gesto radicale - promosso in molte città - che ci ha permesso di lanciare il grido collettivo di «Basta. Vogliamo vivere». Abbiamo smesso di avere paura. Insieme abbiamo attraversato l’impotenza e la solitudine.

2. Abbiamo imparato a organizzare, prendere decisioni insieme, a vivere in strada e abbiamo vissuto per strada. L’intelligenza collettiva è stata straordinaria e ha permesso di realizzare ciò che appariva impossibile: creare un altro mondo all’interno di questo mondo, ma anche contro questo mondo di miseria morale ed economica. Siamo riusciti ad auto-organizzare un buco nero incomprensibile al potere, che ha paura. Il potere teme ciò che non può capire, e quindi, controllare.

3. La novità fondamentale del nostro movimento è che non si costruisce in fabbrica, ma riunisce e condivide il disagio di ognuno. Non andiamo nella piazza occupata come lavoratori, cittadini... ma ci si lasciamo alle spalle ogni identità. Siamo noi stessi più che in qualsiasi altro luogo, allo stesso tempo siamo parti singole di una forza anonima, una forza di vita che vuole andare oltre ciò che è noto.

4. Il «Noi» che si è formato non pre-esisteva, non era latente, ma è emerso nel momento in cui abbiamo occupato la piazza. Per questo è un Noi aperto, aperto a chiunque vuole entrare e farne parte. Nella piazza abbiamo imparato a coniugare l’espressione «fare politica», e lo spazio stesso è stato quello che ha permesso il coordinamento dei differenti modi di «fare politica», che si presentano necessariamente nel corso del tempo. È emerso il rumore di sottofondo del silenzio del potere. Noi siamo i volti di questo rumore che si è concluso con il silenzio del cimitero.

5. Occupare le piazze significa prima di tutto prendere parola. Ma la parola, il discorso non è tanto ciò che si dice quanto ciò che viene fatto. Nelle piazze occupate la cosa più importante è quello che viene fatto e come viene fatto. Di certo, così è stato. A volte, però, poco a poco il potere ci ha dato un modo di lavorare [commissioni, sottocommissioni, il consenso...] ed è diventato un vero e proprio freno. Da un lato, un’organizzazione così divisa, anche se può essere efficace, favorisce la dispersione, la perdita di contenuti essenziali e, soprattutto, una profonda arbitrarietà che finisce per essere paralizzante. D’altra parte, il consenso deve essere un mezzo, mai un fine, altrimenti decisioni politiche improrogabili non possono essere prese. Lo stare insieme non può essere misurato in unità di consenso.

6. Ora il problema è come proseguire il movimento appena nato. C’è qualcosa che giorno per giorno osserviamo: se non andiamo avanti, necessariamente torniamo indietro. E questo perché la posizione che abbiamo raggiunto occupando le piazze viene compromessa sia dal ritorno alla ribalta di scelte personali, cioè un proliferare completamente soggettivo di interessi che eravamo riusciti isolare, sia per la campagna di diffamazione [«15 M è pericoloso», «provoca danni»...] orchestrata dai media ufficiali.

7. Il problema non è abbandonare o meno la piazza. Il problema è come ci muoviamo in avanti con un movimento che è stato il più importante degli ultimi anni e sicuramente ha aperto un ciclo di lotte. In Plaza de Catalunya hanno gridato più volte «Qui comincia la rivoluzione». Forse dovremmo prendere sul serio queste parole. Quando diciamo «noi non siamo merce», «nessuno ci rappresenta» o altre espressioni simili stiamo costruendo un discorso rivoluzionario, che mina l’essenza di questo sistema. Il problema non è abbandonare o meno la piazza. Il problema è se abbiamo il coraggio di passare da «indignati» a «rivoluzionari».

8. Come indignati sapevamo di dover attaccare prima di chiunque altro i politici e banchieri. Questa intuizione è stata giusta con particolare riferimento ai primi. Il sottosistema politico che funziona con il codice «governo/opposizione» è molto facile da attaccare. È sufficiente affermare coerentemente «nessuno ci rappresenta» per provocare il corto circuito dei codici fondamentali che organizzano la realtà. Non è un caso se è cresciuta la delegittimazione dello Stato. Invece non siamo riusciti a erodere il codice di «avere/non avere i soldi» che governa il sottosistema economico. Né, ovviamente, abbiamo saputo affrontare la crisi e usare la crisi come una modalità di governo.

9. Per questo motivo il movimento delle «occupazioni delle piazze» è destinato a fare un salto oppure a restare all’interno di una bolla di autocompiacimento fatta di opzioni di avvio; la delegittimazioni della politica da sola non sarà in grado ma di aprire un altro mondo. Essa deve affrontare tutta la realtà, questa realtà completamente capitalista e soffocante. Fare un salto vuol dire avere il coraggio di essere rivoluzionario. Più precisamente. Avere il coraggio di immaginare che cosa vuol dire essere rivoluzionari oggi.

10. Il problema non è abbandonare o meno la piazza. Il problema è come superiamo la piazza, e quindi dobbiamo pensare non solo come indignati ma come rivoluzionari. Di fronte a una realtà [il capitalismo] che è essenzialmente depoliticizzante perché consente di replicare il conflitto e nasconde il nemico, perché aumenta costantemente le sue dimensioni in modo che l’ovvio si imponga, l’unico modo è difendere il fare politica, «quando non c’è nulla di politico tutto è politica». Superare la piazza è coniugare collettivamente l’espressione «fare politica», dobbiamo quindi inventare un dispositivo comune che abbiamo già cominciato a utilizzare: sciami cibernetici, assemblee generali e di quartiere, commissioni...

11. Così come siamo non possiamo essere inclusi in uno spazio pubblico statale - siamo un’assemblea generale, un gruppo in fusione, un popolo nomade, un mondo di stranezze - l’organizzazione che sostiene «l’andare oltre» deve essere anche un dispositivo complesso e congiunto. La forza dell’anonimato, la forza della vita che siamo, respinge i vecchi modelli identitari e settoriali. Analogamente, qualsiasi tentativo di riconquistare la nostra forza attraverso la forma partito è necessariamente destinato a fallire. La forza dell’anonimato non può mai essere racchiusa in un’urna.

12. Superare la piazza non è una metafora. Consiste nell’infiltrarsi nella società come un virus, muoversi come partigiani che realizzano un atto di sabotaggio della realtà durante la notte. Ma dobbiamo tornare ad intermittenza nella piazza e lavorare per mantenere il segno della nostra sfida. La piazza occupata deve restare un riferimento politico, e al tempo stesso la migliore base operativa dalla quale partire per continuare questa guerra di guerriglia. Infiltrarsi nella società significa, in breve, una messa in discussione radicale di tutto ciò che è imposto dalla forza delle cose ovvie. Perché questa lotta sia efficace, dobbiamo dotarci di una strategia di obiettivi e di una modalità di interventi adeguati. Il grido di rabbia e di speranza che ha risuonato nelle strade deve organizzarsi politicamente, altrimenti si perderà nel buio. E il silenzio ancora una volta entrerà nei nostri cuori.

13. Quando la vita è il campo di battaglia vengono distinti i diversi fronti di lotta, ed è più facile che mai creare una strategia di obiettivi. La strategia di obiettivi che proponiamo potrebbe cominciare con: a) 1.000 euro a persona per il solo fatto di far parte della società e data la ricchezza già accumulata. b) nessuno sgombero e possibilità di ritorno degli espulsi. Possibilità di restituire la casa alla banca e non pagare più il mutuo. c) No alla legge Sindhi. Contro la privatizzazione della rete. La strategia di obiettivi si adatta e ha senso solo all’interno del movimento che delegittima lo Stato e i partiti. Non si tratta quindi di un punto di minimo che alcuni portavoce negoziano.

14. Una strategia di obiettivi richiede un’azione diretta da eseguire. Nel nostro caso, tuttavia, il suo completamento non può essere considerato sotto il modello classico dello sciopero generale. Da un lato, la fabbrica ha perso ogni centralità politica nella misura in cui è diffusa sul territorio, dall’altro lato, in essa esiste il pericolo per come i sindacati storici le gestiscono. Così come con l’occupazione della piazza è stato creato un modo di lottare non previsto, l’azione diretta stessa deve essere ripensata. La trasformazione sociale, economica e politica che ha avuto luogo negli ultimi decenni - l’intera società è diventata produttiva - gioca a nostro favore perché estende la vulnerabilità il tutto il territorio. Per questo motivo, l’azione diretta deve essere per lo più in grado di interrompere il flusso di merci, energia e informazione che attraversano e organizzano la realtà.

15. Il gesto radicale di occupare la piazza che si è diffuso in molte città dovrebbe favorire lo svuotamento delle istituzioni di potere, ma deve continuare in un blocco reale ed efficace a questo sistema di oppressione. Non è impossibile. Siamo noi stessi vivendo che sosteniamo questa macchina infernale e corrotta. Se siamo davvero indignati dobbiamo rendere la nostra vita un atto di sabotaggio e poi tutto cadrà a pezzi. Tutto crollerà come un castello di carte e forse scopriremo una spiaggia in Puerta del Sol. Non sappiamo ancora quali sorprese possano portare il mondo che stiamo cominciando a costruire.

[Tra i libri di Santiago Lopez Petit, tradotti in italiano, segnaliamo «Amare e pensare. L’odio del voler vivere» e «Lo Stato guerra. Terrorismo internazionale e fascismo postmoderno», edizioni Le Nubi]

* CARTA, 4/06/2011 - http://www.carta.org/2011/06/superare-le-piazze/


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