Vuoto e pietà Il coraggio di una donna
di Paolo Di Stefano (Corriere della Sera, 22.05.2011)
Distrazione significa, letteralmente, essere trascinati via da ciò che in quel momento dovrebbe occuparti la mente più di ogni altra cosa. Chissà da che cosa è stata trascinata via la mente del papà della piccola Elena, la mattina di mercoledì, alle 8.30, quando ha chiuso la portiera della sua auto per andare a lavorare come tutti i giorni. Producendo una voragine, un buio, un vuoto, proprio là dove invece dovevano esserci presenza, protezione e cura. Avrebbe dovuto portarla all’asilo e probabilmente credeva di averlo già fatto: «credeva» è eccessivo. Diciamo «aveva l’idea» , neanche, «aveva una specie di idea» , «un’immagine mentale» , ma neanche. Non c’è niente, apparentemente, che possa spiegare un salto cognitivo come quello: un padre chiude la portiera dell’auto per andare a lavorare, dimenticando che sul sedile posteriore c’è ancora la sua bambina di due anni, addormentata. Passano le ore e la figura della bambina addormentata non emerge, non viene a galla quella tragica «distrazione» .
In letteratura, la distrazione produce, di solito, effetti comici, come nella pièce secentesca del francese Jean-François Regnard (Il distratto, appunto), il cui protagonista accetta la mano della donna che ama, dimenticandosi di essere già sposato. Oppure in una novella di Pirandello (La distrazione, appunto) dove il nocchiero di un carro funebre si scorda di trasportare una bara e, estenuato dalla sua «vitaccia porca» , lascia scorazzare liberamente i cavalli per la città. Distrazione, vuoto, assenza, dimenticanza, cancellazione, blackout, amnesia.
Il caso di Teramo, Freud lo chiamerebbe un «lapsus memoriae» . Ma va messo tutto tra virgolette, perché ogni tentativo di definizione appare drammaticamente inadeguato alle conseguenze che il gesto (mancato) del papà di Elena ha prodotto. A che serve stare a chiedersi perché e per come? È successo a Teramo, come è successo in un passato recente a Catania, a Lecco, in Francia, in Cina. E spesso in un aeroporto, in un centro commerciale o in un’area di servizio (due anni fa a San Zenone Lambro), come nel film di Soldini Pane e tulipani, dove a essere dimenticata (dalla famiglia: marito e due figli) è una madre.
Una sociologia facile potrebbe trarne la conseguenza che sono i non-luoghi di Marc Augé a favorire l’alienazione, dunque quel clamoroso blackout. Nelle fiabe, i figli vengono abbandonati dai genitori per fame o per cattiveria, mai per distrazione: da Hänsel e Gretel a Pollicino, a Biancaneve. Ma si sa che la realtà è più crudele delle favole, dove a tutto c’è rimedio.
In un famoso verso, Fabrizio De André metteva in musica un dialogo allucinato in cui a una madre che piangeva: «Lo sa che io ho perduto due figli?» , un interlocutore cinico rispondeva: «Signora, lei è una donna piuttosto distratta» . La canzone si intitolava «Amico fragile» . L’amico più fragile è adesso il padre di Elena, certamente travolto dal senso di colpa. A qualcuno toccherà consolarlo, se possibile: «Non è colpa sua» , ha trovato la forza di dire sua moglie. Forse lei riuscirà ad accompagnarlo nel dolore procurato da un mistero a cui la neuropsichiatria troverà spiegazioni superficiali. Più che a Freud e agli scienziati, ora è tempo di ricorrere a Michelangelo e alla sua Pietà.