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SONNO DOGMATICO, STATO DI MINORITA’, E INCAPACITA’ DI GIUDIZIO. DIO E’ AMORE ("Charitas") O MAMMONA ("Caritas")?! CARDINAL RAVASI, NON E’ POSSIBILE FARE CHIAREZZA? SI TRATTA DELLA PAROLA FONDANTE E DISTINTIVA DELLA FEDE CRISTIANA!!! Ha dimenticato l’esortazione di Papa Wojtyla ("Se mi sbalio, mi coriggerete")?!

LA FACOLTA’ DI GIUDIZIO E IL MAGISTERO DEI SANTI PADRI DELLA CHIESA CATTOLICA DI OGGI. Il cardinale Ravasi si rende conto che "è grave atrofizzare la facoltà, di cui è dotata la nostra mente, di sceverare tra vero e falso", ma continua a fare "sogni d’oro"! Un suo "mattutino" - con alcune note, a c. di Federico La Sala

GIUDICARE E VALUTARE. (...) Montaigne, nei suoi Saggi non esitava ad affermare che «la cura e la spesa dei nostri padri mirano solo a riempirci la testa di sapere; di giudizio e di virtù, non se ne parla nemmeno!»
martedì 19 luglio 2011 di Federico La Sala
[...] Il giudizio è la facoltà che acquisiamo più tardi e perdiamo più presto del necessario: i bambini non ne hanno ancora, i vecchi non ne hanno più [...]
PER RATZINGER, PER IL PAPA E I CARDINALI, UNA LEZIONE DI GIANNI RODARI. L’Acca in fuga
KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI"). Una pagina di Kant e una nota di Federico La Sala (...)

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> LA FACOLTA’ DI GIUDIZIO E IL MAGISTERO DEI SANTI PADRI DELLA CHIESA CATTOLICA DI OGGI. ---- IL GRANDE INQUISITORE E I DODICIMILA SANTI.

venerdì 8 luglio 2011


-  Zagrebelsky e C.
-  Non date la colpa al Papa

-  di Lucia Ceci (il Fatto/Saturno, 08.07.2011)

      • F. Cassano, L’umiltà del male, Laterza, pagg. 96, • 14
      • E. Mauro - G. Zagrebelsky, La felicità della democrazia, La-terza, pagg. 192, • 15

LA FINE DI UNA stagione si consuma sempre con una resa dei conti: chi è stato responsabile di cosa. Negli italici confini del secolo breve è capitato almeno tre volte: Caporetto, 8 settembre, tangentopoli. Il redde rationem investe le persone, i fatti, le cose. Ma gli intellettuali sono interessati anche ad altro: le cause. Accade dunque, nel crepuscolo del berlusconismo, che i professionisti dell’analisi di lungo periodo si adoperino per individuare il vizio d’origine di tanto sfa-celo. E poiché la scena, con le notti di Arcore, si consuma su un terreno etico in cui il privato si mesce col pubblico e ha il volto seducente e da tutti decifrabile di una prostituta minorenne, appare naturale chiamare in causa l’azionista di maggioranza dell’ethos pubblico italiano: la Chiesa cattolica.

In questi mesi di crisi torna a riaffacciarsi il teorema che evoca la presenza del papato nel territorio nazionale quale forza fiaccatrice degli anticorpi civili : dal fascismo a Scilipoti, passando per l’evasione fiscale, la corruzione, il bunga-bunga. Così, più che in altri momenti, ci troviamo a imparare da Ezio Mauro come, nello sfacelo delle istituzioni democratiche, la «riconquista» dei vescovi sia «quasi un Dio italiano che cammina, una sorta di via italiana al cattolicesimo».

E contemporaneamente ci imbattiamo nel dito di Gustavo Zagrebelsky, puntato contro «l’enorme concentrazione di potere mondano» di cui la Chiesa dispone. E nei suoi profetici richiami perché essa si purifichi dai beni della terra e dal potere sulla terra. Pena la salvezza della laicità e, dunque, della democrazia. Una Chiesa di santi. Una laicità senza se e senza ma.

Eppure non si può mettere sulle spalle di Pietro il peso dei guasti della democrazia in Italia. Ora è vero che la gerarchia cattolica ha rinunciato da troppo tempo a parlare di Dio. E sente piuttosto il dovere di intervenire su temi lontani dalle Sacre Scritture e dalle vite concrete delle donne e degli uomini. Che vuole raggiungere direttamente il legislatore nelle pieghe di un tessuto politico fragile e gregario. Ma non si può ignorare che l’essere cattolici si riduce all’esser stati battezzati, che i vescovi orientano sempre meno le menti, le scelte morali, le decisioni elettorali degli italiani. La longa manus della Chiesa (così la chiamano Mauro e Zagrebelsky) riesce solo a muovere un ceto politico impegnato nella spartizione di prebende, il cui cinismo resiste ai colpi di ogni indignazione.

Da parte mia mi sottrarrei volentieri al compito di individuare il germe che fornisce la cifra specifica del deficit di etica pubblica nell’Italia di oggi. Perché non sono capace di fare un ragionamento semplificato. Avrei bisogno di tirare in ballo crisi del sistema dei partiti, mutamenti di assetti internazionali, tradizioni civiche, culture politiche, guelfi e ghibellini. E il ragionamento sarebbe meno incalzante. Una cosa però la voglio dire.

Se proprio non posso sottrarmi alla semplificazione tirerei in ballo il tradimento delle élites democratiche e delle forze politiche che dal 1994 in avanti le hanno rappresentate. Perché in 17 anni di berlusconismo hanno guidato il Paese per 101 mesi, cioè 8 anni e mezzo, se mettiamo insieme i governi Dini, Prodi, D’Alema, Amato. Perché il loro narcisismo etico - per usare una categoria centrale nell’ultimo libro di Franco Cassano, L’umiltà del male - il loro atteggiamento di superiorità morale le ha rese incapaci di una mobilitazione in grado di innervare la politica.

Se il Grande Inquisitore è riuscito ad avvelenare i pozzi non è solo per la sua potenza, ma anche perché il campo gli è stato lasciato libero dalla presunzione di quelli che Dostojevski nella sua Leggenda chiama i dodicimila santi.


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