Rivoluzioni
Un patto con il malato
contro la malattia
La Statale di Milano celebra i 90 anni, l’Istituto europeo di oncologia 20. Insieme organizzano un evento per trasformare il rapporto col paziente: «Va messo al centro, davvero»
di Paolo Foschini *
Mettere il paziente al centro: si fa presto a dirlo. Perché il paziente non è una macchina da aggiustare ma una persona da curare: appunto, quante volte l’abbiamo sentita? Perché il malato è un essere umano: ecchediàmine.
Calma, prima di continuare con l’ironia prendetevi un secondo e ricominciate daccapo. Perché questa volta, forse, potrebbe veramente cambiare qualcosa. Magari non da un giorno all’altro, d’accordo. Ma con una rivoluzione culturale seria: a partire dall’università. Per insegnare a chi studia medicina - tra le altre cose - che il dottore di domani sarà bravo non solo se sarà capace di scoprirmi addosso un tumore, ma anche se saprà spiegarlo ai miei e a me nel modo migliore, se mi aiuterà a capire le cure che dovrò affrontare, insomma s e mi coinvolgerà nelle terapie che mi prescriverà. Il tutto sancito da un Patto vero.
Un Patto per il Paziente, così lo chiameranno. Con l’aiuto in un prossimo futuro (anche) di app specifiche per tablet e smartphone. E magari di un «Tripadvisor del medico» esteso pure in Italia, sul modello dell’ormai mitico Heal thgrades. com americano, che consenta al paziente di lasciare scritto a beneficio altrui il suo commento sul medico che l’ha curato. Il tutto, insomma, affinché il dottore la smetta di trattare il «paziente» solo come colui che sopporta «con pazienza ». Le cure funzioneranno di più, le persone guariranno di più. Che poi è la «missione» del medico: o no?
Ed è questo il nocciolo del grande convegno con cui domani, 24 novembre, in un colpo solo si festeggeranno a Milano i 90 anni dell’Università Statale e i 20 dell’Istituto europeo di oncologia. Uniti per i Pazienti è il titolo che gli hanno dato. E a spiegarlo, nell’aula magna della Statale stessa, sarà proprio una signora ammalata: invitata a testimoniare in prima persona non solo l’utilità di un coinvolgimento consapevole nella gestione della malattia ma anche «quanta strada ancora ci sia da «fare».
Il Patto servirà a questo, a darsi degli obiettivi concreti e a sentirsi vincolati per realizzarli: approccio terapeutico basato sul rispetto della persona nella sua interezza, maggiore accesso delle persone a informazioni su prevenzione, cura, salute, collaborazione tra professionisti sanitari. Come spiega la professoressa Gabriella Pravettoni, anima sostanziale dell’intero progetto, che alla Statale è ordinario di Psicologia delle decisioni oltre a guidare il Centro interdipartimentale di Ricerca e Intervento sui Processi decisionali, dirigendo allo stesso tempo l’Unità di Psiconcologia allo Ieo: «Una scelta condivisa tra medico e paziente ha un influsso decisivo sull’efficacia della cura».
Per sancire questo impegno solenne il Patto in questione sarà non solo, durante il convegno, formalmente annunciato ma anche formalmente firmato: e a sottoscriverlo saranno da una parte un paziente, scelto simbolicamente a rappresentarli tutti, dall’altra il rettore della Statale, Gianluca Vago: «È un patto fondativo - rivendica quest’ultimo - che impegna la nostra università a porre le persone malate al centro dei processi educativi di tutti gli operatori. Deve essere il malato, non la malattia, non il medico o l’infermiere, a guidare l’agire medico. Vogliamo che i nostri medici siano prima di tutto degli ottimi professionisti; e che per questo siano anche capaci di ascoltare, informare, utilizzare con la massima efficacia le risorse di cura, di non promettere l’immortalità ma il rispetto della dignità degli individui. Per un nuovo umanesimo, in un tempo di meraviglia tecnica».
Su questo punto il gruppo di ricercatori guidati dalla professoressa ha già vinto tre progetti europei: quello per lo sviluppo di un software che aiuti a costruire in tempo reale un profilo psicologico del malato; quello chiamato Mind the Risk («occhio al rischio») per assistere i pazienti cui un test genetico ha fatto sapere di avere una probabilità di tumore superiore alla media; infine il progetto IManageCancer per inventare app specifiche al servizio dei malati. E non è ancora tutto se si pensa all’ulteriore idea - appena accennata sopra - con cui la ricercatrice Alessandra Gorini, collaboratrice della professoressa Pravettoni e psicologa a sua volta, ha iniziato a studiare il modo per lanciare al più presto anche in Italia la prima piattaforma attraverso cui i pazienti potranno mettere in Rete il loro giudizio sui medici che li hanno curati.
«Dobbiamo entrare - dice il fondatore dello Ieo, Umberto Veronesi - in una fase nuova: la medicina della persona. Conoscere quindi non solo le connotazioni della sua malattia ma la percezione, l’elaborazione mentale e la memorizzazione della malattia stessa».
A discuterne domani con tutti loro saranno anche Massimo Cacciari, professore emerito di Filosofia all’Università San Raffaele, e il gesuita Carlo Casalone, medico e presidente della Fondazione Carlo Maria Martini. A chiudere con un sorriso saranno comunque Aldo, Giovanni e Giacomo.
Paolo Foschini