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CRITICA DELLA CONOSCENZA E DELLA RAGIONE MEDICA: "ABBI IL CORAGGIO DI AS-SAGGIARE".

C. F. SAMUEL HAHNEMANN: "AUDE SÀPERE". LA RIVOLUZIONE COPERNICANA IN MEDICINA. Alcune indicazioni per una rilettura dell’Organon dell’arte del guarire - di Federico La Sala

(... ) come il cammino di Hahnemann incroci (per vie ancora non conosciute, tutte ancora da esplorare) l’orizzonte critico kantiano (...)
venerdì 10 aprile 2015
[...] “Aude Sàpere”. Senza la comprensione di questa cifra specifica, un’indicazione all’apparenza sorprendente e straniante, si corre il rischio (come è successo e succede ancora) di guardare il dito e non la luna e di collocare Hahnemann (1755-1843) culturalmente e filosoficamente prima di Kant e della sua rivoluzione copernicana, all’interno della tradizione della “metafisica razionale”, “della medicina razionale”, come fanno Harris L. Coulter e (...)

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> CRITICA DELLA CONOSCENZA E DELLA RAGIONE -- Scienza e Filosofia. Falsità omeopatiche (di G. Corbellini)

domenica 20 agosto 2017

Scienza e Filosofia

Falsità omeopatiche

di Gilberto Corbellini (Il Sole-24 Ore, 19 agosto 2017)

Una parte del mondo civile ha deciso di prendere atto che i prodotti omeopatici non sono medicinali, anche se si vendono in farmacia come i veri farmaci, perché non sono controllati per sicurezza ed efficacia. Se ne parla in Australia, in Gran Bretagna e persino in Germania, di non consentire la vendita nelle farmacie di questi preparati. Il Comitato Nazionale di Bioetica chiede che ai cittadini si dica che non stanno acquistano medicinali. Negli Usa la potente FDA esige che sui prodotti omeopatici stia scritto che non sono stati controllati con metodi scientificamente validati. Entro la fine del 2018 in Italia questi preparati andranno registrati come qualunque altro farmaco e ci si aspetta una salutare moria di intrugli utili solo ad arricchire chi li fabbrica. Ma non è scontato, perché 8 milioni di italiani si fanno prescrivere prodotti omeopatici da circa 20mila medici, molti dei quali pediatri.

Ognuno è libero di credere a quel che vuole e di curarsi come vuole, ammesso che sia maggiorenne, paghi di tasca propria e non metta a rischio la salute altrui. L’etica e la legge prevedono che lo Stato usi le tasse dei cittadini per garantire (soprattutto ai più deboli) prestazioni medico-sanitarie, pubbliche o private, sicure ed efficaci, e per informare sui rischi e i possibili inganni a cui si va incontro coltivando certe susperstizioni.

Si dice che i prodotti omeopatici, pur non efficaci, sarebbero innocui perché si tratta di soluzioni senza principio attivo. Non è così. Un rapporto statunitense del 2013 riportava 10.311 casi di esposizioni a veleni contenuti in essi, di cui 8.788 riguardarono bambini sotto i cinque anni, e 697 richiesero trattamenti in un centro medico. I bambini sono più a rischio, perché genitori irresposabili e medici criminali possono non usare antibiotici o non vaccinarli. È probabile che pratiche come l’omeopatia qualche volta si associno a benefici, o attraverso effetti placebo mediati dalla comunicazione tra paziente e pseudoguaritore, o per l’effetto disintossicante che si ottiene interrompendo qualche terapia farmacologica per infiammazioni croniche. Effetti che nulla hanno a che vedere con la dottrina omeopatica. Perché l’omeopatia è solo una credenza insensata.

L’evoluzione dell’omeopatia induce a fare anche ipotesi sulle effettive ragioni del suo successo. Il libro di Paola Panciroli ne racconta la storia in Italia, inquadrandola anche politicamente. Tale pratica arrivò con l’esercito austriaco, dove la credenza medica si era diffusa perché il Principe di Schwarzenber ne era sostenitore, anche se morì per un ictus che il buon Hanhemann a Lipsia non riuscì a guarire. Il medico del principe e la truppe austriache giunsero a Napoli nel 1821, e dà lì l’omeopatia si diffondeva nello Stivale. I medici tradizionali la avversarono con articoli e libri che già allora ne ridicolizzavano i fondamenti dottrinali. Ma con l’arrivo delle epidemie di colera si creò una situazione tale per cui cominciarono a circolare statistiche inattendibili, secondo le quali chi si curava con l’omeopatia moriva di meno.

L’iniziale vantaggio selettivo dell’omeopatia fu che prima che fosse confutata la presunta efficacia del salasso, che si usasse l’anestesia e che si trovassero i microbi nelle infezioni, i trattamenti medici tradizionali erano rischiosi e dolorosi. La dottrina omeopatica si fonda su un principio magico (il simile cura il simile) e sull’uso di soluzioni altamente diluite del principio attivo (fino a niente) che agirebbe “dinamizzando” il solvente attraverso una serie di rituali piuttosto ridicoli. In quell’ecosistema medico-sanitario di inizi Ottocento, si capisce che i pazienti, soprattutto ricchi, preferissero una favola e assumere niente, che farsi salassare, purgare, operare senza anestesia, stimolare il pus delle ferite o strofinare a sangue con “revulsivi”.

Nessun argomento riuscì a rallentare la diffusione dell’omeopatia nell’Ottocento, che però declinò rapidamente nel corso della prima metà del Novecento, cioè quando la medicina scientifica mantenne le sue promesse di salute attraverso vaccini, sieri, antibiotici, insulina e una cornucopia di farmaci per i più diversi disturbi clinici. La ripresa dell’omeopatia in occidente si osservava negli anni Settanta e qualcuno l’ha spiegata con il diffondersi dei movimenti new age e delle filosofie orientaleggianti e olistiche. Può darsi. Ma il problema non è se le credenze omeopatiche sono state incorporate dalle pseudofilosofie antimoderne. La domanda vera è perché medici che si laureano nei corsi universitari, e quindi studiano fisica, chimica, biologia molecolare, immunologia, farmacologia, etc. prescrivono farmaci omeopatici. Dove o cosa avevano studiato i medici che nel 2002, per conto della FNOMCeO, sdoganarono l’omeopatia come “atto medico”? Non è forse un’insulto all’etica che l’ordine dei medici ritenga utilizzabili l’omeopatia e le pratiche non convenzionali anche nel suo Codice Deontologico (art. 15)?

Difficilmente si ridurrà l’impatto sociale delle falsità “omeopatiche”, se non si prova a capire perché queste credenze sono tornate in auge negli anni Settanta in Occidente. Oltre ai fattori esterni alla medicina, un aiuto potrebbe averlo dato il successo dell’evidence based medicine (EBM), che ha impoverito la qualità della formazione scientifica dei medici. Infatti, la metodologia statistica che ha dominato e domina i trial clinici, per cui i medici si aspettano ad esempio di poter confutare (stabilire) l’efficacia dell’omeopatia per via di inferenza statistica, ha poco di scientifico. Come si può pensare di dimostrare empiricamente che un trattamento è efficace o meno, prescindendo dalle conoscenze scientifiche di riferimento? È ridicolo. Eppure è quello che si insegna ai medici, i quali non imparano che un’ipotesi confutata o corroborata è migliore di un’altra anche sulla base di una conoscenza di sfondo, ma solo per quanto si discosta l’osservazione che fanno dal caso (p value), ovvero quanto è invalidata l’ipotesi nulla. Dimenticando cioè che il valore arbitrario scelto per p, in base al quale si confuta l’ipotesi nulla, non dice che l’ipotesi alternativa preferita sia quella giusta, ma solo che è una delle tante possibilità migliori dell’ipotesi nulla.

L’alternativa esiste, ed è l’inferenza bayesiana. Usando il fattore di Bayes, invece del p value, è facilitata l’integrazione di dati statistici e di conoscenze biologiche o di altro tipo disponibili, e si comprende meglio il ruolo del dato statistico nel giudizio medico. Il fattore di Bayes è un rapporto tra probabilità e richiede due ipotesi, nel senso che per essere contro l’ipotesi nulla deve essere a favore di un’ipotesi alternativa. Il fattore di Bayes è un confronto tra quanto bene due ipotesi predicono i dati. L’ipotesi che li predice meglio si dice che ha più sostegno empirico, e non si ragiona quindi in termini di probabilità di errore, come si fa oggi comunemente.

Le meta-analisi che trovano significatività statistiche in relazione all’omeopatia e non tengono conto che per la scienza che conosciamo c’è una minima probabilità che i prodotti omeopatici abbiano un’attività biologica, lasciano il tempo che trovano. Gli epidemiologi Maurizio Pandofi e Giulia Carreras hanno giustamente osservato, in un articolo intitolato The faulty statistics of complementary alternative medicine (European Journal of Internal Medicine 2014; 7: pp. 607-9) che «quando la giustificazione per un intervento clinico si sgancia dai principi di base della scienza, come nelle medicine complementari alternative, qualsiasi risultato positivo ottenuto negli studi clinici è più ragionevolmente ascrivibile a ipotesi (generalmente all’effetto placebo) diverse dall’ipotesi sotto controllo, che comunemente è l’efficacia specifica dell’intervento». Questo perché, come si diceva, un basso valore di p ci dice solo che l’ipotesi nulla è peggiore di quella sotto esame. Non che quest’ultima sia vera.

Se non si riforma la statistica utilizzata e insegnata agli studenti di medicina, chiarendone i limiti epistemologici, si continueranno a sfornare medici che non hanno capito o fanno confusione sulla natura del metodo scientifico, che cercheranno prove per l’efficacia di trattamenti fondati su ipotesi ridicole e che, purtroppo, in una significativa percentuale diventeranno... omeopati.


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