Galeno, medico modernissimo e uomo «rinascimentale»
di Armando Torno (Corriere della Sera/Salute, 21.10.2012)
Véronique Boudon-Millot ha appena pubblicato presso le Belles Lettres di Parigi l’atteso saggio su Galeno. È un’opera che esamina dettagliatamente la vita e l’opera di uno dei più grandi medici dell’antichità, infanzia compresa, avvalendosi delle ultime scoperte e dei recenti dibattiti critici; ne ricostruisce le frequentazioni filosofiche, gli insegnamenti, i viaggi - da Cipro alla Licia, da Siria e Palestina alla permanenza a Roma - e il suo esilio volontario.
Non soltanto: la Boudon-Millot dedica pagine dense alle «cose viste e intese» da Galeno in Asia; ripercorre le mille esperienze, da medico dei gladiatori a curatore dell’alta società dell’Urbe e di imperatori, né tralascia la ricostruzione delle sue malattie e della morte. Insomma, un ritratto che è anche un importante capitolo di storia della scienza oltre che della filosofia.
Véronique Boudon-Millot ci confida: «Curioso di tutto, parla molto di se stesso, contrariamente a quanto facevano gli antichi (si pensi a Ippocrate), e prima di Agostino e delle Confessioni è un caso da porre tra le eccezioni». Anni di lavoro, di ricerche della studiosa francese. Considera Galeno quasi nostro contemporaneo e ci ricorda che «ha frequentato i maestri della sua generazione, ma non aveva una scuola di riferimento e ha preso il meglio in un mondo dalle forti presenze culturali».
Del resto, anche se il suo nome resta immortale - l’aggettivo galenico rimanda direttamente al medicinale preparato dal farmacista in base ad una prescrizione medica, destinato a un particolare bisogno - non ha dato vita a insegnamenti istituzionali. «Sarà un riferimento per la medicina, non il padre di una scuola», osserva la Boudon-Millot.
Di più: la studiosa ci ricorda lo straordinario e attuale metodo di Galeno. «Egli cercava - precisa - di comprendere i problemi causati dalla malattia, parlando a lungo con il paziente; in altri termini possiamo dire che desiderava capire anche i riferimenti culturali della persona che si era rivolta a lui».
È inevitabile aggiungere che in codesta prospettiva era compreso anche quell’accompagnamento alla fine della vita su cui ci stiamo interrogando, senza accorgersi che i problemi che tanto oggi suscitano discussione si sono affrontati due millenni fa, e forse con uno spirito migliore.
Certo, c’è anche un Galeno polemista: la Boudon-Millot ricorda che una parte della sua bibliografia è dedicata alle confutazioni rivolte alle dottrine di Erasistrato di Ceo, anatomista greco del III secolo prima di Cristo e attivo alla corte di Seleuco I Nicatore, tra i fondatori della scuola medica di Alessandria d’Egitto: egli considerava gli atomi costituenti essenziali del corpo e li riteneva vitali grazie all’aria esterna (pneuma), la quale sarebbe stata in grado di circolare nelle arterie. Galeno non amava né Epicuro né Democrito e, di conseguenza, non poteva approvare una simile concezione.
Del resto prese le distanze e confutò anche le opinioni di Asclepiade di Prusa (morto nel 40 a. C.), seguace di quelle teorie fisiche che intendevano il corpo composto da atomi separati da spazi vuoti (pori), sostenitore dell’ipotesi che la malattia nascesse dallo squilibrio tra gli stessi atomi e i pori. Pensò che quando questi ultimi si presentano molto larghi causano pallore e pochezza di forze, se troppo stretti rossore e calori.
I suoi rimedi terapeutici, proprio per questa sua visione fisica dei problemi, si basavano su massaggi, bagni termali, passeggiate e musica. Non ebbe particolare fiducia nei salassi, e a tale giudizio negativo aggiunse anche i farmaci.
Galeno era lettore di filosofi, come Ippocrate, e pensatore egli stesso. Più vicino a grandi maestri quali Platone e Aristotele, conosceva bene gli stoici, non ignorava i lavori degli epicurei e dei pirroniani, ma - come nota la Boudon-Millot - questi ultimi «ne font pas partie de ses maîtres à penser».
Il saggio ci restituisce uno scienziato poco noto, nato nel 129 d. C., vissuto sette secoli dopo Ippocrate, che non entrò in contraddizione con il suo illustre predecessore e scrisse moltissimo. La sua opera, d’altra parte, corrisponde a circa un ottavo di tutta la letteratura greca che conosciamo. Con essa arricchì e trasmise l’eredità ippocratica, al punto che la sua gloria soppiantò la precedente per tutto il Medioevo e il Rinascimento; oggi, invece, sembra accadere il contrario.
Insomma, colui che ebbe l’onore di curare Marco Aurelio fu, oltre che testimone privilegiato della società romana del suo tempo, l’uomo di scienza che desidera «introdurci nell’intimità dei suoi malati, ricchi e poveri, e nel segreto delle loro case».
Scorrendo le pagine della Boudon-Millot, ci accorgiamo che Galeno di Pergamo padroneggiava innumerevoli materie oltre quelle mediche, tra le quali sono da considerare anche terapeutica e igiene; la sua mente spaziava nella filosofia (era un eccellente conoscitore di etica), nelle matematiche, non era secondo nel teatro e nella poesia, poteva discutere di architettura e di quella disciplina che oggi chiamiamo linguistica. Insomma, una mente universale che si dedicava a diagnosticare la malattia e a curarla con una metodologia che mai dimenticava l’umanità necessaria per essere vicino al paziente.
Ci sarebbero infinite notizie da aggiungere. I suoi interessi religiosi (riguardavano anche ebrei e cristiani), gli esperimenti con gli animali, l’uso che fece dell’oppio unito all’alcol per creare analgesici.
Una prefazione di Véronique Boudon-Millot, docente alla Sorbona, apre anche un libro di Giorgio Cosmacini e Martino Menghi Galeno e il galenismo. Scienza e idee della salute (Franco Angeli, pp. 176, 20). L’opera, appena uscita, mette a fuoco in due saggi l’antico scienziato e la sua fortuna attraverso i secoli. Se Menghi pone in evidenza il «medico filosofo», soffermandosi sulla formazione di Galeno, sulle sue opere e soprattutto sulle terapie del corpo e dell’anima da lui proposte o testimoniate, Cosmacini approfondisce il concetto di «galenismo», ovvero di quell’«ideologia di lunga durata» che giunge ai nostri giorni passando attraverso la scuola salernitana o la medicina ebraica e araba, Descartes, Harvey, l’illuminismo.
Insomma, non è autore da dimenticare nemmeno oggi, giacché - scrive Cosmacini - «la virtù galenica della temperanza... è un pilastro che sostiene una concezione di vita dove questa è vista scorrere senza scompensi e senza affanni, in buona salute e in sicura salvezza, se incardinata su una medicina intesa come arte spirituale e razionale e come medianità (dal nome medietas deriverebbe il nome "medicina")».
Menghi, da parte sua, mette in evidenza la profonda trasformazione che avviene con Galeno: dal medicus amicus delineato da Celso si passa alla «condizione psicologica di sottomissione che si traduce nella puntuale osservanza delle indicazioni, nell’obbedienza alle sue direttive e prescrizioni». Descrizione da intendersi senza mai dimenticare il concetto di medicus gratiosus, «che preferisce convincere i suoi pazienti piuttosto che impartire loro degli ordini». E anche se tradiva Seneca e la sua concezione circolare dei «benefici», portava qualcosa di nuovo e diventava il garante della salute fisica e morale dell’umanità.
Inoltre, quei suoi consigli in materia di temperanza alimentare ed erotica inducono inevitabilmente il medico ad essere un punto di riferimento anche per la morale. Ma non tutto finisce qui. Si incontrano in queste pagine anche le problematiche legate alla dissezione, che Galeno praticò e insegnò, alla quale il medico renano Günther von Andernach - grecista e traduttore di opere del maestro - proclamò la sua avversione ricordando a tutti di volere «servirsi del coltello solo a tavola».
Il progetto di pubblicazione delle opere di Galeno nella serie greca de Les Belles Lettres è di una sessantina di volumi, l’ultimo dei quali - inedito sino alla recentissima scoperta - è il De indolentia (titolo francese: Ne pas se chagriner). Un elenco completo delle opere conservate e perdute di Galeno si legge nel saggio di Véronique Boudon-Millot alle pagine 351-374.
In italiano la raccolta più ampia di scritti tradotti si deve a Mario Vegetti (il nostro maggior specialista del medico filosofo) e Ivan Garofalo: Opere scelte, volume di 1144 pagine edito nel 1978 nei «Classici della scienza» Utet, collana diretta da Ludovico Geymonat.
Il De indolentia e il De propriis placitis, invece, sono usciti quest’anno in un volume Bur con il titolo L’anima e il dolore, con traduzione e testo a fronte. Nel 2011 presso Fabrizio Serra è stato pubblicato il De differentiis febrium libri duo arabice conversi. Ma il nome dell’antico scienziato si ritrova anche in molte discussioni contemporanee, come mostra il saggio di David Sedley Creazionismo. Il dibattito antico da Anassagora a Galeno (editore Carocci). O nelle questioni alimentari, come insegna Mark Grant con La dieta di Galeno. L’alimentazione degli antichi romani (edizioni Mediterranee).