Detroit dichiara bancarotta: è la più grande città Usa a "fallire"
Il governatore avvia le procedure di emergenza finanziaria per la città capitale dell’auto. Il debito ammonta a oltre 18,5 miliardi di dollari
dal nostro inviato MASSIMO VINCENZI *
NEW YORK - Alla fine di una delle giornate più calde di questa bollente estate americana, Detroit entra ufficialmente nel suo inferno: arriva infatti nel tardo pomeriggio il via libera alle procedure previste dalla legge per il fallimento della città. La capitale dei motori e della musica nera conquista così il non invidiabile record della bancarotta più grande della storia americana. E’ la prima metropoli ad arrendersi davanti all’impossibilità di pagare i propri debiti che oscillano tra i 18 e i 20 miliardi di dollari.
Il commissario straordinario, Kevyin Orr non è riuscito nel miracolo che gli aveva chiesto a marzo il governatore del Michigan Rick Snyder. Che ora si limita a dire: “Mi sembra che non ci sia altra soluzione”. Eppure Orr ci ha provato in tutti i modi: ore al tavolo delle trattative con i creditori per convincerli ad allentare la presa, poi ancora con i sindacati per provare ad ottenere un via libera a tagli del personale e riduzione delle retribuzioni. Al termine di una riunione più difficili, verso la fine di giugno sbotta davanti ai microfoni: “Servono sacrifici dolorosi e devono essere condivisi da tutti. Ognuno deve fare la sua parte, altrimenti sarà la bancarotta”.
Ma non c’è stato niente da fare, i manifestanti rimangono sotto il suo ufficio con i cartelli: HANDS OFF OUR PENSIONS, giù le mani dalle nostre pensioni. E così dopo anche gli ultimi no, ecco la decisione non più rinviabile. Una mossa rischiosa e quasi paradossale, che arriva infatti nel momento in cui il settore dell’economia privata è in decisa ripresa. I tre giganti dell’auto Gm, Ford e Chrysler sono fuori dal tunnel: la produzione è ripartita, i contratti girano e anche secondo l’ultimo Beige Book della Fed il mercato delle quattro ruote è destinato a tornare sul bello stabile. Il New York Times raccontava due giorni fa del “miracolo di Jefferson North”, la fabbrica dove la Chrysler/Fiat produce la nuova Jeep Grand Cherokee destinata a portare nelle casse della società quasi due miliardi di dollari: “Un segno di speranza , la prova che la spirale negativa della città può essere interrotta”.
Persino il settore immobiliare segna qualche timido accenno di ripresa con il ritorno di investimenti nella parte più ricca. Ma la desertificazione dei quartieri, soprattutto quelli periferici, è la causa scatenante che ha portato al Chapter 9, la pratica che regola i fallimenti delle municipalità. “Siamo una grande città, ma siamo in declino da oltre sessant’anni”, dice Orr nella sua conferenza stampa più triste. Come rimanere a vivere da soli dentro una palazzo: la manutenzione costa, i servizi costano, tutto costa mai soldi non entrano più, visto che la base fiscale a cui far pagare le tasse si è ridotta. Dai quasi 2 milioni degli anni Cinquanta agli ottocentomila abitanti scarsi di oggi, dal 2000 un balzo all’indietro del 26%: il calo è vertiginoso. Una città dentro la città di quasi ottantamila edifici è disabitata, il 40% delle luci stradali non funziona, vigili del fuoco e polizia sono al limite della loro operatività. Gli agenti rispondono al numero delle emergenza, il 911, quasi con un’ora di ritardo, la media nazionale è di 11 minuti. Al contrario della criminalità che invece funziona benissimo contendendo a Chicago il record di violenza e omicidi. E sale pure la disoccupazione che negli ultimi dieci anni è passata dal 7.6% al 18,6%.
A peggiorare la situazione decenni di amministrazione pubblica a cavallo tra l’incapacità e il malaffare, con un’altalena di operazioni finanziare sbagliate, intervallate da veri e propri episodi di corruzione. Per questo un avvocato che ha seguito altri fallimenti pubblici e che conosce bene il caso di Detroit spiega al New York Times: “Non basterà sanare il debito, serve un cambio strutturale di tutta la gestione a partire dagli stipendi dei lavoratori pubblici, altrimenti da qui a pochi mesi i problemi torneranno uguali ad adesso”. E un altro sul Washington Post usa una metafora eloquente: “Come se fossimo stati investiti da una Katrina, ma lunga dieci anni”.
Quando riceverà il via libera ufficiale, il commissario potrà procedere a vendere gli asset per trovare un po’ di ossigeno. Una decisione, la sua, molto contrastata all’interno della metropoli, con i manager delle aziende private che hanno provato in tutti i modi a fargli cambiare idea. Spaventati dalle conseguenze imprevedibili di questa strada, a partire dal discredito gettato sul brand. Essendo il primo caso così grande, gli esperti infatti si dividono nei commenti sui media americani su quello che potrebbe accadere adesso. E lo stesso Obama segue passo dopo passo la situazione e i suoi collaboratori sono in stretto contatto con il commissario e il governatore. L’impressione è che molte altre città, nella stessa situazione, siano alla finestra per capire dove porta la strada della bancarotta: “Come se avesse ceduto una diga”, dice un’analista alla Cnn. Non resta che vedere se l’onda sarà bella da cavalcare o se travolgerà le speranze di Motor City.
* la Repubblica, 18 luglio 2013