Se l’America punisce il sogno americano
di Guido Rossi (Il Sole 24 Ore, 25.08.2012) *
Con alterne vicende la democrazia americana ha costituito per il resto dell’Occidente un sicuro punto di riferimento, sia pur a volte ambiguo e non privo di aspre critiche, ma apprezzato come una sorta di centro dell’Impero, con tutti gli avvicinamenti e le lontananze possibili.
Ancora oggi non v’è dubbio che la situazione interna ed estera degli Stati Uniti produca effetti e conseguenze globali che ci riguardano da vicino, poiché le vicende americane non possono essere considerate separate ed avulse dalle prospettive politiche ed economiche dell’Europa e del nostro Paese.
Peraltro, già dal 1840 nel suo grande libro "De la démocratie en Amérique" Alexis de Tocqueville aveva intuito una possibile deriva della democrazia nell’isolamento individualistico, nella mancanza di solidarietà, nel conformismo e nell’uniformità che rendono i singoli dipendenti da chi comanda e meno liberi.
Riprendeva ben più pesantemente la critica, con indiscussa maestria, un secolo dopo Jean Cocteau, al termine della "Lettera agli americani" (Archinto, 2002), invitandoli a «riconoscere che la vostra libertà vuol dire che siete liberi di non essere liberi e che in questa forma accettate di essere diretti e privati di libertà».
Recentemente la situazione politica americana sembra decisamente peggiorata e sempre più incline ad adottare la formula dello "stato di eccezione", creato da paure reali o indotte, che portano a ritenere che regole e diritti garantiti dai principi costituzionali possano essere sospesi. Sono infatti i ben noti e ampiamente illustrati casi Wikileaks, Snowden e da ultimo Manning, che stanno ancora riempiendo le cronache, a rivelare la crisi di un sistema politico con un diffuso contributo degli "Whistleblower", quegli ambigui "soffiatori di fischietto", da noi più noti come "gole profonde", praticanti di illegalità legalizzate e premiate, sia pur nell’incertezza dell’applicazione delle regole.
Compito principale dello Stato è garantire la sicurezza ai suoi cittadini, sicché quando si ritenga che questa viene minacciata, passa in secondo piano la tutela dei diritti dei cittadini, vuoi in nei loro diritti politici, vuoi in quelli economici.
E fra questi per primo a soccombere è il diritto di libertà nella sua dimensione della privacy, della conservazione della propria identità, cultura, credo ed opinione, nell’eguaglianza, insomma, di tutti quelli che vengono chiamati diritti fondamentali.
Sicurezza e diritti costituiscono dunque un equilibrio difficile, dacché lo choc dell’11 settembre ha legittimato l’intrusione di controlli incisivi nella identità e nella vita dei cittadini, allo scopo di garantire da parte dello Stato la sicurezza delle vite umane nella lotta contro il terrorismo.
È al riguardo inappuntabile l’ultimo commento dello Wall Street Journal che: "too much security can produce a kind of madness", sicché in quel caso la paranoia dello stato di eccezione fa saltare le regole della democrazia.
Ed è così che la National Security Agency (Nsa) controlla il 75% delle email degli americani e ha registrato ben 56mila telefonate attraverso la tecnologia internet. Ciò è avvenuto senza alcuna protezione della privacy e, come ha confermato la Corte di sorveglianza sul Foreign Intelligence, con aperte violazioni della Costituzione.
Alcuni commenti recenti nelle pagine dello Wall Street Journal e del New York Times, per citare tra i più autorevoli e diffusi quotidiani, hanno sottolineato con vigore che le libertà civili sono a rischio e che incombe il pericolo che la sicurezza diventi un apparato industriale governativo che non protegge quel che è veramente a rischio, ma serve ad altri scopi, in un sistema di controlli, aiutato da uno sviluppo tecnologico senza freni, che mentre predica anche legislativamente la trasparenza opera nell’opacità. [...]
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