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ABITARE LA TERRA. In cammino verso l’Eden, il paradiso terrestre, o verso l’inferno terrestre? Il tema della casa nell’immaginario statunitense ....

AMERICAN DREAM. La crisi del sogno americano. Un saggio (con un’analisi del romanzo di Robert Marasco, "Burnt Offerings") di Mariantonietta Rasulo - a c. di Federico La Sala

“L’intero destino dell’America è contenuto nel primo puritano che sbarcò in America...” Sono queste le parole che Alexis de Tocqueville scrisse durante il suo celebre viaggio negli Stati Uniti
mercoledì 14 settembre 2011 di Federico La Sala
Il mito del Sogno Americano ha permesso la creazione di una società che aspira alla perfezione e che trova nel suburb, il quartiere residenziale, la sua realizzazione più significativa. Per questo osserveremo da vicino la cittadina di Levittown (Long Island), la prima forma di suburb costruita con l’intento di realizzare un nuovo ideale di vita familiare tale da rendere la casa un luogo sacro dal valore inestimabile. La metafora architettonica di Levittown, mutuata dal modello puritano, servirà alla nostra analisi per individuare il simbolo maggiormente tangibile dell’American Dream: la proprietà, la casa come possesso e sfoggio di benessere. (...) il romanzo Burnt Offerings, rappresenta uno dei più significativi esempi di trasposizione della Haunted House Formula come metafora dei problemi sociali ed economici dell’America degli anni Settanta

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>Incubo “Dreamers”. 800 mila giovani rischiano di essere espulsi dagli Stati Uniti. Una decisione crudele contraria al nostro spirito e al buon senso (Obama)

mercoledì 6 settembre 2017

Incubo “Dreamers”, con Trump 800 mila americani a rischio

Il "falco" dell’amministrazione Jeff Sessions annuncia la fine del «Daca», il programma di Obama per i migranti arrivati da bambini e cresciuti negli Stati uniti. Nei giorni scorsi gran via vai di consiglieri alla Casa bianca. Alla fine ha prevalso l’ala più estremista. La reazione dell’ex presidente: «Colpire questi giovani è sbagliato e crudele, non hanno fatto niente di male»

di Marina Catucci (il manifesto, 06.09.2017)

NEW YORK Donald Trump ha deciso alla fine di chiudere il programma di Obama sull’immigrazione, il Daca (Deferred Action for Childhood Arrivals), che proteggeva gli immigrati irregolari arrivati negli Stati uniti da bambini, al seguito dei i propri genitori, che erano immuni dalle espulsioni e, da adulti, avevano ottenuto il permesso di lavoro. L’idea era che questi bambini cresciuti in America, immersi in questa cultura, sono a tutti gli effetti americani, Dreamers, sognatori, li aveva chiamati Obama.

«Sono americani nel cuore, nello spirito, in ogni altro modo a eccezione di uno solo, i documenti», ha reagito l’ex presidente Usa, definendo «crudele» la decisione. Un «autogol», ha rincarato Obama in serata: «Colpire questi giovani è sbagliato, non hanno fatto nulla di male. Vogliono avviare nuove imprese, lavorare nei nostri laboratori, servire nelle nostre forze armate...».

ORA, INVECE, TRUMP ha chiesto al Congresso di sostituire il programma Daca con una nuova legge entro il 5 marzo 2018. A comunicarlo non è stato Trump, ma il procuratore generale Jeff Sessions, con un annuncio brevissimo dopo il quale non ha accettato domande.

La Casa Bianca quindi non accetterà nuove richieste di protezione sotto il Daca, ma al momento gli attuali 800mila iscritti del programma non corrono rischi immediati di deportazione in paesi che di fatto non conoscono, e dopo aver dato volontariamente i propri dati all’amministrazione precedente, quella attuale li sta usando come elenco di deportazione che smembra famiglie e interrompe percorsi di vita.

Il provvedimento è stato definito il più crudele della presidenza Trump fino ad ora, e tuttavia la mossa del presidente che fa inorridire la sinistra e la destra moderata, è probabile che sia accolta con scetticismo da molti dei sostenitori più conservatori di Trump, che volevano non un rinvio al Congresso, ma la fine definitiva di quello che è considerato un abuso da parte di Obama.

UNA SOLUZIONE CONTROVERSA che scontenta tutti, in pratica, e spacca ulteriormente il Partito repubblicano, già diviso dalla battaglia che è stato il voto fallimentare sull’Obamacare.

Non è nemmeno chiaro, infatti, se il Congresso controllato dai repubblicani sarà disposto a votare per annullare o meno il Daca; anche nei dibattiti più aspri dell’ultimo decennio, i bambini portati illegalmente negli Stati uniti, che hanno studiato o sono diventati militari, hanno sempre attirato più empatia che critiche. In questi giorni in cui il Texas è devastato dal passaggio dell’uragano Harvey, per la posizione geografica di questo Stato di confine si sono visti molti Dreamers nei vari corpi di soccorso, mettere la propria vita a rischio per salvare quelle dei texani, o perderla, come nel caso di Alonso Guillen, nato in Messico è cresciuto in America, la cui barca si è capovolta mentre stava salvando i sopravvissuti delle inondazioni nella zona di Houston.

ORA, INVECE, chi non è già protetto dal programma è a rischio, chi ha un permesso Daca che scade tra oggi e il 5 marzo 2018, può richiedere un rinnovo ma solo di due anni; per altri, lo status giuridico termina già il 6 marzo 2018. «Non è chiaro cosa significhi ritardare questo provvedimento di sei mesi - ha detto al New York Times Mark Krikorian, a capo del Centro per gli studi sull’immigrazione -. Trump è stato tirato in molte direzioni diverse, e siccome non ha nessuna ideologia forte, o una vera conoscenza del problema, finisce per non sapere cosa fare».

LA PRIMA REAZIONE politicamente pragmatica è arrivata dal governatore democratico dello stato di New York, Andrew Cuomo, secondo il quale lo Stato della Grande mela difenderá i suoi Dreamers e porterà in tribunale la decisione di Trump. Intanto sono state organizzate manifestazioni in tutti gli Stati uniti, sin dalla mattina si sono visti picchetti di centinaia di persone davanti alla Casa Bianca, sotto le Trump tower sparse in tutta America. Una veglia era stata fatta durante la notte sotto casa di Ivanka Trump e di suo marito e consigliere del presidente, Jared Kushner, e altre più grosse manifestazioni sono attese in serata. «ERA UN DISASTRO annunciato - dice William, avvocato newyorchese che ha preso un giorno libero per manifestare sotto la Trump tower -. Trump deve dare un segnale ai suoi, non ha mantenuto nessuna delle promesse elettorali, forse non riuscirà a costruire nemmeno un metro di muro col Messico. Questa è una mossa più facile per dimostrare fedeltà alla propria base, fa niente che sia crudele, inutile ed economicamente dannosa».

In effetti il fine settimana di Trump ha visto un via vai di consiglieri avvicendarsi e ha prevalso l’ala più estremista, capeggiata proprio da Jeff Sessions, in disperato bisogno di tornare tra le grazie del presidente dopo le frizioni legate alle indagini sul Russiagate nelle quali era troppo coinvolto.

OGNUNO ha, evidentemente, una serie di personali ragioni di credibilità che lo portano ad affrontare e ad usare come mezzo il Daca. Come se migliaia di vite non ne venissero coinvolte.


L’ex presidente ha deciso di scrivere un post su Facebook subito dopo l’annuncio di Sessions. Ecco il testo

Una decisione crudele contraria al nostro spirito e al buon senso

di Barack Obama (la Repubblica, 06.09.2017)

QUELLO dell’immigrazione può essere un tema controverso. Tutti desideriamo dei confini sicuri e un’economia dinamica, e le persone possono legittimamente nutrire opinioni discordi su come correggere il nostro sistema di immigrazione affinché tutti si attengano alle regole. L’iniziativa presa oggi dalla Casa Bianca però non si basa su questi presupposti. Stiamo parlando di giovani che sono cresciuti in America: bambini che studiano nelle nostre scuole, giovani adulti che stanno muovendo i primi passi nel mondo del lavoro, che giurano fedeltà alla nostra bandiera. Questi dreamers sono americani nel cuore, nella mente, e in tutti i modi ad eccezione di uno: sulla carta.

Sono stati portati in questo Paese dai loro genitori, in alcuni casi quando erano ancora neonati. Magari non conoscono nessun altro Paese al di fuori del nostro. Forse non parlano un’altra lingua. Spesso nemmeno sanno di essere senza permesso sino al momento in cui presentano una domanda di lavoro, si iscrivono all’università o fanno domanda per prendere la patente. Nel corso degli anni i politici di entrambi i fronti hanno lavorato insieme per preparare delle leggi che dicessero a questi giovani - ai nostri giovani - che nel caso in cui i tuoi genitori ti abbiano portato qui da bambino e tu abbia trascorso qui un certo numero di anni, se sei disposto ad andare all’università o ad arruolarti nelle forze armate hai la possibilità di rimanere qui e guadagnarti la cittadinanza. Per anni, quando ero presidente, ho chiesto al Congresso di inviarmi una simile proposta di legge. Quella proposta non è mai arrivata. E poiché non aveva senso espellere dei giovani di talento e pieni di entusiasmo dall’unico Paese che conoscevano esclusivamente a causa dell’operato dei loro genitori, la mia amministrazione si è data da fare per fugare l’ombra della deportazione che incombeva su questi giovani, affinché essi potessero continuare a dare il loro contributo alle nostre comunità e al nostro Paese. Lo abbiamo fatto basandoci sul principio legale, ben fondato, della discrezionalità dell’accusa, a cui sia presidenti democratici che repubblicani hanno fatto ricorso, perché le agenzie che si occupano di mettere in atto le leggi sull’immigrazione dispongono di risorse limitate, ed è sensato impiegare tali risorse per coloro che giungono in questo Paese illegalmente per nuocerci. Le deportazioni dei criminali sono aumentate. Circa ottocentomila giovani si sono fatti avanti: hanno soddisfatto requisiti stringenti e il controllo della loro fedina penale. E grazie a questo l’America è diventata più forte. Oggi quell’ombra è tornata nuovamente a gravare su alcuni dei migliori e dei più brillanti dei nostri giovani.

Prendere di mira questi ragazzi è sbagliato, perché essi non hanno fatto nulla di sbagliato. Equivale ad un autogol, poiché intendono lanciare nuove attività, lavorare nei nostri laboratori, arruolarsi nel nostro esercito e contribuire in altri modi al Paese che amiamo. Ed è crudele. Cosa accadrebbe se l’insegnante di scienze di nostro figlio, o la nostra gioviale vicina di casa si rivelasse essere una dreamer? Dove dovremmo spedirla? In un Paese che non conosce o di cui non ha memoria, in cui si parla una lingua che magari nemmeno conosce?

Sia chiaro: l’iniziativa che è stata presa oggi non è imposta dalla legge. Si tratta di una decisione politica e di una questione morale. Quali che siano le preoccupazioni o le rimostranze che gli americani possono nutrire nei confronti dell’immigrazione in generale, noi non dovremmo minacciare il futuro di questo gruppo di giovani che si trovano qui non per colpa loro, che non rappresentano alcuna minaccia, che non tolgono nulla a tutti quanti noi. Sono quel lanciatore della squadra di softball di nostro figlio, quel paramedico che aiuta la sua comunità dopo un disastro, quel cadetto riservista che non chiede altro che di poter indossare una divisa del Paese che gli ha offerto un’opportunità.

È proprio perché questa iniziativa è contraria al nostro spirito e al buon senso che gli esponenti del mondo del lavoro e della religione, gli economisti e gli americani di ogni schieramento avevano fatto appello all’amministrazione affinché non facesse ciò che ha fatto. E adesso che la Casa Bianca ha trasferito al Congresso la responsabilità che ha nei confronti di questi giovani, toccherà ai membri del Congresso proteggere loro e il nostro futuro.

Infine, si tratta di elementare moralità. Si tratta di vedere se siamo un popolo che caccia dall’America i giovani che sono determinati a farsi strada. È questione di definire che popolo siamo - e che popolo vogliamo essere. A renderci americani non sono le somiglianze, o l’origine del nostro cognome, o il modo in cui preghiamo. Ciò che fa di noi degli americani è la fedeltà verso un insieme di ideali: siamo creati uguali; tutti meritiamo la possibilità di fare della nostra vita ciò che desideriamo; tutti abbiamo il dovere di farci avanti. È questo ciò che ha permesso all’America di fare così tanta strada. Ed è così che, continuando su questa strada, perfezioneremo la nostra Unione.

(Traduzione di Marzia Porta)


Trump cancella il sogno dei migranti

di Giuseppe Sarcina (Corriere della Sera, 06.09.2017)

      • Si spezza il sogno americano di migliaia di giovani immigrati giunti illegalmente negli Usa. Il presidente Trump ha avviato lo smantellamento del programma che li proteggeva dall’espulsione e consentiva loro di lavorare con permessi temporanei. Molte le voci critiche, da Barack Obama ai giganti dell’ hi-tech .

WASHINGTON Dal sogno all’incubo. Circa 800 mila giovani rischiano di essere espulsi dagli Stati Uniti il 5 marzo 2018, quando scadrà la copertura legale del programma Daca, «Deferred action for childhood arrivals».

Ieri il ministro della Giustizia Jeff Sessions ha annunciato che il provvedimento emanato da Barack Obama nel giugno del 2012 è «abrogato». La norma protegge le persone entrate illegalmente negli Stati Uniti, quando erano bambini con meno di 16 anni. A loro viene garantita la possibilità di «vivere il sogno americano». Nel concreto significa ottenere un permesso di lavoro valido due anni (rinnovabile), a patto di soddisfare sette requisiti, tra i quali: avere avuto meno di 31 anni nel giugno del 2012; risiedere negli Usa dal giugno 2007; frequentare o aver frequentato le scuole.

La decisione è stata annunciata con un tweet da Donald Trump: «Congresso, preparati a fare il tuo lavoro-Daca». Camera dei Rappresentanti e Senato hanno sei mesi di tempo per elaborare un altro schema di tutele. Se non si troverà un accordo, i «sognatori» verranno spediti nei Paesi di origine.

Il presidente dice di aver tenuto fede a un impegno preso nella campagna elettorale. Sessions mette in bella copia le motivazioni. La prima è giuridica: «Il potere esecutivo aveva agito in modo unilaterale, creando grande incertezza sul piano legale». La seconda, di merito: «La nazione deve poter fissare il limite di quanti immigrati accettare ogni anno e questo significa che non tutti possono essere ammessi». Lo stesso Obama replica con un lungo post su Facebook: «È una scelta sbagliata, autolesionista, crudele». Da oggi, dunque, gli uffici amministrativi non accetteranno altre domande, ma la situazione non è affatto chiara.

Nei giorni scorsi i procuratori generali di dieci Stati hanno minacciato il ricorso alla Corte Suprema contro il Daca. Nello stesso tempo Trump ha ricevuto l’appello «a favore dei dreamer s», firmato dai manager di General Motors, Hewlett Packard, Wells Fargo e Marriott. Il New York Times segnala il calcolo di Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analitics: a questo punto il Prodotto interno degli Stati Uniti potrebbe diminuire di 105 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni.

È una vicenda in cui si mescolano interessi materiali, memoria, identità. Il fronte anti Trump tiene insieme l’ex ministro della Difesa, il democratico Leon Panetta, figlio di immigrati italiani, e Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, che sceglie più o meno le stesse parole di Obama: «giornata triste e crudele per l’America».

Il presidente afroamericano si misurò nel 2012 con il problema forse più difficile. Il 5 giugno 2012, durante le elezioni, trovò l’ufficio di Denver, in Colorado, occupato da un sit-in contro la sua politica migratoria. Il 15 annunciò la nascita dello «scudo per i figli degli irregolari».

Anche ieri c’è stata una manifestazione di protesta: due-trecento attivisti si sono radunati davanti alla Casa Bianca. Ma per Trump quelle voci non contano: il presidente guarda alla sua base elettorale, rocciosa e ostile con gli stranieri. Ancora una volta, però, l’operazione è parziale. Come è successo con l’Obamacare, The Donald distrugge, ma non offre soluzioni alternative. I consiglieri dello Studio Ovale sono divisi, i repubblicani, se possibile, ancora più confusi. E l’agenda parlamentare di settembre è già disseminata di trappole: dalla discussione sul tetto del debito alla riforma fiscale.


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