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SUPERATA LA VELOCITA’ DELLA LUCE. «Siamo piuttosto certi dei nostri risultati ma abbiamo bisogno che altri colleghi li confermino», ha dichiarato il ricercatore italiano, Antonio Ereditato, che lavora al centro di fisica delle particelle del Cern

AL DI LA’ DELLA TEORIA DELLA RELATIVITA’. I neutrini battono la luce di 60 nanosecondi sulla distanza di 730 km, tra Ginevra, sede del Cern, e il Gran Sasso, sede del laboratorio dell’Istituto di Fisica Nazionale (Infn). Una nota - a c. di Federico La Sala

sabato 24 settembre 2011 di Federico La Sala
Il Cern di Ginevrà infligge un duro colpo ad uno degli assiomi della relatività di Albert Einstein, secondo il quale nell’universo niente può superare il limite della velocità della luce. Un team di ricercatori guidato dall’italiano Antonio Ereditato ha registrato che i neutrini, le particelle più piccole e così sfuggente da attraversare qualsiasi solido, hanno superato i 300.000 chilometri al secondo.

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> AL DI LA’ DELLA TEORIA RELATIVITA’. --- Per il momento siamo sul terreno delle ipotesi più ardite (Mario CAttaneo) - L’annuncio del Cern della velocità superluminale dei neutrini ha scatenato accese discussioni sulle possibili conseguenze epistemologiche dell’ormai famoso esperimento (Piergiorgio Odifreddi)

domenica 2 ottobre 2011

Siamo entrati nel dopo Einstein?

Il risultato coinvolgerebbe tre delle più importanti idee del XX secolo: la relatività speciale di Einstein, la teoria dei campi elettromagnetici e quella elettrodebole

Come cambierebbe la fisica se si andasse più veloce della luce

L’esperimento del Cern è finito in prima pagina su tutti i giornali del mondo: se davvero il neutrino fosse più veloce della luce si aprirebbe una nuova era. Non solo per la comunità degli studiosi. Tre delle idee più importanti del XX secolo dovrebbero essere riviste: tra queste la relatività speciale. In attesa di conferme dai fisici, vediamo cosa succede quando la scienza cambia paradigma

di Marco Cattaneo (la Repubblica, 02.10.2011)

Fino alla fine dell’Ottocento i fisici erano convinti che lo spazio fosse pervaso di un mezzo invisibile attraverso il quale si propagava la luce: l’etere luminifero. La sua esistenza era necessaria per conciliare le leggi della fisica, e in particolare il principio di relatività galileiano con le equazioni di Maxwell che descrivono il legame tra il campo elettrico e il campo magnetico, da cui emergono le onde elettromagnetiche, che comprendono la luce visibile. Così, nell’ultimo quarto del secolo, fiorirono gli esperimenti per verificare la natura dell’etere. E nel 1887 Albert Abraham Michelson ed Edward Morley misero a punto un sofisticato strumento per misurare l’esistenza del "vento d’etere". econdo le congetture dell’epoca, infatti, il misterioso mezzo avrebbe dovuto influenzare la velocità di qualunque cosa vi fosse stata immersa, compresa la luce. Michelson e Morley suddivisero dunque un fascio di luce in due fasci che percorrevano cammini perpendicolari, per studiarne l’interferenza nel punto in cui convergevano nuovamente su uno schermo, ma il loro ingegnoso trucco portò a un esito allarmante: la velocità della luce sembrava indipendente dalla direzione, e perciò non ci sarebbe stato nessun etere a trasportarne le onde. Ripetuto in laboratori diversi e con differenti modalità fino al 1906, l’esperimento di Michelson e Morley sarebbe stato definito, più avanti nel Novecento, "il più riuscito esperimento fallito della storia della scienza". Ma la sua realizzazione spalancò le porte all’elaborazione delle trasformazioni di Poincaré e Lorentz prima e, in ultimo, alla teoria speciale della relatività di Albert Einstein. Questa lunga premessa per dire che, pur con importanti differenze sotto il profilo epistemologico e storico, se i risultati ottenuti con il rivelatore Opera sul fascio di neutrini in viaggio tra il CERN e il Gran Sasso fossero validati e confermati da altri esperimenti analoghi, saremmo davanti a un evento di quelli che la scienza produce una volta per secolo, o giù di lì. Il condizionale è indispensabile, perché in fisica una conferma è la realizzazione di un esperimento indipendente da cui emergono i medesimi risultati. Perché i neutrini superluminali diventino davvero una svolta epocale per la fisica del XXI secolo, dunque, occorre che si realizzino tre condizioni. La prima è che i dati resi pubblici dalla collaborazione Opera reggano ad analisi indipendenti. I risultati sulla velocità dei neutrini sono espressi in forma statistica, e la loro affidabilità dipende dal margine di errore intorno ai tempi misurati. Se fosse più rilevante di quanto indicato, allora i neutrini potrebbero avere una velocità compatibile con quella della luce nel vuoto, o anche leggermente inferiore. La seconda condizione è la verifica dei risultati da parte di esperimenti indipendenti. Non è un caso se l’esperimento di Michelson e Morley fu ripetuto in condizioni diverse e in laboratori diversi per quasi vent’anni, prima di abbandonare l’idea dell’etere. Così pure il risultato ottenuto tra il Cern di Ginevra e i laboratori del Gran Sasso dell’INFN occorre sia replicato da altri. Negli Stati Uniti sono già in corso misurazioni della velocità di un fascio controllato di neutrini all’esperimento MINOS, e in Giappone l’esperimento K2K potrebbe fornire ulteriori dati indipendenti. Ci vorranno mesi perché possano essere disponibili i primi dati da questi laboratori, ma da lì potrebbero venire le prime conferme del fenomeno.

Infine, se la velocità superluminale dei neutrini sarà confermata, occorrerà inserire questo sorprendente risultato sperimentale in un quadro coerente. Che, naturalmente, non cancellerà Einstein e la relatività speciale, ma permetterà di estendere la portata delle leggi fisiche a un fenomeno nuovo e inaspettato. Il risultato di Opera coinvolgerebbe infatti tre delle più prolifiche teorie del XX secolo. La relatività speciale infatti, è consistente con la teoria dei campi elettromagnetici proprio in quel valore della velocità della luce nel vuoto che fino a oggi è considerato un limite universale. E la teoria dei campi elettromagnetici è unificata alla teoria delle interazioni deboli, quelle in cui si producono i neutrini, dalla teoria elettrodebole, la cui verifica valse il premio Nobel a Carlo Rubbia. Tra le molte ipotesi che sono già state avanzate, l’esistenza del fenomeno potrebbe significare che esiste un limite di energia oltre il quale particelle come i neutrini, prive di carica elettrica e di massa minuscola, che interagiscono molto debolmente con la materia, possono violare la velocità della luce nel vuoto.

Sono già al lavoro anche gli specialisti della gravità quantistica, ovvero i teorici che da più di mezzo secolo tentano di riconciliare le due grandi rivoluzioni del Novecento, la meccanica quantistica e la relatività, in una descrizione coerente della gravità, la forza più appariscente eppure più enigmatica del cosmo. Perché questo risultato potrebbe avere a che fare con una struttura discreta dello spazio-tempo che è stata ipotizzata proprio nell’ambito della gravità quantistica. E, naturalmente, non poteva mancare la schiera dei teorici delle stringhe. In questo complesso edificio matematico, infatti, si potrebbe annidare la spiegazione del fenomeno, ipotizzando che i neutrini possano arrivare in anticipo "prendendo una scorciatoia" nelle dimensioni extra dell’universo.

Per il momento siamo sul terreno delle ipotesi più ardite, ma comunque vada l’esperimento della collaborazione Opera ha già prodotto due risultati di rilievo. Il primo è sotto gli occhi di tutti. La comunicazione pubblica dei risultati sta permettendo a noi comuni mortali di gettare uno sguardo nei processi della scienza. Nel dibattito, anche aspro, si scontrano posizioni a volte inconciliabili, ma sempre fondate sull’osservazione dei fenomeni. E, soprattutto, senza alcun equivoco, anche gli scontri più duri - come quelli che videro protagonisti Einstein e Niels Bohr sulla natura della teoria dei quanti - sono sempre volti a un obiettivo comune: il progresso nella conoscenza delle leggi di natura. Per questo la scienza è la più straordinaria impresa collettiva dell’umanità.

Il secondo è forse più materia per addetti ai lavori. Dopo decenni, infatti, un risultato inatteso, ottenuto con quella serendipity che spesso accompagna le grandi rivoluzioni scientifiche (la misurazione della velocità dei neutrini non era l’obiettivo primario dell’esperimento), spinge i fisici di tutto il mondo a ripensare i fondamenti di una materia che negli ultimi decenni pareva un po’ stagnante, tra la celebrazione del modello standard della fisica delle particelle e le astrusità matematiche della teoria delle stringhe. Da tutto questo potrà forse emergere una nuova fisica, che non cancellerà certo i risultati acquisiti nell’ultimo secolo e mezzo, grazie ai quali esiste molta della nostra tecnologia di uso quotidiano, ma spingerà un po’ più in là gli orizzonti della nostra conoscenza. O forse no, se il lungo processo di validazione non darà conferma di questi risultati preliminari. Ma soltanto con i tempi della scienza sapremo se Opera sarà stato l’esperimento di Michelson e Morley del XXI secolo.

(L’autore è direttore de "Le Scienze")


Quando la scienza ha fatto una rivoluzione (culturale)

di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 02.10.2011)

L’annuncio del Cern della velocità superluminale dei neutrini ha scatenato accese discussioni sulle possibili conseguenze epistemologiche dell’ormai famoso esperimento. In particolare, si è ripetuto fino alla noia che, se il risultato venisse confermato, ci troveremmo di fronte alla necessità di un "cambio di paradigma": un’espressione riempie la bocca e che allude alle opinioni filosofiche espresse da Thomas Kuhn cinquant’anni fa, nel suo libro La struttura delle rivoluzioni scientifiche. In due parole, l’idea di Kuhn è che una teoria scientifica costituisca un paradigma, appunto, che stabilisce le regole del gioco temporaneamente condivise dalla comunità scientifica.

Queste regole sono accettate fino a quando qualcosa di gravemente anomalo, come appunto potrebbe essere l’esperimento del Cern, interviene a mettere in dubbio la visione del mondo proposta dal paradigma. Se l’anomalia non rientra nei ranghi, finisce per provocare una rivoluzione che abbatte l’ancient régime e instaura un nuovo ordine, nella forma di un nuovo paradigma.

L’idea di Kuhn è diventata a sua volta un paradigma filosofico, e ai postmoderni non è parso vero di potersene appropriare per proporre una visione relativistica della scienza. Le verità scientifiche, essi sostengono, non sarebbero altro che "costrutti sociali" relativi a un determinato paradigma, buoni fin tanto che questo rimane in vigore, ma da buttare e sostituire con altri allo scoppio della prossima rivoluzione.

Ma le "rivoluzioni" riguardano soprattutto le conseguenze filosofiche e culturali delle grandi scoperte scientifiche, assai più della scienza in sé, che procede piuttosto per accumulazione. Prendiamo ad esempio la teoria di Aristotele del moto, da cui Kuhn era partito per costruire il suo modello. Secondo la sua visione, il nuovo paradigma instaurato da Galileo ne avrebbe fatto piazza pulita, e oggi la leggi aristoteliche non sarebbe altro che reperti archeologici.

In realtà, Aristotele e Galileo descrivevano semplicemente situazioni diverse: il moto nell’atmosfera il primo, e nel vuoto il secondo. E’ ovvio, dunque, che trovassero risultati diversi. Ma se si aggiunge l’attrito dell’aria nelle formule di Galileo, si ritrovano esattamente le formule di Aristotele! Chi fosse interessato può vedere i dettagli nel libro di Andrea Frova e Mariapiera Maranzana Parola di Galileo.

L’altro esempio canonico di supposto cambiamento di paradigma è quello al quale Kuhn dedicò il suo primo libro, La rivoluzione copernicana. Come non pensare, a prima vista, che il sistema geocentrico di Tolomeo fosse da buttare, una volta che Copernico aveva riscoperto quello eliocentrico anticipato da Aristarco? Ma, ancora una volta, i due scienziati descrivevano situazioni diverse: il moto dei pianeti osservato dalla Terra il primo, e dal Sole il secondo.

E, se si vuole descrivere nel sistema di Copernico il moto dei pianeti osservato dalla Terra, si riottene il sistema di Tolomeo. Anzi, basta leggere Copernico per accorgersi che egli ricavò appunto il proprio sistema da quello, scoprendone la vera essenza: che metà del sistema tolemaico descriveva semplicemente il moto dei pianeti attorno al Sole, e l’altra metà proiettava il moto della Terra attorno al Sole. Ma certo la scoperta che la terra (e dunque l’uomo) non fossero più al centro dell’universo e l’idea galileiana che "il libro della natura" fosse scritto nella lingua della matematica ebbero conseguenze così radicali per le concezioni filosofiche, culturali, e anche religiose dell’epoca, da provocare, come si sa, la condanna di quelle teorie da parte della Chiesa di Roma. Chi fosse interessato, può vedere i dettagli nel mio libro Hai vinto Galileo!

Nel Novecento, l’esempio più tipico di supposto cambiamento di paradigma è stato il passaggio dalla meccanica classica di Newton a quella relativistica di Einstein, che ha modificato, se non proprio rivoluzionato, la visione tradizionale del rapporto fra lo spazio e il tempo. Inutile ripetere, a questo punto, che di nuovo si tratta di descrizioni di situazioni diverse: moti a velocità trascurabile rispetto a quella della luce in un caso, e a velocità paragonabili ad essa nell’altro. E, di nuovo, le formule di Einstein si riducono a quelle di Newton, quando si tenga conto di questo.

D’altronde, se non fosse così, non si continuerebbe a insegnare Newton nei dipartimenti di fisica e ingegneria, e lo si relegherebbe in quelli di storia. Per lo stesso motivo, si continua a insegnare Pitagora ed Euclide nei corsi di matematica, anche dopo Cartesio e Hilbert. O Aristotele nei corsi di logica, anche dopo Boole. Dunque, non aspettiamoci che i neutrini pensionino Einstein: se non sono una bufala, getteranno paradossalmente una "luce" nuova sui suoi risultati, e forse cambieranno, ancora una volta, il nostro modo di vedere il mondo.


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