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lunedì 7 agosto 2017

Torturarli a casa loro? Io sto con Samed

di Andrea Inglese *

Certo che vorrei essere un rappresentante della classe media durante le sue due settimane ufficiali di vacanza da passare in modo spensierato e certo che vorrei mantenere lo spirito anarchico che non vuole né patria né padroni, ma le notizie che inevitabilmente leggo sulle nuove strategie messe in opera dallo Stato italiano con il solidale sostegno dell’Unione Europea per risolvere il problema del flusso di migranti dalla Libia all’Italia mi procurano un voltastomaco ben superiore rispetto a tutti i disagi della canicola epocale.

Il problema dell’identità nazionale è che anche se tu vuoi essere un cittadino del mondo, libero da vincoli e pregiudizi, ampiamente propenso a ideali come l’internazionalismo dei poveri cristi, che una volta si chiamava « proletario », anche se tu sei insomma al di sopra delle bassezze del tuo paese, della sua classe politica, o più precisamente del suo governo, che comunque di riffa o di raffa è a sua volta una qualche espressione più o meno limpida di una maggioranza elettorale italiana, in un paese dove le elezioni - quando ci sono - sono libere, ossia senza alibi totalitari, ebbene nonostante le velleità cosmopolite e transnazionali quando il tuo paese d’origine e di cittadinanza, quello che ti ha stampigliato il passaporto per intenderci, si comporta in modo vergognoso e vile, non è che tu riesci a fluttuare indenne sopra quella vergogna e quella viltà. Vorresti incazzarti equanimemente per tutte le nefandezze che paesi, governi, con più o meno grande sostegno delle loro popolazioni, commettono in giro per il pianeta, ma alla fine nessun paese ti farà incazzare come il tuo, nessuna nefandezza ti imbratterà lo spirito, da cima a fondo, come quelle commesse, in nome tuo - anche se avessi bruciato in un rito perfettamente anarchico la cartellina elettorale - dal paese che ti fornisce la cittadinanza.

Quello che ho deciso di scrivere qui, in ogni caso, non vuole essere la semplice espressione di un’indignazione rivolta a persone che potrebbero essere in sintonia con essa, ma un tentativo di raccogliere alcuni elementi che la provocano per memorizzarli, per fissarli con sufficiente chiarezza al di fuori delle nera notte dell’indignazione ritualizzata.

Il punto d’avvio della riflessione potrebbe essere lo sforzo del governo italiano per ridurre l’afflusso di migranti sulle coste siciliane, mettendo in riga, da un lato, il lavoro delle ONG che operano per soccorrere le imbarcazioni provenienti soprattutto dalla Libia, e contribuendo, dall’altro, a rafforzare i dispositivi di controllo libici sulle proprie coste.

Diverse sono state le letture critiche di questa azione governativa. Penso agli interventi di Alessandro Dal Lago e Luigi Manconi su “il manifesto”, alla lettera di Medici senza Frontiere al ministro Minniti, all’editoriale apparso ieri su “Repubblica” di Roberto Saviano, che si schiera con Medici senza Frontiere e chiarisce ulteriormente le ragioni che hanno spinto questa (e altre Ong) a non sottoscrivere il codice di comportamento che l’Italia vorrebbe imporre alle Organizzazioni umanitarie attive nel Mediterraneo.

Prima di occuparsi della disputa tra certe Ong e lo Stato italiano, bisognerebbe innanzitutto allargare un po’ lo scenario. L’Italia, all’interno di quella strana compagine politico-amministrativa che si chiama Europa, soffre di una posizione particolarmente sfavorita: ossia per la sua posizione geografica, così come accade alla Grecia, si trova a gestire frontalmente il grande flusso dei migranti proveniente dal continente africano e da alcune zone di quello asiatico, flusso di cui la Libia è il paese collettore principale; un paese senza struttura statale, in mano non solo a grandi fazioni politiche, ma a bande armate che agiscono senza controllo sul territorio. (Questa situazione di caos politico è poi la diretta conseguenza della guerra alla Libia di Gheddafi, inaugurata dalla Francia e poi sostenuta da un’ampia coalizione, che una volta detronizzato il dittatore è stata in grado di favorire un processo di ricostituzione politica e sociale del paese.)

In questa situazione l’Italia ha grandemente ragione di chiedere che il peso della cosiddetta “accoglienza” non ricada esclusivamente su di lei, come previsto da un accordo europeo quale la Convenzione di Dublino. Ed è vergognoso che tutta la retorica della solidarietà tra Stati membri costantemente rispolverata dai burocrati della Commissione e del Parlamento Europei non sia minimamente visibile non solo nella volontà di modificare questo trattato, ma in quella d’imporre effettivamente una più equa e intelligente distribuzione dei migranti arrivati in Italia. Di fronte a questa difficoltà, la scelta dell’attuale governo italiano è stata quella di rinunciare a fare pressione sui più forti, l’Europa e gli Stati membri in essa più influenti politicamente, come la Francia e la Germania, per scaricare tutta la sua legittima frustrazione sui più deboli, ossia le ONG, additate come complici dei trafficanti di uomini. In questo modo, non solo (in maniera vile) si colpiva un soggetto più debole sul piano istituzionale, ma anche si spostava il problema.

Invece di preoccuparsi della mancata accoglienza dei migranti in arrivo sul continente, e di quella quota in essi di rifugiati, ossia di persone a cui formalmente le istituzioni europee e nazionali di molti Stati dovrebbero garantire secondo i loro principi giuridici e politici non solo una forma immediata di ospitalità, ma anche di protezione e sostegno attivo, ebbene invece di dibattere di questa debolezza politica dell’Europea e della contraddizione che essa fa nascere nei confronti dei suoi principi fondatori, l’attenzione pubblica può finalmente considerare coloro che salvano i migranti dalla morte in mare come una fonte importante del problema. Questa operazione propagandistica, talmente grossolana per la sua spiccata tendenziosità, dovrebbe ragionevolmente essere destinata a un immediato fallimento. La maggior parte dei media, invece, accodandosi a una campagna di tipo “diffamatorio” già in opera da alcuni mesi, è riuscita in qualche modo a rendere plausibile un tale camuffamento del problema.

Si può certo cominciare ad inoltrarsi verso astratte ipotesi di “favoreggiamento dell’emigrazione clandestina” o di occulte connessioni tra ONG e scafisti, ma rimane un fatto incontrovertibile: i migranti che cercano di raggiungere l’Europa per via mare sono costantemente esposti a un pericolo mortale e delle cifre spesso ricordate dalla stampa o dalle stesse istituzioni internazionali ci ricordano quante persone innocenti, uomini, donne e bambini sono già morte annegate nel Mediterraneo. Il problema, quindi, numero 1, il più urgente e fondamentale, che nessuna propaganda italiana, appoggiata dall’Europa, potrà far scomparire è quello delle migliaia di persone costantemente in pericolo di vita alle frontiere dell’Europa. -Tutti sanno, in fondo, che l’esistenza non solo politico-amministrativa, ma anche culturale dell’Europa, non può davvero sopravvivere a un tale diniego esplicito e definitivo di umanità, quale sarebbe la trasformazione di queste morti alle proprie frontiere in un non problema. Tutti i valori che stanno alle basi dei suoi ordinamenti nazionali e transnazionali diventerebbero carta straccia. Non si avrebbe più alcun modo per distinguere il significato di termini quali “democrazia” e “diritto” da altri termini quali “fascismo” e “razzismo”, per esempio. I fascisti e i razzisti sono, infatti, coloro che assegnano a un gruppo irragionevolmente ristretto i requisiti dell’essere umano. Tutto ciò che sta al di fuori del loro riduttivo e limitato noi non è semplicemente degno di quella empatia elementare, che costituisce la condizione stessa per ogni reciprocità di tipo etico. La morte, in condizione disumane, di uomini come noi è un problema, solo per chi riconosce questa reciprocità di base. Qui nessuno può discettare sulle “condizioni disumane” che determinano e caratterizzano queste morti, si può al massimo, come i razzisti fanno - che siano italiani oppure no - discettare sul fatto che dei nigeriani, degli eritrei, dei ghaniani siano davvero altrettanto uomini quanto noi europei di carnagione pallida.

(In altri termini, i Salvini e tutti i suoi seguaci, si limitano a dire: “ma se questi non italiani muoiono al largo delle nostre coste, non è un problema nostro”. Le ONG come Medici senza Frontiere forniscono la risposta esattamente opposta. Cito dalla loro lettera al ministro Minniti: “Abbiamo sempre sottolineato che l’attività di ricerca e soccorso (SAR) in mare ha il solo obiettivo di salvare vite in pericolo e che la responsabilità di organizzare e condurre questa attività risiede innanzitutto nelle istituzioni statali. -L’impegno di MSF e delle altre organizzazioni umanitarie nelle attività SAR mira anzitutto a colmare un vuoto di responsabilità lasciato dai governi (...)”. Le ONG come MSF, sovvenzionate anche da privati cittadini come il sottoscritto, risponde infatti: il problema di salvare degli esseri umani è nostro, anche se sono gli Stati nazionali che se ne dovrebbero occupare. Se non c’è un bagnino patentato per trarre fuori dall’acqua un povero cristo che sta affogando, lo farò io che sono quello più prossimo alla possibile vittima.)

Il problema, quindi, non può davvero essere negato, neppure da un governo vile e subordinato come il nostro, e neppure da una fredda e opportunista macchina istituzionale come quella europea. Si può al massimo camuffarlo, spostarlo, trovare dei falsi e facili nemici (le ONG) oppure degli inaspettati (e meno facili) alleati, ossia i signori libici della guerra. Su questo secondo fronte, delle alleanze, il governo italiano è riuscito ad essere non solo velleitario, come già l’Unione Europea e la Francia, ma anche grottesco. Dopo aver, infatti, assicurato che accordi erano stati presi per una fruttuosa collaborazione italo-libica, uno dei presunti alleati ha fatto sapere che avrebbe volentieri cannoneggiato navi italiane in acque libiche. Secondo la stampa, gli italiani avrebbero trovato una controparte collaborativa in una sola delle fazioni che detengono il potere in Libia, quella capeggiata dal “presidente” Fayez el-Sarraj, suscitando la reazione ostile di un’altra delle fazioni, quella del “maresciallo” Haftar. Sembrerebbe, infatti, che la Libia presenti attualmente poche caratteristiche che la possano candidare a un paese in grado di ricevere soldi dall’Europa e appoggi militari dall’Italia, affinché gli uni e gli altri siano messi a frutto efficacemente per limitare il traffico di migranti verso l’Europa, e tutto questo nel rispetto dei diritti umani. Il problema un po’ preso sottogamba in questa circostanza è il fatto che la Libia non è ancora attualmente uscita da una situazione di guerra civile, ma anche questa formula è forse riduttiva se applicata al caos politico e sociale presente nel paese. Un esperto dei servizi segreti francesi, Alain Rodier, ne parla in una recente intervista: “Il maresciallo Haftar ha tutte le carte militari in mano dal momento che il potere è disperso tra le milizie di Tripoli, di Misurata a nord-est del paese, i Tuareg e i Toubou al sud, gli Amazigh alla frontiera tunisina e tutti i gruppi che dipendono sia da Al-Qaida nel Maghreb Islamico sia da Daech. E questo senza contare che questo elenco e semplicistico perché la Libia unificata non esiste più e ogni porzione di terreno è diretto dal signore locale della guerra che si allea con l’uno o l’altro secondo l’evolversi della situazione.”

Anche su questo punto la propaganda del governo italiana risulta grossolana. Ciò che l’Europa ricca, pacifica, solida nelle istituzioni e prodiga di buoni propositi non riesce a fare, per gestire il flusso di migranti in arrivo, lo saprà fare per gestire il flusso in partenza, uno Stato-collassato in mano a fazioni in lotta tra loro, che governano grazie al semplice potere delle armi. Ci prendono davvero per imbecilli o per analfabeti di ritorno che non hanno mai letto un giornale dai tempi degli allori di Gheddafi.

Ma l’aspetto più grave è ancora un altro, che è rimasto in ombra anche in alcune reazioni critiche nei confronti del governo. Lo ricorda la già citata lettera di Medici senza Frontiere: “La Libia non è un posto sicuro dove riportare le persone in fuga, né dal territorio europeo né dal mare.” Qui la litote utilizzata sconfina nell’espressione quasi eufemistica. La Libia per un gran numero di migranti, un numero che resta difficile da determinare, è un luogo dell’orrore, un luogo che rievoca le più terribili e buie memorie europee, quelle dei lager e della tortura diffusa. Da questo punto di vista, non solo il governo italiano, ma anche la stampa generalista sembra soffrire di subitanee amnesie.
-  Ma chi può pensare in buona fede che potremo aiutare i migranti “a casa loro”, ossia in Libia? Potremmo al massimo contribuire al fatto che essi vengano vieppiù torturati in Libia, che non è quasi mai casa loro, e da torturatori che non per forza sono esclusivamente di nazionalità libica, perché le bande criminali sembrano spesso associare carnefici di nazionalità diversa.
-  A partire da almeno il 2015, Amnesty International aveva denunciato violenze sui migranti e rifugiati da parte di trasportatori, trafficanti e gruppi armati, ma anche da parte della guardia costiera e dei centri di detenzione libici. (Possiamo semplicemente dimenticare, per quanto sopra ricordato, che in Libia esista una separazione chiara tra criminalità, gruppi paramilitari, polizia e esercito “ufficiale”.) Ma negli anni successivi, fino alle notizie circolate nei mesi di maggio e giugno di quest’anno anche sulla stampa italiana, è a poco a poco emersa la realtà spaventosa dei “mezra”, ossia “magazzini” in cui i migranti provenienti da altri paesi dell’Africa vengono tenuti sotto sequestro per mesi e torturati per estorcere grosse somme di denaro alle famiglie rimaste nei paesi d’origine, a cui vengono inviate immagini di queste sevizie. Si è, infatti, passati dallo stadio dell’inchiesta giornalistica a quello dell’inchiesta penale, con tanto di presunti colpevoli, testimoni diretti e processi in corso.

Di queste faccende ne ho sentito parlare per la prima volta su una radio francese, dalle due autrici di un documentario del 2015 che s’intitola Voyage en barbarie e che ha cominciato a studiare il fenomeno di queste estorsioni attraverso sequestri e torture nella zona del nord-est del Sinai. In questo caso, le vittime sono soprattutto eritrei che fuggono la dittatura. Le informazioni fornite sul sito dedicato al documentario evocano le cifre di un gigantesco traffico di esseri umani. “Ad oggi, 50.000 persone sarebbero passare per il Sinai e 12.000 sarebbero morte sotto tortura. Nessun carnefice è stato arrestato. L’Egitto e Israele hanno lasciato prosperare questo traffico in totale impunità. I campi di tortura cominciano a proliferare nel Maghreb e in tutto il Corno d’Africa. Esistono già un centinaio di ‘case’ censite in Libia e altrettante nel Sudan e nello Yemen”.

Anche in questo caso, possiamo seguire i proclami del governo (“Partenze già crollate dell’80%”), oppure guardare i fatti ormai emersi e incontrovertibili: in Libia i migranti, quale che sia la loro condizione e provenienza, rischiano di essere torturati, stuprati, uccisi, che siano minori, adulti, uomini o donne.

Non è un bel mondo, lo è sempre di meno. Abbiamo governi e istituzioni transnazionali che sono come vecchi stregoni, pronti ad agitarsi, a gridare, per esorcizzare i problemi che affliggono la tribù. Nessuno può davvero crederci. È certo che tutto ciò - fare le pulci alle Ong, proclamare cooperazioni italo-libiche - ci permette di non vedere tutto questo orrore: gli annegati e coloro che rischiano l’annegamento, gli ammazzati sotto tortura, i sopravvissuti alla tortura, quelli che rischiano la tortura. I fascisti e i razzisti dicono che non è un “loro” problema. Se c’è una battaglia di civiltà, questa passa da qui. Se c’è oggi una battaglia antifascista e antirazzista passa da qui. Stare con Medici senza frontiere vuol dire stare per la salvezza di vite umane prima di tutto, quale sia la legge, l’umore dell’elettorato o del vicino di casa. E ci sono anche a livello quotidiano una quantità di cose che si possono fare e che vengono fatte. I fascisti e i razzisti gridano molto, e i media ne vanno pazzi e danno appena possono loro il microfono. Ma c’è un quantità di persone che lavorano più spesso silenziosamente per disfare la tela soffocante che queste persone vorrebbero creare intorno a noi, e dentro cui noi stessi finiremmo strangolati.

Mia moglie ed io quest’anno siamo diventati, in Francia, padrini di Samed, un ragazzo di diciassette anni proveniente dal Ghana. Samed tra i 15 e i 16 anni ha lasciato il suo paese, ha attraversato il Burkina Faso e il Niger per arrivare in Libia. Ha lavorato come aiuto meccanico in Libia cinque mesi. Non voleva venire in Europa, voleva andare a lavorare in Libia. Non era evidentemente cosciente della situazione in cui si trovava il paese. Non so che cosa abbia vissuto durante quei mesi. Di certo, si è deciso a partire, a tentare la fuga dalla Libia verso l’Europa. Me ne ha parlato come di un Far West. Comanda chi ha le armi. E le armi le hanno in mano quasi tutti.

Oggi Samed, in quanto minore non accompagnato, ha potuto godere di un sostegno e di una sistemazione da parte dello Sato francese. Non è un programma “privilegiato” per immigrati, è il programma che lo Stato francese destina a tutti i minori “orfani” o privi di sostegno familiare che si trovano sul suo territorio. Oltre a ciò, lui e noi possiamo godere di questa forma di ospitalità ulteriore e non istituzionale, che è l’affido a una famiglia d’accoglienza. Il parrainage si traduce in un rapporto concreto, affettivo, familiare. E Samed è diventato concretamente parte della nostra famiglia. Questo è solo un piccolo esempio di un’accoglienza cittadina, non istituzionale e nemmeno “umanitaria”, che può avere tanti volti e può esprimersi in tante e diverse occasioni. Io sto quindi con Samed, e sto con uno Stato non razzista, ossia che non distingue l’applicazione di diritti fondamentali secondo criteri di cittadinanza, e sto con le ONG che considerano che il problema di salvare delle vite umane è un loro problema, anche se è lo Stato che dovrebbe occuparsene.

* NAZIONE INDIANA, 7 agosto 2017 (ripresa parziale - senza immagini).


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