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> GUARIRE LA NOSTRA TERRA --- Viaggio nel cuore della terra ferita. Senza l’Amazzonia per il mondo c’è poca speranza di vita (di Claudio Hummes)

giovedì 5 settembre 2019

Il libro.

Senza l’Amazzonia per il mondo c’è poca speranza di vita

Esce alla vigilia del Sinodo il ricco reportage di Capuzzi e Falasca lungo la “frontiera” del polmone del pianeta dalla cui cura dipende il futuro dell’umanità

di Claudio Hummes (Avvenire, giovedì 5 settembre 2019)

      • È da oggi in libreria Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita, il volume (Emi, pagine 176, 15 euro) scritto dalle giornaliste di Avvenire, Lucia Capuzzi e Stefania Falasca. Un attento e importante reportage, tanto più significativo perché viene pubblicato nell’immediata vigilia del Sinodo dedicato a questo polmone del pianeta. La prefazione, di cui pubblichiamo ampi stralci, è del cardinale Claudio Hummes presidente della Rete ecclesiale panamazzonica e relatore generale al Sinodo sull’Amazzonia.

      • «L’Amazzonia è una donna. Una donna stuprata. Ha negli occhi il colore della notte e i capelli lisci come gli strapiombi delle Ande. A Madre de Dios era scesa guardandoci senza dire una parola. Un urlo di silenzio. Volevamo incontrarla, poterla guardare negli occhi. E siamo andate. E siamo entrate in quegli occhi. Queste pagine ne sono la voce. Perché l’Amazzonia è vicina. È fuori e dentro la vita di tutti».
      • Stefania Falasca, Lucia Capuzzi

Oggi è evidente che la crisi socio-ambientale dell’Amazzonia riveste un’importanza planetaria. Qui è in gioco il futuro del pianeta e dell’umanità. Senza l’Amazzonia resterà poca o nessuna speranza di vita al mondo. In questi ultimi decenni il pianeta è entrato in una grave situazione di crisi climatica ed ecologica. È necessario pertanto un grande impegno per superare la crisi: agire è urgente.

Due importanti eventi hanno risvegliato la coscienza mondiale su questo grave problema: la pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco nel maggio 2015 e, pochi mesi più tardi, la realizzazione della Cop21 a Parigi, che si è conclusa con la pubblicazione di un articolato Accordo sul clima firmato da oltre 190 paesi e che ha indicato le azioni da intraprendere per superare gradualmente la crisi, entro questo ventunesimo secolo.

I due documenti, di portata storica e scientificamente irrefutabili, rendono evidente quanto la nostra madre Terra non sia più in grado di sopportare simili distruzioni e l’intervento predatorio da parte di un’attività umana irresponsabile. La causa profonda della crisi è strettamente collegata con il modello dominante di sviluppo adottato che la Laudato si’ indica con l’espressione di «globalizzazione del paradigma tecnocratico». Un modello che induce a considerare il pianeta alla stregua di una merce. E come tale esso può essere sfruttato, degradato e depredato senza scrupoli per accumulare denaro (...).

Questo spirito predatorio insaziabile e prepotente ha ormai già annientato una parte importante dell’enorme ricchezza amazzonica e minaccia ciò che ancora è riuscito a sopravvivere. Non soltanto l’ambiente: tra i sopravvissuti minacciati di estinzione ci sono gli stessi popoli originari che ancora vivono in essa. Si tratta dunque ancora di un neocolonialismo feroce che invade e distrugge questo particolare patrimonio di biodiversità espellendo e massacrando interi popoli.

Nella Laudato si’ papa Francesco chiama la Terra «la nostra casa comune», della quale dobbiamo avere molta cura. L’ecologia integrale è una realtà meravigliosamente nuova che il Papa ci ha messo davanti e che ci interpella. Si tratta di un modo innovativo di intendere la relazione profonda che esiste tra tutte le creature del pianeta. C’è una canzone brasiliana che dice: Tudo está interligado, como se fóssemos um, tudo está interligado nesta casa comum («Tutto è interconnesso, come fossimo una cosa sola, tutto è interconnesso in questa casa comune»).

Perché tra noi e la natura non esiste separazione. Tutto è interconnesso. Dio stesso, per l’incarnazione del suo Figlio, è in relazione, definitivamente, con la nostra casa comune. Il grido della natura e il grido degli ultimi sono perciò il medesimo unico grido. Non esistono due crisi separate: una sociale e una ambientale, c’è una sola, unica e complessa crisi socio-ambientale. Di conseguenza non si può separare la cura dei poveri dalla cura della casa comune. Le soluzioni richiedono un approccio integrale per contrastare la povertà, per restituire dignità agli esclusi e, simultaneamente, prendersi cura della natura (...).

Il tipping point dell’Amazzonia, il punto di non ritorno fissato dagli scienziati superato il quale la sua distruzione sarà irreversibile, è il 40 per cento della deforestazione. Siamo già quasi al 20 per cento. Nel contesto della crisi socio-ambientale mondiale, il Papa ha citato più volte, in modo esplicito, l’Amazzonia come regione cruciale, perché è determinante per il processo complessivo. Ha ricordato che l’Amazzonia è polmone del mondo e dunque chiesto la massima attenzione alla sua biodiversità per la vita. La vita della foresta, delle acque, dei suoi abitanti e la missione della chiesa in questa immensa regione: ecco da dove è nata la convocazione del sinodo per l’Amazzonia.

La Laudato si’ mi ha cambiato molto l’orizzonte delle cose. Mi aperto gli occhi a una visione nuova. Anche sulle responsabilità della Chiesa per la cura della casa comune, per la salvaguardia di tutta la creazione a partire dalla fede. La chiesa ha il dovere di occuparsi dell’ambiente, come una madre il suo bambino (...).

Papa Francesco ha denunciato ogni forma di neocolonialismo e ha esortato la Chiesa a non viverne lo spirito e la pratica nella sua missione evangelizzatrice. Quello del Papa è un richiamo a non fare della Chiesa in Amazzonia una colonizzatrice, a non proporsi di colonizzare i popoli indigeni riguardo alla loro fede, alla loro spiritualità e alla loro esperienza di Dio. La Chiesa in ogni regione della terra deve inculturarsi nelle culture locali. Come ha detto il Papa: «Anche Cristo si è incarnato in una cultura, l’ebraismo, e, a partire da esso, Egli offrì sé stesso come novità a tutti i popoli». Nella storia della Chiesa, il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale. I valori e le forme positivi che ogni cultura propone arricchiscono la maniera in cui il Vangelo è annunciato, compreso e vissuto. Una cultura sola non è capace di mostrarci tutta la ricchezza di Cristo e del suo messaggio.

Dopo 400 anni di evangelizzazione, non siamo riusciti a far nascere qui una Chiesa inculturata. Finora la Chiesa ha difeso i diritti umani degli indigeni, ma noi dobbiamo fare un passo avanti, dobbiamo andare verso una chiesa indigena: aiutare cioè la nascita di una Chiesa che esprima pienamente la fede nella sua cultura, nella sua propria identità (...) .

I popoli indigeni sono e devono essere interlocutori indispensabili. Essi conoscono l’Amazzonia meglio di chiunque altro. Hanno vissuto nella regione per millenni. La loro visione del mondo e la loro concezione religiosa si sono formate a partire dalla propria esistenza nella foresta amazzonica, caratterizzata dall’immensità di acque, dai fiumi incredibilmente grandi, dai mille laghi, ruscelli e igarapé, piccoli corsi d’acqua. Da sempre vivono immersi in una biodiversità incalcolabile e affascinante. Sono i sapienti guardiani e custodi di questo immenso ecosistema privilegiato. La loro saggezza non può andare perduta, né la loro cultura, né le loro molte lingue, la loro spiritualità, la loro storia, la loro identità.

Questi popoli sono stati perseguitati, cacciati (sia nel senso di essere allontanati, sia nell’atroce senso di essere considerati alla stregua di selvaggina da braccare e cacciare), ridotti in schiavitù o decimati fin dai primi anni dall’arrivo dei coloni europei in queste terre di Dio. Numerose etnie sono state totalmente sterminate. Una piccolissima percentuale è sopravvissuta e continua a lottare per riuscire a esistere. Essi sono ancora aggrediti, maltrattati, espulsi dalle loro terre, disprezzati, umiliati, sfruttati e molti uccisi. A causa della persecuzione subita e che subiscono già da cinque secoli, alcuni gruppi di indigeni si sono volontariamente isolati, nascondendosi nelle foreste (...).

La storia della colonizzazione mostra con chiarezza quante violenze inaudite sono state commesse contro i popoli indigeni, quante ingiustizie, quanti stermini. Tutte queste tragiche realtà rappresentano un immenso debito contratto dalla società moderna nei confronti dei popoli originari, sottomessi e colonizzati. E fino a quando non saranno loro restituite le condizioni reali di essere soggetti della propria storia, questo debito non sarà estinto (...).

Oggi l’industria, l’agricoltura e molte altre forme di produzione dicono sempre più spesso che la loro attività è «sostenibile». Ma che cosa significa davvero «essere sostenibile»? Significa che tutto quanto estraiamo dal suolo o restituiamo al suolo come residuo non deve impedire alla terra di rigenerarsi e di restare fertile. Se gli interessi economici e il paradigma tecnocratico avversano qualsiasi tentativo di cambiamento e sono pronti a imporsi con la forza, violando i diritti fondamentali delle popolazioni nel territorio e le norme per la sostenibilità e la tutela dell’Amazzonia, dobbiamo sapere da che parte stare.

Il Sinodo per l’Amazzonia vuole diventare un faro e vuole aprire nuovi cammini per tutta la Chiesa della regione, sia nelle città, sia nella foresta, sia per la popolazione urbana, per i popoli indigeni, i ribeirinhos, i contadini, i seringueiros e altri che vivono nell’interno della regione, dispersi e fuori da agglomerati urbani, con un obiettivo principale, definito: la difesa e l’evangelizzazione incarnata nella cultura dei popoli indigeni in una prospettiva di ecologia integrale. Perché noi non dobbiamo e non possiamo arrenderci.


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