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FAUST E MEFISTOFELE: CINEMA (E NON SOLO). VENDERE L’ANIMA AL DIAVOLO: COSA SIGNIFICA, OGGI?

DANTE, GOETHE, E IL "FAUST". ALEXANDER SOKUROV: “Ho visto il Diavolo è solo un usuraio”. Un’intervista di Fulvia Caprara - a c. di Federico La Sala

Il mio Mefistofele non è un diavolo, è un usuraio. Non fa nulla di sovrannaturale. Nulla che non si possa rivelare come abilità di un bravo giocoliere. Il male non è sovrannaturale. Lo si crede tale in una società moralmente degradata (...)
giovedì 13 ottobre 2011 di Federico La Sala
[...] Una volta ha dichiarato che le piacerebbe girare una versione cinematografica della Divina Commedia. E’ ancora così, e perchè?
«Ci sto pensando da anni. Per noi russi la letteratura europea ha avuto un ruolo fondamentale per la comprensione del "vecchio mondo", ci ha dato l’idea di quella profondità e delle radici del pensiero europeo. Pensare che Dante aveva affrontato temi così profondi già allora, mentre in Russia non avevamo ancora la letteratura come tale... E’ uno dei libri più (...)

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> DANTE, GOETHE, E IL "FAUST". ALEXANDER SOKUROV ---- UN LEONE ALL’INFERNO (di Barbara Sorrentini).

sabato 8 ottobre 2011

Un Leone all’inferno

di Barbara Sorrentini *

Una visione così forte che si finisce per dimenticarla subito, dopo averci lasciato gli occhi. E’ l’effetto provocato da Faust di Alexander Sokurov, Leone d’Oro di Venezia 68. Il regista russo - di film enciclopedici su personaggi chiave della storia: Hitler (Moloch), Lenin (Taurus), Hirohito (Il sole) - ricama un’opera immensa, lunga e carica di citazioni.

Una carrellata su un secolo e più di cinema, che scomoda visivamente le esperienze di Bergman, Ėjzenštejn, Rye e Lang; quelle pittoriche da Bosch a Bruegel e letterarie da Omero a Bulgakov passando per Dante. Però il riferimento unico e principale del film di Sokurov è il Faust di Goethe e inevitabilmente porta con sé l’affanno di quasi sessanta anni di lavorazione a questo testo immenso, da parte dell’autore dei dolori di Il Giovane Werther.

Un viaggio al termine della notte, con piani sequenza meno ossessivi rispetto all’Arca Russa dove il buio accompagna l’andare e non lascia sperare nell’alba. Livido, grigio, con qualche pennellata di latte e distorsioni ottiche in color seppia. Il Faust cammina, va avanti e incontra, comunica anche, ma non ha parole dolci per chi incrocia il suo andare. Cerca di comprare l’anima di qualcuno, ma si rassegna al fatto che, tra gli uomini, di anime non ce ne sono più: se la sono venduta tutti. Povero diavolo.

Di questa opera, che supera in originalità e sorpresa tutte le altre viste a Venezia 68 restano in mente, negli occhi, soltanto immagini. Le parole sembrano fluttuare, dicono tanto, ci raccontano questo mondo attraverso frasi, pensate in tedesco tra il ‘700 e l’800 e l’insieme dell’opera porta a vedere in uno specchio tutta la decadenza e la deformazione umana che ogni era attraversa, e per questo nemmeno la nostra ne è immune. I personaggi sono mostruosi, brutti, con il codino e i mutandoni gomma piumati che fasciano il corpo. E quella specie di autopsia che appare all’improvviso dopo un volo idilliaco e suggestivo su un paesaggio in stile Il signore degli anelli, risveglia da un bel sogno, da un paradiso lontano che non ha niente a che vedere con l’inferno terreno.

* MICROMEGA, 12.09.2011


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