Inviare un messaggio

In risposta a:
FAUST E MEFISTOFELE: CINEMA (E NON SOLO). VENDERE L’ANIMA AL DIAVOLO: COSA SIGNIFICA, OGGI?

DANTE, GOETHE, E IL "FAUST". ALEXANDER SOKUROV: “Ho visto il Diavolo è solo un usuraio”. Un’intervista di Fulvia Caprara - a c. di Federico La Sala

Il mio Mefistofele non è un diavolo, è un usuraio. Non fa nulla di sovrannaturale. Nulla che non si possa rivelare come abilità di un bravo giocoliere. Il male non è sovrannaturale. Lo si crede tale in una società moralmente degradata (...)
giovedì 13 ottobre 2011 di Federico La Sala
[...] Una volta ha dichiarato che le piacerebbe girare una versione cinematografica della Divina Commedia. E’ ancora così, e perchè?
«Ci sto pensando da anni. Per noi russi la letteratura europea ha avuto un ruolo fondamentale per la comprensione del "vecchio mondo", ci ha dato l’idea di quella profondità e delle radici del pensiero europeo. Pensare che Dante aveva affrontato temi così profondi già allora, mentre in Russia non avevamo ancora la letteratura come tale... E’ uno dei libri più (...)

In risposta a:

> DANTE, GOETHE, E IL "FAUST". --- Da sempre l’uomo è abitato dalla sete di conoscenza. Pensiamo a nostro rischio e pericolo. Ecco la grande lezione di Faust.

domenica 23 settembre 2012


-  La passione per il sapere secondo il celebre saggista
-  Da sempre l’uomo è abitato dalla sete di conoscenza un sentimento disinteressato e inspiegabile

-  Pensiamo a nostro rischio e pericolo. Ecco la grande lezione di Faust

-  di George Steiner (la Repubblica, 23.09.2012)

Tre narrazioni, tre storie primordiali, non esauribili in un’interpretazione e innumerevoli nelle loro varianti, raccontano di un legame fatale tra conoscenza e castigo. Nell’Eden l’albero della conoscenza spinge il genere umano alla trasgressione, a esilio e infelicità persistenti. Prometeo è condannato a una tortura senza fine per aver rubato la scaltrezza teorica e pratica agli dei gelosi. L’intraprendente intelletto di Faust si spinge troppo in là e fa precipitare la sua anima nell’inferno. Un crimine inestirpabile è collegato alla determinante eccellenza dello spirito umano.

Una smisurata vendetta si è abbattuta su coloro che insegnavano «come l’uom s’etterna» (Dante). I cacciatori di verità diventano a loro volta oggetto di caccia, come se una contraddizione organica opponesse l’esercizio dell’intelletto al sentirsi a casa propria nella vita naturale.

Eppure l’impulso a il frutto proibito, a rubare e dominare il fuoco, a porre le domande essenziali come fa Faust, è inestinguibile. Anche se il prezzo è la sopravvivenza personale o l’ostracismo sociale.

D’altronde questa sete, questa libido sciendi e questo “gnosticismo” sono smisuratamente più potenti dei loro oggetti, di qualsiasi specifica intenzionalità. Si può trattare di sfide metafisiche, estetiche, scientifiche al loro più alto grado: ricercare “l’Uno”, la “chiave dell’universo” come fa Plotino o l’odierna accelerazione nucleare.

Ma l’oggetto può anche essere rappresentato da una minuzia che appassiona, la tassonomia di un milione di specie di insetti, lo studio degli utensili da cucina dei sumeri o della Cina arcaica. In questo disequilibrio, in questo estremo disinteresse c’è un mistero permanente.

Gran parte della ricerca può in effetti perseguire benefici reali o potenziali, il fuoco prometeico e le tecnologie che ne deriveranno. Quello che conta maggiormente però è la ricerca in quanto tale, le nuove idee, l’arricchirsi della comprensione e della sensibilità, per quanto astruse, per quanto inapplicabili esse siano. È l’ignoto a calamitare e l’uomo è l’animale che pone domande.

Le radici di questa trascendente fatalità restano nascoste. L’intensità, l’efficienza esplorativa e creativa di questo impulso variano profondamente a seconda degli individui e delle comunità, tra Atene e Gerusalemme da una parte e ampi settori di un mondo più pastorale e contemplativo dall’altra.

L’“in-quietudine” a cui Hegel ascrive gli sviluppi filosofici, scientifici, artistici, può non essere universale. Forse le germinali allegorie della caduta dell’uomo attraverso la conoscenza, della sua tragedia prometeica e del suo patto faustiano, sono essenzialmente europee.

Ma là dove prevale questa “brama di sapere”, questa capacità creativa che si oppone all’innocenza, il suo imperativo può essere irresistibile.

Freud, lui stesso un brillante esempio di tale dinamismo, ne sottovalutò la forza travolgente. Essere posseduti da una problematica di tipo intellettuale, pura o applicata, da un’assoluta bramosia per la forma estetica, da costellazioni resistenti all’indagine nelle scienze, è provare una libido, che può portare alla follia e ad atti criminosi, più pressante di quella sessuale. Quale impulso orgasmico ha una potenza pari a quella del desiderio che si concentra, nel corso impassibile di otto anni, a trovare la soluzione al teorema di Fermat? Anche la sopravvivenza arriva a contare di meno.

Uomini e donne sono andati al rogo in nome di convinzioni teologiche, etiche, scientifiche per quanto astruse esse fossero. Oggi vengono spesi miliardi in esperimenti che non si sa se siano in grado o meno di gettare un’ipotetica luce sulla “materia oscura” cosmica.

Al pari dell’eros, ma con maggior determinazione e con costi privati e pubblici superiori, questa instancabile indagine dell’essere e della sostanza, questo affondo per certi versi maniacale alla rincorsa dell’intelligibilità, non è negoziabile. La passione cerebrale e sensoriale disinteressata non trova maggiori spiegazioni dell’amore. Essa si riallaccia alla nostra accettazione e alla nostra negazione della morte in un modo che possiamo mitologizzare ma non comprendere totalmente. (...)

Gli storici della cultura hanno spesso identificato l’arroganza scientifica, tecnocratica dell’uomo occidentale, la sua convinzione che «la vita irriflessa non è degna di essere vissuta» (in fondo, perché?), con il problema di Faust. La bibliografia a disposizione è pressoché incommensurabile.

Per quel che attiene alle vere origini e alla diffusione esponenziale alla fine del XVI secolo della leggenda di Faust, molto resta ancora incerto. In questa ghirlanda letteraria si possono annoverare capolavori che vanno da Marlowe a Goethe, da Goethe a Thomas Mann, Pessoa e Bulgakov. Ma anche per quanto riguarda altri mezzi di comunicazione, la sua presenza non è da meno: spettacoli di marionette (sua fonte più probabile), opere liriche, balletti, raffigurazioni sinfoniche, film, fumetti. Esistono anche delle “Faustine”.

Le ballate tratte dal Faust sono diventate grande musica. Esistono moltissime incisioni - tra le più belle di Rembrandt - e quadri di qualità variabile. In quale lingua occidentale «faustiano» non è diventato un aggettivo? Le sue innervazioni occupano un posto centrale.

Poesia, arte, musica, teoria della storia (si veda Spengler) si incontrano qui con la filosofia, con l’atto di indagine filosofica. Il personaggio di Faust ha «diritto a tutte le reincarnazioni possibili», osserva Valéry. Quella di Faust e l’“Altro” - lo si consideri diabolico o si pensi a lui come a l’Autre della nostra coscienza divisa - è la storia che mette in scena meglio di qualsiasi altra le vanità e gli splendori illeciti della speculazione filosofica.

La favola non ha perso nella modernità secolarizzata molto del suo fascino. Uno dei primi nomi in codice per la ricerca sugli armamenti termonucleari fu “Faustus”; il primissimo gioco di scacchi computerizzato disponibile sul mercato si chiamava “Mephisto”. (...)

Più che la filosofia stessa, è il linguaggio della letteratura o, più precisamente, della filosofia diventata letteratura, come in Kierkegaard o in Nietzsche, che esprime l’estremismo patologico, la compulsiva vanagloria della vocazione e dell’impresa del filosofo. Nel tema faustiano è racchiusa questa intuizione. Facendo un passo più in là di Hegel, Pessoa definisce la speculazione metafisica niente altro che “angoscia infinita”.

La filosofia ha un suo martirologio. Le antiche biografie, che restano sempre da verificare, raccontano di filosofi trucidati nelle contese civiche, messi a morte da despoti invidiosi, assassinati da fanatici come nel caso di Ipazia. Anche a proposito della morte di Pitagora girava voce che fossero avvenute azioni violente. Un epigramma, un trattato di metafisica o di cosmologia, le considerazioni politiche di Spinoza, possono diventare l’atto più temuto dall’ortodossia e dall’assolutismo.

Quando si aggira per la città un’ideologia può diventare uno spettro minaccioso (l’immagine famosa di Marx). La tradizione avverte che Gerusalemme uccide i suoi profeti e Atene i suoi pensatori. Non c’è vocazione più pericolosa dell’esercizio della ragione, essa stessa critica costante, aperta o mascherata, alle norme vigenti.

Sulla scia mitica dell’Apologia e del Fedone, le ultime ore di Socrate hanno ispirato nei secoli la letteratura, le belle arti e anche la musica, come nel caso di Satie. Nella coscienza occidentale, quella di Socrate è l’altra morte significativa divenuta un’icona.

L’interazione epistemologica e simbolica con il Golgota è il punto cruciale per Hegel, nella sua enigmatica affermazione che «l’Ora è la notte». Nella pittura europea, una pletora di freddezza accademica o di vero kitsch precede la Mort de Socrate di Jacques-Louis David con la sua amara menzogna (la presenza di Platone).

Nella imitatio di questo momento canonico, il suicidio forzato di Seneca e la sua tranquilla accettazione della morte diventano emblematici per la morale occidentale e il culto dell’integrità stoica. Il libretto dell’Incoronazione di Poppea di Monteverdi è mediocre, ma la musica che accompagna l’addio di Seneca ha qualcosa di magico. (...)

I poeti del risorgimento che lottavano per l’emancipazione dell’Italia dal papato celebrano la morte al rogo di Giordano Bruno, teorizzatore di eretiche infinità. Onorano Campanella che subì la tortura a causa del suo naturalismo precorritore e della sua visione utopica. In tempi più recenti si sono avuti elogi funebri, poesie elegiache e amare in memoria del fenomenologo e storico delle idee Jan Patocka, vessato dalla polizia segreta ceca fino a morirne.

Quanti studiosi di filosofia, seguaci di Confucio e intellettuali dissidenti sono stati umiliati, incarcerati, condannati a morte durante il sanguinario regime di Mao? Perché potessimo intendere il prodigio del canto inestinguibile di Orfeo o la prova dell’immortalità dell’anima, pur consapevoli della proposizione di Wittgenstein per cui la morte non ha significato rispetto all’esperienza umana, il prezzo è stato comunque salato. Si pensa a proprio rischio e pericolo.

(Traduzione di Fiorenza Conte e Renato Benvenuto) © 2012, Garzanti Libri s.p.a. © 2011 (per gentile concessione di Luigi Bernabò Associates


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: