La follia dei replicanti armati
di Gad Lerner (la Repubblica, 16 ottobre 2011)
Una replica fuori tempo massimo dell’insurrezionalismo novecentesco si è sovrapposta con la violenza alla novità di un movimento democratico che lanciava la sua sfida creativa alla tirannia finanziaria. Ha preso la mira per sbriciolarlo e per impossessarsene, riconducendolo agli schemi di un’ideologia militaresca. Un’ideologia che i giovani di tutto il mondo, sia pure ribelli, avevano ripudiato da anni. A questo scopo i replicanti hanno sfregiato la città di Roma, calpestando la resistenza inutilmente opposta loro dal corteo formato in massima parte da un popolo che crede nella protesta pacifica; perché a loro piace ridurre ogni popolo a fenomeno criminale.
Vandalismi dissennati, offese gratuite a simboli religiosi, vili aggressioni che hanno gettato nella costernazione gli organizzatori della mobilitazione nazionale degli indignati. Come un maledetto déjà-vu si ripropone il dubbio che il nostro Paese sia impedito a vivere una stagione davvero nuova, in cui sfide anche radicali di cambiamento possano esprimersi sotto forma di confronto democratico. L’impressione è che anche le forze dell’ordine siano giunte impreparate all ’appuntamento, come già accadeva negli anni in cui da più parti si puntava a imprigionare in una logica bellica il conflitto sociale. Ma questo dubbio non attenua di certo la condanna doverosa dei parassiti mascherati, capaci solo di recitare la parodia della guerriglia urbana.
Penoso è il confronto con le altre sollevazioni giovanili che hanno contraddistinto l’intero corso del 2011. Perfino quando i militari gli sparavano addosso, nel gennaio scorso, gli occupanti egiziani di piazza Tahrir hanno saputo prevalere grazie alle tecniche della nonviolenza. A Madrid in primavera gli indignados hanno circondato pacificamente il Parlamento. Tel Aviv ha convissuto per mesi con un accampamento nel suo boulevard centrale. A New York il sindaco ha rinunciato a sgomberare il Zuccotti Park di fronte al comportamento esemplare dei manifestanti. I saccheggi estivi a Londra nulla avevano a che fare con le rivendicazioni di giustizia sociale su cui s’è interconnesso il movimento "for global change". Solo la Grecia ha conosciuto episodi di violenza ideologica simili a quelli perpetrati ieri a Roma, ma in un contesto di sofferenza sociale ben più acuto. Gli spaccatutto incappucciati nostrani sono portatori di un arsenale ideologico per nulla rappresentativo delle realtà di disoccupazione, precariato, povertà che affliggono l’Italia contemporanea. Sono meri guastatori, cui dava solo fastidio il clima di comprensione e simpatia che da alcuni giorni cominciava ad aleggiare intorno alla protesta degli indignati.
Ieri mattina lo stesso Mario Draghi, pure additato come supremo rappresentante della cupola tecnocratica contro la quale era stata indetta la manifestazione, aveva riconosciuto le buone ragioni della protesta (anche se di certo non ne condivide gli obiettivi). E il premio Nobel statunitense Paul Krugman invitava i suoi colleghi economisti e i "sapientoni della finanza" a un esercizio di umiltà, visto il fallimento delle loro ricette: «I dimostranti hanno ragione». Così poteva, doveva accadere pure a Roma. Scendevano in piazza le avanguardie di un movimento rappresentativo di quella maggioranza della popolazione - forse non il "99 per cento" scandito negli slogan, ma comunque una larga maggioranza - rimasta vittima troppo a lungo di una scandalosa ripartizione del benessere a favore di pochi. Si erano inventati un linguaggio e delle forme di lotta aspre ma innovative, capaci di scavalcare i recinti di un confronto politico retrogrado. Proponevano soluzioni eretiche rispetto ai dogmi delle istituzioni finanziarie internazionali, forse impraticabili ma che era doveroso prendere in considerazione, come il default pilotato e il reddito di cittadinanza.
Temo che da oggi per un po’ non si potrà più scherzare sulla "santa insolvenza", né discutere più seriamente sulla legittimità della lettera inviata dalla Bce al nostro governo. Perché gli indignados qui in Italia sono stati calpestati dai black bloc e ancora una volta, inevitabilmente, prioritario diviene il ripristino della sicurezza urbana. Un tetro alibi di ferro, regalato a una politica capace solo di balbettare di fronte ai giovani che rialzano la testa. A togliere loro la speranza, stavolta, ci provano degli zombie, sbucati fuori dal passato oscuro della nostra democrazia malata.