Occupy Wall Street e la grande scommessa del primo maggio
Lavoro, diritto allo studio, immigrazione: oggi manifestazioni a New York, Seattle, Chicago, San Francisco
«Le nostre idee ormai sono sedimentate»
di Martino Mazzonis (l’Unità, 1.5.2012)
Il primo maggio non è un giorno di festa negli Stati Uniti, il Labor Day è a settembre. Eppure oggi a New York, Chicago, San Francisco, nella California del Sud e Seattle sarà pieno di manifestazioni. Occupy Wall Street ha lanciato molto tempo fa questa giornata. Oggi sarà un buon test per capire se il seme lanciato nei mesi di occupazione nei giardini dello Zuccotti Park è cresciuto.
«Speriamo molto nel primo maggio, ma la questione cruciale è che questo movimento sembra essersi sedimentato», ci spiega Jeffrey, ventenne con gli occhialoni e la camicia a scacchi che studia Geografia alla New York University. Lui non era tra coloro che hanno dormito nelle tende di Zuccotti, ma è sempre andato alle manifestazioni. Era a Union square il 25 aprile, quando gli studenti hanno organizzato una marcia nel centro della città per protestare contro il costo degli studi. «In Europa è diverso, ma qui ci indebitiamo per andare all’università. Student loans, finanziamento per studenti lo chiamano, e per decenni ha funzionato: ti indebitavi, studiavi, poi trovavi lavoro grazie agli studi e ripagavi un po’ al mese. Oggi non sai se quel lavoro lo avrai e ormai ne parlano tutti gli stipendi non sono più quelli di una volta. Nel frattempo il costo degli studi è aumentato».
In questi giorni è in corso uno scontro tra Obama e i repubblicani su come ridurre il costo degli Student loans. Il presidente ha minacciato il veto su una misura che per congelare i tassi di interesse agli studenti tagliava a programmi di sanità pubblica. «La posizione di Obama è migliore, ma non è abbastanza. Un tempo le università non costavano così», sorride Jeffrey. A Union square gli studenti avevano inscenato un banchetto di miliardari che brindavano al debito degli studenti, che ha raggiunto complessivamente mille miliardi di dollari. Vestita da gran dama dei primi del ‘900, filo di perle, c’è anche Sarah, 27 anni. Più radicale del suo collega. Sta finendo un dottorato e sente che il giorno di cominciare a pagare sta per arrivare. «È un paradosso: indebitandoci per studiare arricchiamo Wall Street. Vestiti così e brindando è questo che stiamo cercando di rappresentare. Non è solo un problema di quanto costa, è il sistema: chi ha ridotto così il Paese fa anche soldi sui miei debiti di studio». Per Sarah vanno puniti più di quanto Obama non stia facendo. «Andrò a votare, un repubblicano alla Casa Bianca sarebbe una catastrofe per mille motivi. Ma noi qui dobbiamo spingere su Obama, è stato davvero troppo timido. Non sono tempi per esserlo, questi». Sullo sfondo si sta esibendo il reverendo Billy, della chiesa dello “Stop shopping”, un grande personaggio che guida il suo coro gospel davanti ai grandi magazzini nei giorni dei saldi e fa esorcismi alle casse dei negozi delle catene. Gli spirituals finiscono tra gli applausi.
Radicali e meno radicali, sindacati e studenti, militanti iper tecnologici con la maschera di V per Vendetta, sfileranno in mille modi oggi. Sul sito di Occupy sono molto corretti: ci sono gli appuntamenti autorizzati e quelli no. Gruppi più radicali compariranno e scompariranno per la città a cominciare dalla mattina. «Strike everywhere» da un appuntamento all’una del pomeriggio.
Sul loro sito c’è scritto: «Ci hanno detto di marciare tra due barriere, noi il primo maggio non marciamo, noi scioperiamo (strike, vuol dire sciopero e vuol dire colpire)». Dalla mattina, a Bryant Park ci sarà via vai, cibo, organizzazione, gruppi che partiranno per fare picchetti davanti alle banche, volantinare. Dalle due in poi da qui si marcerà verso Union square, dove si staranno radunando quelli della May Day Solidarity Coalition: sindacati, chiese, studenti, immigrati. Dopo un concerto e comizio, alle 5.30 la giornata finirà con una grande marcia verso Wall Street. Manhattan, con ogni probabilità sarà nel caos: sono previsti blocchi non autorizzati dei ponti e una critical mass di biciclette andrà in giro per l’isola.
Questo almeno nelle intenzioni. I gruppi organizzati sanno che ci sarà gente, ne porteranno in piazza e altre se ne aggregherà. Gli imprevisti invece dipendono da quanto il marchio radicale di Occupy sia ancora vivo. Ben, afroamericano membro del sindacato dei servizi Seiu, incontrato alla marcia del 99% Spring, pensa che «il tema delle diseguaglianze insopportabili di questo Paese abbia sfondato».
Lavora per una ditta di pulizie e trova intollerabile che si ragioni di tagli senza aumentare le tasse ai ricchi: «Abbiamo fatto bene ad aderire a questa mobilitazione di maggio. Più si parla di questi temi e più si sposta il discorso nella direzione giusta. In questa città c’è gente che con il mio salario di un anno ci paga la toilette del cane».
Ramon è di origini messicane, cappello da baseball dei Chicago Cubs calzato al rovescio e t-shirt nera, senza un filo di accento spagnolo. A lui premono i diritti degli immigrati. E pensa anche lui che comunque vada, «tutto questo ha cambiato le cose. Dovremo essere bravi a continuare a batterci con intelligenza. Serve una legge di riforma dell’immigrazione e serve più equità. A Washington non si sono occupati di queste cose. Troppi soldi dalle lobby, la politica non è in grado di prendere decisioni senza una spinta che le renda necessarie». Oggi a Manhattan e altrove provano a spingere.