Gloria Mundi
di Massimo Gramellini (La Stampa, 21/10/2011)
Non c’è mai nulla di glorioso nell’esecuzione di un tiranno. La vendetta resta una pulsione orribile anche quando si gonfia di ragioni. Ci vogliono Sofocle e Shakespeare, non gli scatti sfocati di un telefonino, per sublimarla in catarsi. Gli sputi, i calci e gli oltraggi a una vittima inerme - sia essa Gesù o Gheddafi - degradano chi li compie a un rango subumano.
Dal governo del baciamano ci si sarebbe aspettati qualche parola di pietà nei confronti del vecchio sodale tramutato in un cencio sporco di sangue. Invece è toccato leggere le parole del ministro degli Esteri Frattini, che appena tre anni fa chiamava Gheddafi «un grande alleato dell’Italia» e adesso definisce la sua barbara fine «una grande vittoria del popolo libico». Davvero «grande» anche lui, il signor ministro con delega alla coerenza e alla sensibilità. La Russa non poteva essergli da meno e infatti non lo è stato. Ha detto: «Dobbiamo gioire». Per la nuova Libia, immagino. Ma con che razza di cuore si può abbinare un verbo di festa alle immagini di un corpo trascinato sull’asfalto? Ho vanamente cercato parole simili nelle dichiarazioni dei ministri francesi, tedeschi, americani. Forse i nostri sono solo più ruspanti: parlano prima di pensare, o anche senza pensare, né prima né dopo. Al confronto giganteggia persino il filosofo di Palazzo Chigi ed ex amicone del rais. Il suo «Sic transit gloria mundi» sulla volubilità della condizione umana (Gloria Mundi non è il nome di una ragazza) sembra voler dar voce, se non a un presentimento, a un tormento interiore.