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CRISI NUCLEARE. All’indomani della pubblicazione del rapporto dell’Aiea sul nucleare iraniano, uno scenario (reale) da brividi.

IRAN E ISRAELE: ALLARME ROSSO. CON LA SUA INVINCIBILE ARMADA VOLANTE, ISRAELE E’ PRONTA AD ATTACCARE TEHERAN. Un breve resoconto di U. De Giovannangeli - a c. di Federico La Sala.

Di fronte all’acuirsi della crisi tra Israele e Iran, si moltiplicano gli sforzi internazionali per una svolta diplomatica. L’Europa chiede un rafforzamento delle sanzioni. Tel Aviv le accetta solo se saranno «paralizzanti».
domenica 18 novembre 2012 di Federico La Sala
[...] «Se saremo attaccati risponderemo con i missili all’aggressione», avverte il generale Mohammed Ali Jafari, comandante dei Guardiani della rivoluzione. I vettori iraniani possono trasportare sia testate convenzionali che chimiche o batteriologiche e addirittura nucleari. Se venissero utilizzate armi di distruzione di massa la risposta israeliana non si farebbe attendere grazie ai missili balistici Jericho II e Jericho III. Non solo: le testate nucleari miniaturizzate a bordo dei (...)

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> IRAN E ISRAELE: ALLARME ROSSO. --- Equilibri mutati in Medio Oriente. Ora si rischia una deflagrazione (di Franco Venturini)

giovedì 15 novembre 2012

Equilibri mutati in Medio Oriente. Ora si rischia una deflagrazione

di Franco Venturini (Corriere della Sera, 15.11.2012)

Da almeno una settimana tra Israele e Gaza tirava vento di guerra. Hamas aveva lanciato un centinaio di razzi Qassam contro la città di Sderot, i militari israeliani avevano risposto con ripetuti raid aerei. Poi, ieri, il governo di Gerusalemme ha deciso di colpire duro: una incursione mirata ha ucciso Ahmed al-Jaabari, capo dell’ala militare di Hamas e carceriere del caporale franco-israeliano Gilad Shalit liberato nell’ottobre del 2011 dopo oltre cinque anni di prigionia. E, quel che più conta, Israele ha spiegato che questa è soltanto la prima mossa di una più ampia «operazione di pulizia» a Gaza, che potrebbe comprendere, «se necessario», anche un intervento terrestre..

Una escalation di ostilità tra le due parti appare dunque probabile, tanto più che Hamas ha promesso vendetta accusando gli israeliani di aver «aperto i cancelli dell’inferno» e sul fronte opposto Netanyahu non può apparire debole mentre si avvicinano nello Stato ebraico le elezioni di gennaio. Si arriverà a una ripetizione della controversa «Operazione piombo fuso» di quattro anni addietro? È presto per dirlo, ma sin d’ora appare chiaro che il nuovo scontro frontale tra Israele e Hamas si colloca in una cornice internazionale profondamente cambiata rispetto al 2008.

È diverso l’Egitto, che tante volte ha mediato tra israeliani e palestinesi. Oggi al Cairo comandano i Fratelli musulmani, «fratelli» se non figli dei loro correligionari di Gaza. Il pur moderato presidente Morsi avrà molte difficoltà a restare neutrale, incalzato com’è dagli oltranzisti salafiti che già reclamavano una revisione del trattato di pace con Israele (ieri sera Morsi ha richiamato l’ambasciatore egiziano in Israele e chiesto alla Lega araba di convocare un incontro d’emergenza).

Sono diversi gli equilibri della regione, scossi dalla sanguinosa guerra civile in Siria. Nella complessa geografia dei gruppi islamici i sunniti di Gaza intrattengono un legame con l’Hezbollah libanese sciita, che a sua volta è vicino agli alawiti (sciiti) del governo di Damasco. Non soltanto. I gruppi sunniti dell’opposizione anti-Assad hanno appena concluso a Doha un patto unitario la cui tenuta andrà verificata, ma certamente alcuni di loro sono più anti-israeliani di altri e potrebbero riprendersi un margine di autonomia in caso di guerra a Gaza. Resi più fragili dalla vicenda siriana sono anche la Giordania, il Libano e naturalmente la Turchia, che nell’eventualità di una «Operazione piombo fuso II» si troverebbero a fare i conti con i loro fronti interni. Per non parlare dei palestinesi separati di Mahmud Abbas, che proprio in questi giorni hanno rilanciato la loro richiesta di diventare «membro osservatore» dell’Onu.

È diversa, malgrado la rielezione di Obama, anche l’America. Il capo della Casa Bianca non ha ottenuto progressi negoziali tra israeliani e palestinesi durante il suo primo mandato, e i suoi rapporti con Netanyahu non sono mai stati cordialissimi. Ora, mentre gli Usa tenevano d’occhio piuttosto le intenzioni israeliane nei confronti dell’Iran, arriva una possibile crisi a Gaza. Quando il presidente è alle prese con l’affare Petraeus, con un ampio rimpasto del suo governo e con l’impostazione del negoziato con i repubblicani per allontanarsi dal fiscal cliff. La posizione statunitense sarà certamente di piena solidarietà con il diritto alla difesa di Israele, ma è altrettanto indubbio che Washington tenterà di gettare acqua sul fuoco e suggerirà ad entrambe le parti reazioni proporzionate proprio per evitare l’escalation.

Poco resta da dire sugli europei, che svolgono un ruolo importante come finanziatori civili dei palestinesi di Ramallah ma che non sono mai riusciti a pesare più di tanto sull’ultradecennale vicenda del conflitto israelo-palestinese. Parole di buon senso, queste sì, vengono anche dagli europei: occorre riprendere le trattative di pace e nel contempo favorire un ravvicinamento inter-palestinese, vanno rispolverate le idee su un accordo complessivo, devono essere isolati gli estremisti. Giusto, ma dopo ieri la situazione dalle parti di Gaza più che al buon senso sembra affidata al grilletto.


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