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CRISI NUCLEARE. All’indomani della pubblicazione del rapporto dell’Aiea sul nucleare iraniano, uno scenario (reale) da brividi.

IRAN E ISRAELE: ALLARME ROSSO. CON LA SUA INVINCIBILE ARMADA VOLANTE, ISRAELE E’ PRONTA AD ATTACCARE TEHERAN. Un breve resoconto di U. De Giovannangeli - a c. di Federico La Sala.

Di fronte all’acuirsi della crisi tra Israele e Iran, si moltiplicano gli sforzi internazionali per una svolta diplomatica. L’Europa chiede un rafforzamento delle sanzioni. Tel Aviv le accetta solo se saranno «paralizzanti».
domenica 18 novembre 2012 di Federico La Sala
[...] «Se saremo attaccati risponderemo con i missili all’aggressione», avverte il generale Mohammed Ali Jafari, comandante dei Guardiani della rivoluzione. I vettori iraniani possono trasportare sia testate convenzionali che chimiche o batteriologiche e addirittura nucleari. Se venissero utilizzate armi di distruzione di massa la risposta israeliana non si farebbe attendere grazie ai missili balistici Jericho II e Jericho III. Non solo: le testate nucleari miniaturizzate a bordo dei (...)

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> IRAN E ISRAELE: ALLARME ROSSO. --- EL BARADEI, ex direttore dell’Aiea, premio Nobel per la pace: Se l’Iran venisse aggredito, riceverebbe immediato appoggio non solo da tutti i cittadini iraniani, ma anche da quasi tutti gli abitanti del Medio Oriente, oltre che da un vasto numero di persone sparse in tutto il mondo

venerdì 16 novembre 2012

Mohamed El Baradei: «La Striscia è una prigione. La soluzione non è nelle armi»

Ex direttore dell’Aiea, premio Nobel per la pace, tra i protagonisti della «primavera egiziana», fondatore del partito laico Al-Dostour

di Umberto De Giovannangeli (l’Unità, 16.11.2012)

La nostra conversazione spazia dal Medio Oriente in fiamme alla controversa transizione egiziana. Un giro d’orizzonte alquanto interessante se il «compagno di viaggio» è un uomo che ha accumulato nel corso della sua vita pubblica un bagaglio considerevole d’esperienza: Mohamed El Baradei, già direttore dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica delle Nazioni Unite, premio Nobel per la pace, tra i protagonisti della «primavera egiziana».

A Gaza è guerra: «Non basta far tacere le armi riflette El Baradei se poi si lascia che la Striscia di Gaza resti una enorme prigione a cielo aperto, isolata dal resto del mondo, dove cresce solo rabbia e disperazione. Non c’è pace senza giustizia, e giustizia vuole che al popolo palestinese sia riconosciuto finalmente il diritto ad uno Stato indipendente. È con la politica e non con le armi che Israele può difendere la sua sicurezza. Israele ha nel presidente Abbas (Abu Mazen, ndr) un interlocutore saggio, disposto a negoziare una pace giusta, duratura, tra pari. Delegittimarlo come Israele sta facendo è un altro errore esiziale».

El Baradei si sofferma anche sul dossier iraniano e sulle voci di contatti segreti tra Washington e Teheran: «Non so se questi contatti si sono svolti - osserva l’ex direttore dell’Aiea ma sono convinto che il dialogo costruttivo è la linea giusta da seguire, perché le sanzioni da sole non risolveranno il problema, tanto meno l’opzione militare che, se praticata, avrebbe effetti devastanti per l’intero Medio Oriente e per la sicurezza nel mondo. Se l’Iran venisse aggredito, riceverebbe immediato appoggio non solo da tutti i cittadini iraniani, ma anche da quasi tutti gli abitanti del Medio Oriente, oltre che da un vasto numero di persone sparse in tutto il mondo».

«Prego aggiunge affinché una cosa simile non possa mai accadere. Mi auguro che gli israeliani si rendano conto che una tale decisione ne minerebbe gravemente la posizione, invece che consolidarne la sicurezza. La questione potrà essere risolta solo quando Stati Uniti e Iran decideranno di sedersi al tavolo delle trattative intenzionati a giungere a una soluzione che accontenti entrambi».

A Gaza è di nuovo guerra. È la resa dei conti finale tra Israele e Hamas?

«Chi lo pensa è un irresponsabile e gioca con il fuoco. Già in passato, Israele ha provato a risolvere con la forza il “problema-Hamas” eliminando molti dei suoi dirigenti. Ma altri li hanno sostituiti e la storia si ripeterà. Non è con le armi che Israele potrà sentirsi più sicuro. La sua sicurezza è legata indissolubilmente alla realizzazione del diritto dei palestinesi ad uno Stato indipendente. Un diritto fin qui colpevolmente negato».

C’è il rischio che la guerra di Gaza possa estendersi?

«Certo che sì. Ed anche per questo che l’incendio va domato al più presto. La “primavere arabe”, non in termini anti-israeliani ma come parte di quelle istanze di libertà e di giustizia che non valevano solo per l’interno. Sono il primo a ritenere che non esista alternativa al dialogo e che il diritto di resistenza non vada confuso con attacchi indiscriminati contro i civili. Ma, lo ripeto, alla pace va data una chance, vera, reale. Solo così potranno essere sconfitti gli estremisti».

Mentre a Gaza si combatte, l’Egitto fa i conti con una transizione difficile e per molti aspetti contraddittoria.

«Dagli avvenimenti dell’ultimo anno dobbiamo trarre la lezione che divisi si perde. La divisione delle forze laiche, democratiche e progressiste ha pesato in misura decisiva alla vittoria di Mohamed Morsi e dei Fratelli Musulmani nelle elezioni presidenziali. Occorre voltar pagina e l’unità raggiunta tra Al-Dostour (il partito della Costituzione di cui El Baradei è stato co-fondatore, ndr) e l’Al-Adl (Giustizia», partito laico centrista, ndr) va nella giusta direzione».

A proposito di Costituzione, un punto centrale nel programma dell’Al-Dostour, è proprio quello di battersi per una nuova carta costituzionale che recepisca lo spirito e le istanze che furono alla base della rivolta anti-Mubarak.

«La Costituzione è la legge fondamentale, quella che dà l’impronta ad un Paese, e i suoi dettami non possono compromettere la libertà umana, la dignità e l’uguaglianza. Diritti civili e giustizia sociale: sono i pilastri di una battaglia che ha come posta in gioco il futuro dell’Egitto».

Lei è stato molto critico con i Fratelli Musulmani. Perché?

«Perché il modo in cui il Fratelli Musulmani gestiscono il bene pubblico si scontra con i tentativi del popolo di trasformare l’Egitto in uno Stato di diritto. A ciò si aggiunga che nulla è stato fatto per migliorare le condizioni di vita della popolazione e offrire una prospettiva alle nuove generazioni. La lotta ora non è a Piazza Tahrir (il centro della rivolta anti-Mubarak, ndr) ma nell’arena politica. L’impegno del mio partito è quello di radicarsi in ogni segmento della società egiziana».


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