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L’ARCA DELL’ALLEANZA, IL MESSAGGIO EVANGELICO, E L’APOCALISSE (= RIVELAZIONE). Due soli in Terra e il Sole del Giusto Amore (“Karitas seu recta dilectio”) in cielo...

GIOACCHINO DA FIORE, DANTE, E LA "GRANDE RUOTA DEL CARRO" DI EZECHIELE - LA "CHARITAS". Alcune pagine dalla «Concordia Novi ac Veteris Testamenti» e dalla "Monarchia", con note - a c. di Federico La Sala

(...) come la cupidigia, per quanto piccola sia, offusca l’abito della giustizia, così la carità, cioè il retto amore, lo rende più forte e più illuminato. Perciò, la persona che è capace di raggiungere il più alto grado di retto amore può attingere il massimo livello di giustizia (...)
domenica 1 gennaio 2012
"Per illustrare la struttura della concordia [dei due Testamenti, fls], Gioacchino utilizza frequentemente due immagini mutuate dal patrimonio simbolico della Scrittura: i due cherubini che si guardano in faccia sopra il coperchio dell’arca ("I cherubini avranno le due ali stese di sopra, proteggendo con le ali il coperchio; saranno rivolti l’uno verso l’altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso il coperchio", Es. 25,20) e le ruote del carro della famosa "visione di Ezechiele" (...)

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> GIOACCHINO DA FIORE, DANTE, E ---- LA NECESSITA’ DI "UN RIPENSAMENTO DELLA CARITA’ NELLA SOCIETA’ SECOLARIZZATA"

sabato 26 novembre 2011

Nota su tema:

-  FEDE E CARITA’ ("CHARITAS"): CREDERE "ALL’AMORE" ("CHARITATI").
-  Enzo Bianchi si domanda "come si può credere in Dio se non si crede nell’altro?", ma non si rende conto che è il quadro teologico costantiniano e mammonico che va abbandonato!
(Federico La Sala)


Se tramonta la trascendenza

di Enzo Bianchi (La Stampa, 26 novembre 2011)

Titolo essenziale quello scelto da Giovanni Ferretti per una sua organica raccolta di saggi: Essere cristiani oggi (LDC, pp. 184, € 11,50) affronta infatti con profondità e immediatezza «il “nostro” cristianesimo nel moderno mondo secolare», come recita il sottotitolo. Sono considerazioni che l’autore già docente di filosofia teoretica all’Università di Macerata, di cui è stato anche rettore - ha avuto modo di elaborare in questi ultimi anni facendo tesoro di un dialogo fecondo tra filosofia e fede cristiana, in cui il suo essere presbitero della diocesi di Torino non ha costituito un ostacolo ma anzi un prezioso arricchimento. Cogliendo «la crisi ormai irreversibile della cristianità» come uno dei più significativi «segni dei tempi» che i cristiani dovrebbero sapientemente discernere e affrontare anziché negare, Ferretti ne analizza le radici e le manifestazioni, trasformandolo da rassegnata constatazione a stimolo virtuoso per un modo nuovo eppur antico di porsi dei cristiani nella società. Già l’interrogativo che pone in apertura - «tramonto o trasfigurazione del cristianesimo?» - è eloquente sull’approccio offerto dal volume. Se infatti il «tramonto della trascendenza» è una tendenza culturale e sociologica ben più vasta della minor rilevanza di alcune tradizioni cristiane nella società contemporanea, questo può aprire nuove prospettive alla comprensione e all’annuncio di Gesù Cristo e del suo Vangelo: l’uomo Gesù che ha saputo narrare il volto del Padre non costituisce «alcuna opposizione alla piena fioritura dell’uomo, bensì la massima vicinanza e il massimo impegno alla sua più compiuta umanizzazione», come paradossalmente ricorda il teologo protestante Paolo Ricca: «Dio si è fatto uomo perché noi non eravamo ancora uomini».

Proprio per questo il discorso offerto da Ferretti non riguarda solo i cristiani ma anche - e direi forse soprattutto - chi cristiano non è o tale non si ritiene più: «ripensare la risurrezione» in modo anche critico rispetto a un certo immaginario cristiano non è mero esercizio teorico, ma la possibilità di coglierla come «permanenza in Dio, anche dopo la morte, della nostra “identità personale”», come meta finale di ogni essere umano e riscatto di ogni faticosa ricerca di comunione e di gioia condivisa.

Ma la convincente riflessione di Ferretti non si ferma agli aspetti più «rivelativi» della fede cristiana e del suo coniugarsi con l’oggi della storia: passando attraverso un «ripensamento della carità nella società secolarizzata», affronta con lucidità il difficile dialogo con il mondo «laico» sui valori, sulla loro relatività o assolutezza, sulla loro genesi e condivisione, sulle minacce che li sovrastano e le potenzialità anche e soprattutto civili che essi contengono. Decisiva in questo ambito delicato è la dialettica tra «l’assoluto della verità» e «il carattere inviolabile della libertà umana». Per l’autore è quindi evidente che «valori non negoziabili o irrinunciabili non significa e non deve significare “non argomentabili” e tanto meno imponibili all’altro con la forza e la violenza». Un’evidenza che purtroppo non sempre è riconosciuta da tutti, ma che appare indispensabile per una sana crescita di una società civile libera e democratica.


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