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ICONOGRAFIA

GEORGES DE LA TOUR: L’EDUCAZIONE DELLA VERGINE. LA LUCE E IL LIBRO. Un’analisi di Emma Nardi - a c. di Federico La Sala

MILANO. A Palazzo Marino - Sala Alessi - in esposizione dal 26 novembre 2011 all’8 gennaio 2012 - "L’Adorazione dei pastori" e "San Giuseppe falegname".
giovedì 1 dicembre 2011 di Federico La Sala
IL TESTO DI EMMA NARDI è IN PDF (in fondo)

A Milano
Palazzo Marino
Sala Alessi
dal 26 novembre 2011 all’8 gennaio 2012
Ingresso libero
sono in esposizione di
GEORGES DE LA TOUR,
L’Adorazione dei pastori
e
San Giuseppe falegname

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> GEORGES DE LA TOUR ---- MILANO, 2015/2016. Pieter Paul Rubens: Adorazione dei pastori. L’elogio della semplicità in un’architettura maestosa.

giovedì 3 dicembre 2015


L’elogio della semplicità in un’architettura maestosa

Ai Magi preferisce i pecorai: è l’etica della Controriforma

di Chiara Vanzetto (Corriere della Sera, 3.12.2015)

Ogni volta una sorpresa, una storia da raccontare, un incontro nuovo: come da tradizione decembrina anche quest’anno Palazzo Marino apre le porte ad un grande capolavoro d’arte, che arriva da lontano e rimane più di un mese a libera disposizione della città. Un’operazione promossa per l’edizione 2015 da Comune di Milano-Cultura, partner istituzionale Intesa Sanpaolo e sostegno di La Rinascente, e realizzata da Palazzo Reale con Città di Fermo - Pinacoteca Civica in collaborazione con Gallerie d’Italia di Piazza Scala.

Dopo Leonardo e Caravaggio, Tiziano e De La Tour, Raffaello e Canova, l’autore prescelto è Pieter Paul Rubens, massimo maestro del Seicento fiammingo. Ma non si tratta di un’opera che viene dal Nord. La sua folgorante Adorazione dei pastori, esposta in Sala Alessi con un allestimento che evoca un altare barocco, arriva da Fermo, nelle Marche: perché dal 1600 al 1608 Rubens, umanista oltre che pittore, ha vissuto qui, in Italia, imbevendosi della nostra cultura. Uno splendido dipinto, sempre rimasto nella sua collocazione originaria, dove è stato ritrovato e riconosciuto nel 1927 dal geniale connaisseur Roberto Longhi. A testimoniare che il nostro Paese è un immenso museo diffuso, dove anche i centri storici meno frequentati conservano tesori nascosti.

«Perché scegliere Rubens? Sicuramente per dare al pubblico un’anticipazione della grande mostra che Palazzo Reale gli dedicherà nell’ottobre 2016 - chiarisce il curatore Anna Lo Bianco, storico dell’arte -. Ma soprattutto perché la sua pittura è straordinaria: un universo complesso e immediato, maestoso e umanissimo al tempo stesso. In particolare questa pala è un’opera cardine nell’itinerario rubensiano: riassume tutte le sue esperienze italiane e contiene in nuce gli sviluppi della sua maniera».

Un’opera anche ben documentata grazie al carteggio tra i committenti, i Padri della Confraternita degli Oratoriani, colti e aperti alle novità: da questa fonte sappiamo che Rubens, lasciato libero di esprimersi, la esegue di getto e in breve tempo, tra marzo e giugno del 1608, poco prima di ritornare ad Anversa. «Ha vissuto a Mantova, Genova, Venezia, Roma.

Si è immerso nell’arte italiana dall’antichità romana al contemporaneo, che all’epoca era rappresentato da Caravaggio - spiega Stefano Zuffi, autore di uno dei saggi in catalogo come Giovanni Morale e Cecilia Paolini -. L’intenso notturno dell’Adorazione è ispirato a Correggio e al naturalismo lombardo, alcune pose si rifanno a modelli classici, la stesura pittorica risente del cromatismo di Tiziano, atmosfera e luci sono d’impronta caravaggesca. Ma poi il risultato è attuale e personalissimo: siamo di fronte alla prima pala di gusto barocco concepita in Italia, caratterizzata da contrasti, dinamismi, teatralità, pathos, stupore».

Uno stile e un’iconografia del tutto innovativi. Che però ben si accordano col clima religioso della tarda Controriforma, nota Zuffi, quando al soggetto aristocratico e signorile dell’Adorazione dei Magi si preferisce la devozione più schietta e popolare dell’Adorazione dei pastori. Una scelta tematica significativa anche oggi, per confermare con pacatezza e serenità le nostre radici cristiane e permettere a tutti di conoscerne le tradizioni. «Tradizioni che si collegano direttamente alla storia e alla ritualità ambrosiana - commenta Giovanni Morale - in cui si sottolinea l’importanza dell’Avvento e del Natale come momento d’incontro tra divinità e umanità». Come ogni anno, il pubblico sarà accompagnato nella visione del capolavoro da un filmato realizzato per l’occasione e dalle esperte guide di Civita, che ha collaborato all’organizzazione della mostra.


Il bel vivere di Rubens

-  Artista e consigliere di corte unì genio, fortuna e generosità in un’esistenza votata al bello
-  Diverso dal rude (ed ammirato) Caravaggio seppe destreggiarsi tra nobili e colleghi
-  Ed anche da ricco non volle rinunciare alla pittura

di Francesca Bonazzoli (Corriere della Sera, 3.12.2015)

All’inizio di giugno del 1608 Pieter Paul Rubens terminava di dipingere a Roma l’Adorazione dei pastori per la chiesa di San Filippo Neri di Fermo. Caravaggio era fuggito dalla città eterna esattamente due anni prima, inseguito da una condanna a morte per omicidio e dalla fama di pittore più geniale del tempo. Tutti i giovani imitavano la sua maniera e anche Rubens, che aveva solo sei anni meno di lui, ne era rimasto sedotto, come si vede nei forti contrasti di luce del dipinto marchigiano. L’anno prima si era anche battuto affinché il duca di Mantova, al cui servizio il fiammingo lavorava, comprasse la grande tela con la Morte della Vergine dipinta da Caravaggio e rimossa da Santa Maria della Scala perché si diceva che nei panni della Madonna fosse ritratta una prostituta annegata nel Tevere.

Quando dopo due mesi di trattative Rubens riuscì a ottenere l’opera, allestì un’esposizione pubblica nel palazzo dell’ambasciatore di Vincenzo Gonzaga, Giovanni Magni, e tale fu la folla di coloro che accorsero a vederla, che si dovette tenere aperta la casa per un’intera settimana.

Rubens era fatto così: generoso, immune dalla meschinità e dalle invidie che affliggevano gli altri pittori. Era uno spirito gentile, sereno e positivo. L’opposto del violento Caravaggio. La mano di carte fortunate che la vita gli aveva riservato comprendeva anche un bell’aspetto.

Quando arrivò a Venezia nel giugno del 1600, a 23 anni, portava i capelli lunghi fino alle spalle, i baffi arricciati, e con le sue maniere da gentiluomo affascinò il duca di Mantova. Vincenzo Gonzaga era uno splendido dissipatore di ricchezze, dedito alle avventure galanti, alle cacce, ai banchetti, al gioco d’azzardo e a quello della guerra (ci andava vestito con abiti tempestati di gemme, accompagnato da buffoni e musici guidati da Claudio Monteverdi). Invitò subito Rubens alla sua corte, ma essendo sempre a corto di liquidi lo lasciò libero di dipingere per altri committenti. Lo inviò anche in missioni diplomatiche grazie alle quali Rubens fece incontri straordinari come quello con Diego Velázquez che il re di Spagna Filippo IV teneva recluso a corte, al suo esclusivo servizio.

Velázquez aveva 22 anni esatti meno di Rubens e sebbene sotto gli occhi, a Madrid, avesse a disposizione i migliori Tiziano del mondo, quelli collezionati da Carlo V, sognava di andare in Italia. Fu Rubens a convincere Filippo IV a concedere a Velázquez un viaggio a Roma: nessuno quanto lui stesso poteva capire quel desiderio. Roma era la grande passione del fiammingo, anche se fama e ricchezza erano decollate a Genova grazie agli straordinari ritratti delle ricche mogli dei mercanti genovesi. Corteggiato e a suo agio fra quei borghesi che prestavano i soldi agli uomini più potenti d’Europa, divenne amico di Nicolò Pallavicino, banchiere di Vincenzo Gonzaga e ancora a distanza di molti anni i due erano così legati che il pittore chiese al banchiere di fare da padrino al suo secondo figlio.

Un’altra missione diplomatica, a Firenze per accompagnare il Gonzaga alle nozze per procura di Maria de’ Medici con Enrico IV, fruttò a Rubens vent’anni dopo uno dei contratti meglio pagati: quello per le tele della galleria del Lussemburgo, a Parigi. La vita, insomma, rovesciò su Rubens tutti i suoi doni: talento, gloria, amicizie, ricchezza, intelligenza, una grande casa all’italiana nella sua Anversa, e due mogli adorate: Isabella e, dopo la morte di questa, la giovane Hélène. La sposò a 54 anni, al ritorno dall’Inghilterra: lei aveva 16 anni e veniva da una famiglia borghese.

Dopo la nomina a cavaliere concessagli da Carlo I per i servizi resi in favore della pace fra Inghilterra e Spagna, tutti si aspettavano che il pittore avrebbe scelto una dama a corte. Invece, finalmente liberato dagli impegni diplomatici, Rubens tornò a dilettarsi con la pittura. L’ultima cosa di cui aveva bisogno, ormai straricco e padrone del suo tempo, era una moglie aristocratica, che sarebbe magari arrossita a vederlo prendere i pennelli in mano. Lui non era come Caravaggio, che sfidava la vita. A Rubens piaceva gustarla. Con la naturalezza e la calma di chi sa di poter dire «tout vient chez moi».


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