Le vedove di Casale, i nostri cavalieri del lavoro
di Daria Lucca (Il Fatto, 14 febbraio 2012)
E’ passato un giorno dalla sentenza di Torino che ha segnato la vittoria di tutti noi contro i crimini sulla salute commessi in nome del profitto a tutti i costi ed è importante continuare a parlarne. I 16 anni di carcere (non pochi, davvero) comminati ai due proprietari (stranieri e, almeno uno, per l’età, fuori del rischio galera) della Eternit sono il punto di partenza di una serie di riflessioni che ci devono accompagnare nei mesi a venire.
La prima è d’obbligo rivolta a Raffaele Guariniello. Chi è abbastanza agé da ricordarlo “bucare” le difese inviolate della Fiat anni ’70, in piene ferie, alla ricerca (purtroppo fruttuosa) delle schedature sui dipendenti, e lo ha seguito nel percorso da lui costruito per una giustizia dei consumatori (cibi o vino avariati), dei tifosi onesti (doping) e dei lavoratori lasciati senza sicurezza (Thyssen), non può che complimentarsi per la sua determinazione e per il suo rigore.
La seconda è per quel gruppo di avvocati che non ha smesso negli anni di lavorare (probabilmente a fronte di magri onorari) perché fosse affermato il diritto di quanti sono stati esposti al rischio e ne hanno portato le conseguenze: operai degli stabilimenti Eternit ma anche i cittadini di Casale Monferrato, a cui il profitto di cui sopra ha regalato tonnellate di polveri mortali. A questi avvocati, che di certo non si preoccupano della tariffa minima, deve andare tutto il nostro rispetto.
La terza riflessione, infine, deve rivolgere un pensiero di sostegno alle donne che hanno animato, incoraggiato e sostenuto le parti lese. Alcune si sono ammalate loro stesse, la maggior parte sono le vedove degli operai che, negli anni ’70-’80, quando già si conosceva il potenziale distruttivo dell’amianto, sono stati tenuti all’oscuro dei rischi dai loro “padroni” (scusate il sostantivo molto retrò, ma qui ci vuole).
Esattamente all’opposto, oggi, queste donne si battono non solo per avere giustizia personalmente, ma per diffondere informazioni e conoscenze sul problema. Proprio questo ha detto, dopo la sentenza, Romana Blasotti, presidente dell’associazione vittime dell’amianto di Casale: “La lotta non finisce qui, noi vogliamo lottare per la bonifica e la ricerca”. Il risarcimento (che al momento è soltanto la provisionale, altri ne saranno stabiliti in sede di giustizia civile) può sembrare poca cosa a chi è abituato alle cifre sensazionali di certe cause americane. Oggi però è molto più importante il risultato complessivo: la condanna penale per i proprietari dello stabilimento che erano consapevoli e continuarono, il riconoscimento di parti lese per le associazioni, le strutture, le organizzazioni sindacali, le cittadinanze.
Fra tanti cavalieri del lavoro, pur degni, provenienti dall’imprenditoria sarebbe a questo punto bello vedere il presidente della repubblica proclamarne almeno una tra queste donne che sull’altare del lavoro hanno lasciato, oltre a energie e fatica, anche la vita dei loro cari. E che, con il loro coraggio, hanno aiutato questo paese a credere ancora nella giustizia.