di Bruno Forte (Il Sole 24 Ore, 19 maggio 2013)
Il colpo d’occhio dal sagrato era impressionante: la folla riempiva tutta la piazza e si dilatava fino a coprire Via della Conciliazione. Uno dei responsabili vaticani delle comunicazioni mi diceva che questi numeri erano prima da «eventi straordinari», ora sono l’ordinario di ogni udienza generale.
A incontrare Papa Francesco mercoledì scorso, come pellegrini nell’anno della fede, c’erano con me circa diecimila fedeli dell’Arcidiocesi affidatami: un numero altissimo, cresciuto in pochi giorni da quando si era passati alla concretizzazione dell’iniziativa in programma da mesi. L’arrivo del Vescovo di Roma, in piedi sulla jeep bianca, e il suo lungo giro fra i vari settori di Piazza San Pietro, hanno suscitato un’indescrivibile entusiasmo.
Si percepiva una profonda corrente di amore fra il Papa e i pellegrini, tutti desiderosi di un contatto personale, fosse anche solo di uno sguardo o di un gesto, come quello tenerissimo di asciugare a distanza con un movimento della mano le lacrime di un bambino che piangeva in braccio alla mamma. Poi, la catechesi nello stile di questo Papa, semplice e profonda, con battute improvvisate che rendevano la folla particolarmente partecipe.
Il tema, ispirato a una pagina del Vangelo di Giovanni, era quello della verità: non qualcosa da possedere, ma Qualcuno da incontrare e da amare, il Signore Gesù. La verità come amore ricevuto e donato, come senso e forza della vita, come sequela del Figlio di Dio nel suo farsi tutto a tutti. Quindi, i saluti: la gioia di scambiare qualche parola con Papa Francesco, il suo sorriso contagioso, la sua memoria e attenzione per ciascuno, le sue battute...
A un mio giovane prete che gli diceva di essere parroco di un piccolo paese di montagna, il Papa domanda: «Allora conosci i nomi di tutti?». E al suo sì piuttosto emozionato, incalza: «Anche dei cani?» Alla risata spontanea dei circostanti, intervengo per aiutare il giovane a superare un attimo d’imbarazzo: «I nostri cani, Santità, sono religiosi. Hanno un solo difetto: si addormentano durante le omelie dell’Arcivescovo!». Qui, a ridere di gusto è il Papa. Un altro mio presbitero gli dice quasi nell’orecchio: «Mia madre è molto devota alla Madonna dei nodi...». E Papa Francesco replica prontamente: «E allora le dica di pregare tanto per me, che di nodi da sciogliere ne ho parecchi...».
L’impressione generale è di incontrare qualcuno che ti capisce e ti vuol bene, a partire da una fede viva e irradiante. La domanda che nasce è perché tutto questo colpisca così intensamente la gente.
Provo a individuare tre ragioni, che mi sembra possano far pensare in particolare quanti sono chiamati a comunicare a vasto raggio con gli altri, dagli operatori dei "media" ai politici, fino a coloro che vogliono servire la causa dell’annuncio del Vangelo agli uomini.
La prima delle ragioni del "successo" mediatico di Papa Francesco mi sembra risieda nella sua autenticità: niente nei suoi gesti o nelle sue parole appare affettato o frutto di calcolo. Si sente in lui una grande freschezza, un lasciar trasparire all’esterno ciò che egli da sempre è: un uomo di Dio, un cristiano e un prete innamorato del Signore, un gesuita attento a discernere gli abissi del cuore umano, un maestro spirituale esercitatosi a lungo nella preghiera e nella carità.
I poveri stanno veramente al centro del suo cuore e di conseguenza della sua attenzione: basta vedere com’è attratto irresistibilmente da chiunque sia debole o segnato dalla sofferenza. Il trasporto verso gli ammalati o i bambini ne è un segno eloquente. Le scelte di sobrietà nello stile di vita ne sono un altro. In un mondo segnato da una profonda crisi etica, prima ancora che economico-finanziaria, mentre si riscopre l’urgenza della sobrietà nelle scelte personali e della solidarietà in quelle relazionali, il messaggio che arriva dal Papa venuto dalla fine del mondo risulta più che mai attuale e necessario.
È come se la risposta data dal Conclave al bisogno di eleggere un nuovo Vescovo di Roma sia arrivata anche come un segno dei tempi, un messaggio lanciato a quanti vivono la crisi per puntare a superarla insieme nella semplicità di vita e nella condivisione fraterna.
Una seconda ragione del fascino che Papa Francesco esercita sui cuori è il suo linguaggio: egli parla con chiarezza e semplicità, trasmettendo contenuti profondi e centrali per la fede e la vita.
Un vero capolavoro in questo senso è stato il discorso dalla loggia delle benedizioni la sera dell’elezione. Mentre chiedeva alla gente di pregare con lui e per lui, con uno stupendo segno di umiltà, si presentava per quello che è anzitutto dal punto di vista teologico, e cioè come vescovo della Chiesa di Roma, chiamata - secondo una bellissima espressione di Ignazio di Antiochia agli inizi del secondo secolo - a «presiedere nella carità».
Qualche ecumenista ha detto che queste parole hanno fatto di più per il dialogo ecumenico intorno al primato del Papa che anni di riflessioni e discussioni. Ne è stato segno eloquente la presenza del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo alla messa di inaugurazione del pontificato. Così, a detta di molti confessori, le parole di Papa Francesco su Dio che non si stanca mai di perdonare, mentre siamo noi a volte che ci stanchiamo di chiedere perdono, hanno toccato innumerevoli cuori, inducendo tanti a ritornare al sacramento della riconciliazione, spesso trascurato da anni.
Infine, colpisce la grande umanità del Papa: egli sa farsi vicino, sa condividere il dolore e la gioia, il pianto e il sorriso. L’essere uomo di grande profondità spirituale e di cultura, non gli impedisce di mettersi alla scuola degli altri, da vero fratello in umanità. Ascoltare la vita reale, comprendere le prove e le attese della gente, farsene voce e farsi prossimo degli altri, sono qualità che si percepiscono in lui come proprie della sua natura e dell’intera sua esperienza di pastore.
In realtà, Papa Francesco ci insegna che solo chi sa ascoltare si fa anche ascoltare, perché riesce a dar voce al cuore di tutti. Autenticità, semplicità e umanità non sono certo virtù che s’improvvisano, sono anzi come la punta di iceberg di una vita educata alla carità e nutrita di fede e di passione per la causa di Dio, che è anche la vera causa dell’uomo. Esse costituiscono un modello e una sfida per tutti, specie per chi ha responsabilità verso altri: non esiterei a dire che il mondo sarebbe molto migliore, e in particolare la cosa pubblica andrebbe molto meglio, se chi ne porta il peso sapesse farlo con stili sobri di vita, con semplicità e profondità di linguaggio, con un senso di umanità vasto e partecipe. Proprio così, lo stile di questo Papa è un dono, ma anche una sfida che ci riguarda tutti.