L’ultima decisione papale non faciliterà i rapporti tra Roma e le chiese locali
di Klaus Nientiedt
“www.konradsblatt-online.de” del 25 aprile 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)
“Andremo tutti tutti tutti in paradiso, perché siamo tanto tanto bravi...” Questa ritornello carnevalesco lo si poteva sentir cantare già negli anni ’70 dai critici del Concilio Vaticano II e della riforma liturgica postconciliare. L’annuncio di salvezza del racconto dell’ultima cena “Questo è il mio sangue, il sangue dell’Alleanza, sparso per tutti”, lo vedevano sprecato in una redenzione generale, di tutti senza eccezione. Già allora volevano ritornare all’espressione “per molti”: “sparso per molti”, tutto il resto è, secondo loro, “grazia a buon mercato”, incompatibile con il testo biblico originale.
Papa Benedetto ha ora accondisceso anche a questo desiderio e ha dichiarato che l’unica traduzione esatta è “per molti”. Precedentemente aveva già tolto la scomunica ai quattro vescovi tradizionalisti rimasti e aveva ridato normalità al rito tridentino preconciliare nella forma straordinaria del rito romano. Ma c’è una differenza: questa volta la decisione papale non riguarda solo i tradizionalisti, ma tutti i fedeli. Al posto dell’espressione interpretativa - come la chiama il papa - “per tutti”, secondo il desiderio del papa ora può essere usata la “semplice trascrizione” “per molti”. . Il papa stesso si muove nella sua argomentazione con una certa tensione: la “restituzione” di “pro multis” con “per tutti”, la definisce un’interpretazione che “era e rimane ben fondata”. Gli interessa però anche, innanzitutto, una traduzione “contenutisticamente” fondata e non necessariamente una “traduzione letterale”. E tuttavia: secondo un decreto del Vaticano del 2001 deve essere non tanto interpretazione quanto piuttosto traduzione: solo traduzione. E quindi “per molti”, e non “per tutti”.
Che il papa annunzi proprio adesso questo cambiamento, è in relazione ad una certa fretta. I vescovi stanno preparando un nuovo innario ed un nuovo messale. L’alternativa sarebbe stata mantenere la traduzione che c’era finora. Molti vescovi tedeschi avrebbero volentieri evitato il cambiamento. Uno dei motivi: indipendentemente dalla problematica della traduzione, che ai loro occhi non appare teologicamente cogente, questo modo di procedere provoca agitazione tra il clero. I vescovi vorrebbero evitare di far sorgere l’impressione che l’universalità della salvezza iniziata in Cristo debba essere relativizzata secondo un’interpretazione ecclesiale. Il presidente della conferenza episcopale tedesca, arcivescovo di Friburgo Robert Zollitsch, considererà il fatto di non aver potuto impedire questo come una personale sconfitta. Eppure nella sua penultima visita a Roma aveva anche un mandato in questo senso da parte delle conferenze episcopali svizzera ed austriaca.
Quest’ultimo passo della politica liturgica vaticana si inserisce nel modo di procedere “da chiesa universale” della Santa Sede. Solo pochi mesi fa è entrato in uso nei paesi di lingua inglese un nuovo rito della messa, che prescrive rispetto ad alcuni cambiamenti postconciliari il ritorno alle traduzioni precedenti - cosa che ha suscitato notevoli proteste tra il clero, il popolo dei fedeli e i teologi.
Non illudiamoci: questa decisione non renderà più facili i rapporti tra il papa e la curia da una parte, e le chiese locali dall’altra. In questo modo, né i ricordi di una solare visita papale in Germania, né quelli degli scampanii bavaresi al compleanno del papa o all’anniversario della sua elezione incideranno favorevolmente. In questo contesto, molti sono molto preoccupati di come potranno evolvere i rapporti tra la Fraternità Sacerdotale San Pio X di Lefebvre e la Congregazione per la Dottrina della Fede. Alcuni già temono il canto trionfante di coloro che già da tempo si permettevano toni di scherno, cantando “Andremo tutti tutti tutti in paradiso, perché siamo tanto bravi...”