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Approfondimento

Calabria. Abbazia florense abbandonata: l’inchiesta continua, fra passato e presente

Sotto processo, a Cosenza, i direttori dei lavori e il Rup
martedì 17 luglio 2012 di Emiliano Morrone
San Giovanni in Fiore (Cosenza) - Su “il Cittadino” del settembre ‘95 c’è una pagina dedicata a don Franco Spadafora, all’epoca nuovo parroco di Santa Maria delle Grazie-Abbazia florense. Dino Trabalzini, allora vescovo di Cosenza, lo nominò al posto di don Vincenzo Mascaro, che nel 1989 restituì l’Abbazia florense al culto, grazie alla collaborazione della politica.
Nel settembre di quell’anno, poco prima della caduta del Muro di Berlino, il cardinale Ugo Poletti, che (...)

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> Calabria. Abbazia florense abbandonata ---- A quei giardini del pensiero è subentrato il rapidissimo disseccarsi di innesti senza fioritura (di Mario Pirani - Manca il tempo futuro e abbiamo paura)

lunedì 14 maggio 2012


Manca il tempo futuro e abbiamo paura

di Mario Pirani (la Repubblica, 14 maggio 2012)

Con una sua frequenza atemporale, di tanto in tanto, la rivista Arel fa la sua ricomparsa. Ci soffermiamo allora a sfogliarla con l’amore intellettuale e la nostalgia che seguitiamo a nutrire per il suo compianto fondatore, Beniamino Andreatta, e con gratitudine per quanti, a cominciare da Enrico Letta, hanno mantenuto vivo quel piccolo ma fervido focolare di idee non precostituite. Ma quel che soprattutto smuove l’animo dei pochi reduci di una generazione politica ormai sperduta penso sia il poter recuperare uno di quei luoghi fattisi rari dove ancora trova spazio il libero formarsi di un pensiero eterodosso e lo svolgersi di una dialettica di creatività democratica priva di barriere. Un tempo vi erano testate di riferimento, da Nord Sud a Tempo presente, da Civiltà delle Macchine al Politecnico, e molte altre. A quei giardini del pensiero è subentrato il rapidissimo disseccarsi nell’immediatezza effimera mass-mediatica di innesti senza fioritura

Ecco perché questa settimana nella rubrica mi soffermo su un discorso non usuale nella tematica politica ma che un ministro ha voluto far proprio, riportandoci a quell’atmosfera di ricchezza di pensiero che nel passato nutriva in un colloquio incrociato politici e artisti, filosofi e giornalisti, grandi maestri e intellettuali appena sbarcati da Matera o da Palermo, che si sentivano impegnati d’ufficio in una ricerca la cui finalità immediata era spesso sfuggente.

Il "tempo" è il tema che Arel in questo denso numero propone ad Andrea Riccardi, ministro della Cooperazione internazionale e dell’integrazione, (che, però, rifiuta l’aggettivo tecnico: «Non so in che senso sono tecnico, qualche volta dico che sono pirotecnico, nel senso che sono un uomo che ha una esperienza di umanità...»). «La sensazione è che siamo in un tempo in cui conta solo il presente. Ci troviamo, infatti, in un momento in cui sembra mancare il tempo futuro. Abbiamo paura del futuro, perché temiamo sia un tempo di crisi maggiore.... Soprattutto temiamo il futuro perché mancano le visioni. Karol Wojtyla in un verso dei grigi anni polacchi, diceva: "L’uomo soffre soprattutto per mancanza di visione. Mi sembra sia proprio questa la sofferenza italiana ed europea, la mancanza di visione. Manca la visione perché si è bloccati dalla paura. Cosa sarà il domani?" Vorrei aggiungere che c’è una crisi del tempo passato. Che è una crisi della memoria. Non sappiamo da dove veniamo. Ci troviamo alle spalle questo tempo della Seconda Repubblica che mi appare un tempo circolare, non un tempo lineare. Io credo che l’Occidente abbia perso l’idea di poter fare la storia e, quindi, di poter determinare il futuro del mondo. Credo che dovremmo ritrovare il senso del tempo presente come premessa del futuro. Eppure nelle nostre società c’è una carenza di speranza. Siamo dominati dalla paura».

Riccardi recita qui parole che sono anche le nostre e pone domande simili, ma le risposte restano ardue. «Se penso, ci dice, all’Italia della mia giovinezza, all’Italia del boom, rivedo un paese che andava verso il futuro. Quale? C’era una visione utopica comunista e c’era una speranza cattolica, ma c’era soprattutto l’idea che bisognava costruire la società di domani. Oggi mi chiedo se esiste più un tempo della nazione? Con la globalizzazione che ha coinciso con la Seconda Repubblica mai nata? Con la globalizzazione i tempi nazionali si sono avviliti, ridotti ed è ricominciato un tempo globale. Ma esiste questo tempo globale? Come si fa a disegnarlo? Come si fa a scrivere la storia del futuro globale?».

Sembra che questo intelligente ministro non si chieda se sia possibile ancora scrivere la storia dopo il dissolversi di ogni filosofia della storia, di ogni ideologia. La sua risposta non ci basta. Non basta ripetere: «Allora occorrono visioni. Occorre la capacità di coniugare il tempo nazionale con il tempo globale; diversamente si sprofonda in un caos ciclico».


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