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CHI INSEGNA A CHI CHE COSA COME?! QUESTIONE PEDAGOGICA E FILOSOFICA, TEOLOGICA E POLITICA

INSEGNAMENTO E COSTITUZIONE: "CHI INSEGNA AI MAESTRI E ALLE MAESTRE A INSEGNARE?"! Una nota - di Federico La Sala

Una ’risposta’ e un omaggio a una ragazza napoletana frequentante la classe prima della scuola media, incontrata a Certaldo, in occasione del “Premio Nazionale di Filosofia” (VI Edizione, 20.05.2012), che ha posto la domanda
venerdì 14 settembre 2012
SONNAMBULISMO STATO DI MINORITA’ E FILOSOFIA COME RIMOZIONE DELLA FACOLTA’ DI GIUDIZIO. Una ’lezione’ di un Enrico Berti, che non ha ancora il coraggio di dire ai nostri giovani che sono cittadini sovrani. Una sua riflessione
KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI").
FOTO ACCANTO AL TITOLO: GIOVANNI BOCCACCIO.
CERTALDO: PREMIO NAZIONALE DI FILOSOFIA (VI EDIZIONE - LE FIGURE DEL (...)

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> INSEGNAMENTO E COSTITUZIONE. --- DONO E VELENO. I 500 EURO E IL PARADIGMA AZIENDALISTA DELLA "BUONA SCUOLA".

venerdì 13 novembre 2015

      • Roma soggiogò la Grecia, la Grecia soggiogò Troia, ma Troia soggiogò la Grecia, soggiogò Roma, e tutta la Terra. (federico la sala)


DONO E VELENO

Contributo alla riflessione sulla «Buona scuola»

di Nicola Fanizza

L’accredito di cinquecento euro nei conti correnti degli insegnanti, come dono del nostro governo, mi ha riportato alla mente un episodio della mia prima giovinezza e, insieme, la mia amicizia con Nicola Capozzi, un vecchio anarchico del mio Paese. Ogni qual volta mi incontrava, Nicola tirava fuori dalla giacca i suoi foglietti di carta su cui riportava le frasi più incisive degli scrittori anarchici e me li leggeva. Ricordo che una volta tirò fuori uno dei suoi pizzini, su cui c’era scritto: «I doni dello Stato sono come frutti acerbi che nascondono il germe velenoso della schiavitù!».

Questa immagine ambivalente del dono è da sempre presente nel nostro immaginario. Chi non ricorda le parole con cui Lacoonte cercò di convincere i Troiani a non trasferire il mitico Cavallo di Troia nelle mura della loro città: «Timeo Danaos et dona ferentes», ossia «Temo i Greci proprio perché portano i doni».

Il termine gift sta a indicare nella lingua tedesca il dono e, insieme, il veleno. Si tratta di un’ambivalenza che si è cristallizzata anche nel corredo simbolico dei movimenti politici trasgressivi ed è iscritta persino nella nostra lingua a livello del significante: l’anagramma del termine dono è, infatti, il nodo!

Il doni dello Stato mirano a revocare in causa la nostra sovranità, la nostra autonomia, la nostra libertà, la nostra dignità. Ne era ben consapevole il commediografo napoletano Roberto Bracco, uno dei pochi intellettuali italiani che rifiutarono di compromettersi col regime fascista, chiedendo aiuti o accettando offerte di danaro e collaborazione. Era un intellettuale intransigente. Rifiutò di entrare a far parte dell’ Accademia d’Italia. Nel 1926, la sua casa napoletana fu quasi interamente distrutta dai fascisti e, qualche tempo dopo, nel 1929, a Roma, la rappresentazione della sua commedia I Pazzi fu improvvisamente interrotta da una squadra fascista.

Da quel momento Bracco non poté più lavorare, vide peggiorare le sue condizioni economiche, ma non si piegò mai alle sirene del potere.

Verso la fine del 1936, quando il commediografo versava in cattive condizioni di salute e di forte indigenza, l’attrice Emma Gramatica prese l’iniziativa, senza consultare Bracco, di scrivere al Ministro della Cultura Popolare affinché elargisse un contributo in danaro a favore del drammaturgo napoletano. Il ministro Dino Alfieri, con il parere favorevole di Mussolini, inviò a Bracco un assegno di lire diecimila, ma, nel gennaio del 1937, l’attrice dovette riconsegnare al Ministro della Cultura Popolare l’assegno, insieme a una lettera di Bracco, che terminava con le seguenti parole: «La mia coscienza mi avverte che quel danaro non mi spetta».

Allo stesso modo, la nostra coscienza ci dice oggi che quei cinquecento euro «non ci spettano». Sono soldi che arrivano dopo che il Parlamento italiano ha approvato la legge sulla «Buona scuola». Una legge infame che è stata imposta dalla protervia di un governo liberista che è favorevole alla competizione fra i docenti e che, nel contempo, è insensibile alla dolcezza della scuola pubblica.

I docenti si sono opposti con tutte le loro forze alla «Buona scuola», poiché sanno che la legge in oggetto modificherà in negativo lo spazio sociale in cui staziona gran parte della loro vita. Il riconoscimento del merito nell’ambito della carriera dei docenti, proprio perché introdurrà nuove gerarchie, sarà esiziale per le forme di sociabiltà che signoreggiano nella scuola, verranno meno le relazioni degne, vi sarà una dilatazione della distanza fra gli insegnanti, un progressivo incanaglimento delle loro relazioni, situazioni di frustrazione e di umiliazione, prenderanno piede l’invidia e il rancore. La scuola diventerà un inferno!

D’altra parte, la legge della «Buona scuola» dà ai presidi la possibilità, senza tener presente alcuna graduatoria, di assumere con chiamata diretta gli insegnanti. Da qui si originerà il loro strapotere che consentirà alla politica, insieme alla mafia, di entrare nella scuola.

Dopo aver imposto, contro la stragrande maggioranza dei docenti, la legge della «Buona scuola», il governo, laddove dovrebbe attivarsi per dare agli insegnanti un contratto degno di questo nome, ha umiliato gli insegnanti con l’elemosina dei cinquecento euro, li ha trattati come dei pezzenti.

Si tratta di un governo che non dialoga, di un governo che non sa ascoltare, di un governo con cui ci si può solo scontrare. Certo, è difficile chiedere a tutti i docenti di seguire l’esempio di Roberto Bracco, rinunciando a utilizzare i cinquecento euro o di rinviarli all’ente pubblico che li ha accreditati sui loro conti correnti. Ognuno segua la sua coscienza, tenendo nel debito conto le sue condizioni materiali. Nondimeno ciò che, invece, è assolutamente necessario è che gli insegnanti, a tempo debito, dichiarino di non essere disponibili né a valutare gli altri docenti né ad essere valutati. Non possiamo essere loro complici!


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