MITO, FILOLOGIA, TESSITURA. UN PREZIOSO SPIRAGLIO SUI TEMPI CHE “BERTA FILAVA” ....
DIALETTI SALENTINI: “ÈRTULA”. PREMESSO E CHIARITO CHE il filologo tedesco [il Rholfs] ha utilizzato il suo [di Nicola Vacca] contributo «in II, p. 208″: vertularu (L ces) m. venditore di roba fatta al telaio [cfr. il calabrese vèrtula bisaccia, dal latino averta idem] v. vèrtula [...] Apprendiamo così che all’epoca in cui il Rholfs raccoglieva sul campo, e di persona, i fiori del nostro dialetto, le tre voci erano in uso solo nel Leccese e più precisamente: vertularu a Santa Cesarea Terme (L ces), vèrtule ad Aradeo e Ruffano (L ar, ru), èrtula a Lecce e Squinzano (L l, sq) con citazione dell’articolo del Vacca (L 19)», SI PUO’ DIRE CHE i motivi addotti sono buoni e si può ritenere, sicuramente, «che la latina averta, da voce comune, abbia assunto una sorta di nobilitazione giuridica e come tale si sia diffusa nel mondo bizantino con la trascrizione “Ἀβέρτα/βέρτα”».
AVERTA/BERTA. SE LE COSE STANNO così, la preziosa indagine del prof. Polito sollecita non solo a riflettere di più e meglio sul significato del modo di dire “ai tempi che Berta filava”, ma anche a pensare alle molte allusioni di Rino Gaetano quando cantava “E Berta filava”, e, al contempo, a ripensare a quali e quanti prodotti - oltre le “vertule” - i “vertulari” vanno a comprare alla bottega di Atena (Minerva), ma non di Aracne (Ovidio, “Metamorfosi” - VI) - non ieri, ma oggi! *
Federico La Sala
* SUL TEMA, CFR. LA LUNA (“LA SCIANA”), IL DESIDERIO (“LU SPILU”), E IL FILO DI ARACNE. Quanti millenari pregiudizi.