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CRISTIANESIMO E COSTITUZIONE (DELLA CHIESA E DELL’ITALIA). PERDERE LA COSCIENZA DELLA LINGUA ("LOGOS") COSTITUZIONALE ED EVANGELICA GENERA MOSTRI ATEI E DEVOTI ...

I "DUE CRISTIANESIMI" E LA PROPRIA FACOLTA’ DI GIUDIZIO. "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?". Una nota di Antonio Thellung, da"mosaico di pace" - a c. di Federico La Sala

USCIRE DALLO "STATO" DI MINORITA’. L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. (...)
sabato 16 febbraio 2013
[...] Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di (...)

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> I DUE CRISTIANESIMI E LA PROPRIA FACOLTA’ DI GIUDIZIO. ---- L’INSEGNAMENTO EVANGELICO E LA "SOVRANA CERTEZZA" DEI VESCOVI.

giovedì 14 febbraio 2013

      • "Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio, e di quale Dio parlano quando parlano di Dio? La domanda è cruciale. Infatti non è per niente chiaro, non è sempre lo stesso, e sovente non è un Dio innocuo" (Raniero La Valle, "Se questo è un Dio", pag. 9)

MATERIALI PER RIFLETTERE:

L’insegnamento di Pietro

Sovrana certezza

di Marina Corradi (Avvenire, 14 febbraio 2013)

​«Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, che non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura». La prima parola di Benedetto XVI ieri mattina in Udienza, proprio la prima cosa detta alla folla, grande, che lo aspettava, è stata questa: il ricordare che la Chiesa è di Cristo, e che dunque anche nelle circostanze più avverse Cristo non la abbandona.

E noi, semplici fedeli storditi, lunedì, dalla notizia, noi interiormente turbati da un inimmaginabile congedo, abbiamo riconosciuto in quella prima parola la volontà paterna di dire, a quelli come noi, di non aver paura.

In questi due giorni abbiamo sentito di tutto, sul gesto di Benedetto XVI, lodi e plausi, e contestazioni, ed evocazioni di oscuri retroscena. Abbiamo letto di desacralizzazione del Papato, di fondamenta che vacillano, e sentito dottamente discorrere della Chiesa come di una grande multinazionale, o una Ong - certo, dal "brand" spiritualmente elevato. E ci occorreva davvero che proprio Benedetto XVI, il maestro che abbiamo amato e continueremo a amare, ci ricordasse, ci confermasse in questa semplice antica certezza: la Chiesa è di Cristo, che non l’abbandona.

La Chiesa è di Cristo, è il suo corpo, e non è mai riducibile solo agli uomini, strutture, gerarchie che la compongono, con i loro peccati, i loro umani sforzi, le loro disunioni e persino il loro cercare un "pubblico". Colpe ed errori che pure, è tornato a ricordarci nell’omelia delle Ceneri il Papa, ne possono «deturpare» il volto. Questo aspetto non visibile, non sperimentabile con le nostre consuete misure, è tanto fondante quanto non compreso nemmeno dai più fini intellettuali, che parlano di Chiesa come di un fatto solo storico, sociologico, umano. E spesso anche fra noi, credenti, questa memoria ontologica facilmente sbiadisce; allora in giorni come questi ci smarriamo: e adesso?

È a questo sommesso tremare dei semplici che il Papa ieri ha teso la mano con una frase per nulla debole, e anzi colma di certezza sovrana: la Chiesa è di Cristo, che non l’abbandona. Poi, nell’Udienza il Papa ha affrontato il Vangelo delle tentazioni di Gesù nel deserto, riassumendole in poche parole: "la" tentazione eterna, ha detto, è quella di usare Dio per noi stessi. Ecco, in quelle sole righe dell’evangelista Luca si sente già il respiro di un altro, radicale, desiderio, di uno sguardo altro dalla logica degli uomini, inesorabilmente sedotti del potere.

Di modo che chi si imbarca sul grande millenario naviglio di Pietro, se tiene viva la fede, si trova, ha detto il Papa, a fare scelte scomode o perfino, secondo il mondo, stolte; ad amare i deboli, e la vita dell’uomo fin dal suo più debole invisibile inizio. Ad amare per sempre, e a generare figli, quando il mondo attorno ripete che la vita è cosa da prendere e usare, come e finché si vuole.

Quell’altro sguardo, quell’altro respiro s’è visto bene ancora ieri sera, in San Pietro gremita di uomini e donne stretti attorno a Benedetto nel giorno delle Ceneri - in quel gesto così umile e conscio del nostro essere, solamente, creature. «Risuoni forte in noi l’invito alla conversione, a ritornare a Dio con tutto il cuore, accogliendo la sua grazia che ci fa uomini nuovi», è stato il filo teso nelle parole del Papa.

Di nuovo, parole affatto stanche, anzi straordinariamente audaci in tempi di pensiero debole, di rassegnati orizzonti. Tornare a Dio, è l’imperativo di quest’uomo il cui cuore sembra tutto fuorché piegato, o vecchio. Quaerere Deum, è la parola che ci lascia un grande Papa in un Anno della Fede indetto perché ciò che è vero torni a essere concreto, e vivo fra noi. Perché la Chiesa è di Cristo, e tutto il suo essere tenda a Cristo - Colui che ricapitolerà in sé tutte le cose, quelle della terra e quelle del cielo.

E il grande applauso a Benedetto XVI ieri sera in San Pietro testimonia la fede e la forza del popolo cristiano. Peccatori, certo; gente però che sa da dove viene, e verso Chi va.

Marina Corradi


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