Inviare un messaggio

In risposta a:
CRISTIANESIMO E COSTITUZIONE (DELLA CHIESA E DELL’ITALIA). PERDERE LA COSCIENZA DELLA LINGUA ("LOGOS") COSTITUZIONALE ED EVANGELICA GENERA MOSTRI ATEI E DEVOTI ...

I "DUE CRISTIANESIMI" E LA PROPRIA FACOLTA’ DI GIUDIZIO. "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?". Una nota di Antonio Thellung, da"mosaico di pace" - a c. di Federico La Sala

USCIRE DALLO "STATO" DI MINORITA’. L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. (...)
sabato 16 febbraio 2013
[...] Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di (...)

In risposta a:

> I "DUE CRISTIANESIMI" E LA PROPRIA FACOLTA’ DI GIUDIZIO. -- STORIA. LO SCONTRO DI DUE ILLUMINISMI. "Il grande incendio. Come la Rivoluzione americana conquistò il mondo, 1775-1848" (Jonathan J. Israel

lunedì 3 dicembre 2018

Nella Rivoluzione americana, lo scontro di due Illuminismi

Storia. Nel suo saggio «Il grande incendio» (Einaudi), Jonathan Israel incoraggia una revisione in chiave non più ideologica e novecentesca della storia politica statunitense: una discussione

di Tiziano Bonazzi (il manifesto, 02.12.2018)

Nel 1959 lo storico americano Rober R. Palmer pubblicò un libro divenuto un classico, L’era delle rivoluzioni democratiche, 1760-1800, con il quale voleva dimostrare l’esistenza di una serie di movimenti democratici comuni a Europa e Stati Uniti dei quali le rivoluzioni americana e francese sarebbero stati i capisaldi. Palmer intendeva, così, sottrarre la Rivoluzione americana all’isolamento in cui sia europei che americani l’avevano relegata. Nell’individuare una comune matrice democratica atlantica, il volume aveva risvolti legati alla Guerra fredda; ma l’interpretazione ortodossa della Rivoluzione americana durante la Guerra fredda venne fissata da Hannah Arendt nel suo saggio Sulla rivoluzione, del 1963, in cui Rivoluzione americana e francese venivano rigidamente contrapposte. La prima, definita come esclusivamente politica perché si era compiuta in una società già largamente egualitaria, costituiva il modello di libertà a cui tutto l’Occidente non poteva non rifarsi; la seconda era il prototipo dell’incapacità democratica degli europei, il preludio necessario al totalitarismo novecentesco.

La tesi di Hannah Arendt si fondava sulla storiografia americana degli anni Cinquanta, la cosiddetta «scuola del consenso», che vedeva la società americana da sempre costituita dalla classe media, dove i conflitti sociali europei non avevano mai avuto spazio. Nel suo saggio appena uscito da Einaudi, Il grande incendio Come la Rivoluzione americana conquistò il mondo, 1775-1848 (traduzione di Dario Ferrari e Sarah Malfatti, pp. 880, euro 38,00) Jonathan Israel, storico delle idee inglese molto noto, che vive ora negli Stati Uniti, riprende la tesi di Palmer e controbatte quella di Arendt riconducendo la Rivoluzione americana al contesto europeo e dimostrando l’importanza che ebbe sia per i radicali europei che per quelli latinoamericani, fino al 1848. Del tutto necessaria, l’opera di Israel incoraggia una revisione in chiave non più ideologica e novecentesca della storia politica statunitense.

L’esempio dei radicali

Le sue tesi sull’Illuminismo e sulla Rivoluzione francese sono state molto discusse, e in particolare lo è la sua teorizzazione del dualismo fra l’Illuminismo moderato e quello da lui difeso, l’Illuminismo radicale, che proclamava l’universalità dei diritti e la necessità di garantirli ai gruppi esclusi, neri, donne, ebrei, istituendo una netta separazione fra stato e chiesa e battendosi per un effettivo pluralismo.

Priestley, Price, Paine, Condorcet, Volney, Raynal, Jefferson, Franklin, Filangieri sono alcuni degli autori che Israel elenca fra i radicali, per contrapporli ai moderati che si rifacevano al governo misto inglese, a Locke, a Montesquieu e a una visione ristretta della rappresentanza. In America John Adams e Hamilton ne furono i principali rappresentanti. Per Israel, entrambi gli Illuminismi nutrirono la Rivoluzione americana e vi si scontrarono non solo idealmente, ma politicamente. Ci fu, quindi, una rivoluzione radicale che ebbe nella Dichiarazione di indipendenza il suo manifesto e che si realizzò, ad esempio, in alcune costituzioni statali, dalla Pennsylvania al Vermont.

La versione moderata, invece - che si impose negli stati dove le élite erano più forti, come nella Carolina del Sud dominata dai piantatori di tabacco, per poi trovar spazio nella Costituzione del 1787 - pur partendo dagli stessi principi li interpretò in senso restrittivo, per esempio nella difesa pragmatica o di principio della schiavitù. Tuttavia, la Rivoluzione americana, in quanto tale, ispirò ovunque gli oppositori dell’ancien régime anche se per Israel - che su questo punto non è del tutto chiaro - fu quella radicale a servire da esempio. Così avvenne per i Girondini e Condorcet in Francia, per i rivoluzionari dell’America Latina che esplicitamente vi trovarono il modello a cui rifarsi, nonché per gli oppositori della Restaurazione in Germania, in Francia e altrove in Europa, compresa l’Italia.

Il grande affresco tracciato da Israel consente, quindi, di riportare la storia politica della Rivoluzione e della prima fase di vita degli Stati Uniti a un comune contesto euroamericano, che si consumò nel 1848 quando la reazione antimmigrati e il nazionalismo espansionista presero il sopravvento oltreatlantico, trovando nella guerra di conquista contro il Messico del 1848-49 il momento culminante. In Europa, invece, non solo fallirono le rivoluzioni liberali che in molti casi avevano la Rivoluzione americana e l’Illuminismo radicale come esempi, ma nazionalismo e socialismo sostituirono il richiamo a entrambi.

Per quanto essenziale a una rinnovata analisi dei decenni fra Sette e Ottocento, la massiccia monografia di Israel non può costituire l’unico punto di riferimento. Come anche altri storici del pensiero politico, infatti, Israel ritiene che il pensiero politico sia un sistema di idee dotato di un’autonoma dinamica intellettuale, in gran parte slegata dai movimenti e dagli eventi sociali, che a suo avviso non riescono ad andare oltre il ribellismo e rimandano alle élite intellettuali il compito di dare loro forma e obiettivi. È vero che per Israel lo scontro di idee e la lotta politica e sociale si svolgono contemporaneamente; ma fra essi esiste una gerarchia indiscutibile.

Leggere anche Alan Taylor

Delicato e ampiamente discusso, questo problema non trova tuttavia una soluzione nella prospettiva proposta dallo storico inglese, dalla quale si deduce che tolleranza e secolarizzazione, eventi sociopolitici centrali durante la rivoluzione in New England, Pennsylvania e Virginia, sarebbero il prodotto della filosofia illuminista senza alcun concreto riferimento al contesto in cui si manifestarono. Anche la separazione tra Illuminismo radicale e moderato sembra proporre una battaglia di ideali difficile da capire se riferita a una società americana, in realtà culturalmente assai più complessa. Così come non si comprendono bene le conseguenze concrete di quel dualismo, dal momento che Israel non è interessato alla lotta politica né alle istituzioni, non dedica attenzione al processo costituzionale e non cerca di comprendere i problemi concreti che gli alfieri dei suoi due Illuminismi hanno affrontato, quando crearono dal nulla uno stato capace di difendere la propria sovranità in un mondo atlantico in cui infuriavano i conflitti fra gli imperi.

E, per ultimo, nel criticare la solo parziale separazione di stato e chiesa negli Stati Uniti, Isarel trascura di considerare come i principali Padri Fondatori, deisti, abbiano dovuto agire in un contesto in cui le forze popolari erano politicamente decisive e profondamente protestanti. Se, dunque, il saggio di Israel funziona come un ottimo punto di partenza per smettere di vedere negli Stati Uniti un elemento estraneo alla storia dell’Europa fino a quando, nel Novecento, gli europei vi arrivarono da dominatori, occorrebbe quanto meno bilanciarlo con lo studio di Alan Taylor, Rivoluzioni americane. Una storia continentale (anch’esso pubblicato da Einaudi), tutto centrato sullo scontro sociale che animò l’intera Rivoluzione americana.


La tragedia dell’Illuminismo

La Rivoluzione francese fu la fine dell’età dei Lumi, non la sua consacrazione
-  Robespierre ne eliminò gli uomini più lungimiranti e moderati, come Condorcet

di Vincenzo Ferrone (Il Sole-24 Ore, 07 febbraio 2016).

Che libro strano questo di Jonathan Israel sulla Rivoluzione francese. Con le sue quasi mille pagine esso appare tanto affascinante e provocatorio quanto discutibile - se non inaccettabile, a mio parere - nella sua tesi di fondo che «l’Illuminismo radicale fu incontrovertibilmente l’unica “grande” causa della Rivoluzione francese» (pag. 790). Non v’è dubbio che Israel figuri in prima fila tra quanti hanno alimentato l’impetuoso e inevitabile rinnovamento della storiografia internazionale dopo il 1989 e la liquidazione dell’utopia comunista. Un rinnovamento che ha avuto il suo cuore pulsante soprattutto nel mondo di lingua inglese, e di cui, curiosamente, le motivazioni ideologiche e le forme che esso sta assumendo sono passate sotto silenzio in Europa. Spetta infatti a questo autorevole professore dell’ Institute of Advanced Studies di Princeton il merito di aver riportato la questione dell’Illuminismo al centro del dibattito storiografico mondiale, facendone un tema che per interesse e ricchezza di risultati è secondo solo all’ormai affollatissimo settore di studi della Global History.

In tre monumentali volumi, Israel ha dato vita a una suggestiva e potente narrazione unitaria dell’Illuminismo come da tempo non si era più vista. Lo ha fatto con una sorta di ritorno al passato, coniugando polemicamente storia e filosofia contro la storia sociale, la storia economica di matrice marxista, la nascente storia culturale e quel poco che ancora restava in circolazione degli epigoni delle «Annales».

Israel reinterpreta i Lumi come la concreta realizzazione nel corso del Settecento di un sistema filosofico, di una coerente e specifica ideologia spinoziana fondata sul monismo razionale e materialistico e sull’ateismo di Spinoza, e nutrita della circolazione e della diffusione di un sistema di idee eversive, repubblicane e democratiche che aveva i suoi nemici naturali nelle monarchie e le religioni. In questa prospettiva Israel divide, con tassonomica inflessibilità, gli illuministi buoni da quelli cattivi, gli atei dai deisti, i radicali dai moderati. Al Radical Enlightenment (titolo del suo primo volume sul tema, pubblicato nel 2001) rappresentato soprattutto da Helvetius, Diderot, d’Holbach, Condorcet - atei, anticlericali, fautori del repubblicanesimo, dei diritti umani, della democrazia rappresentativa - egli oppone una sorta di Illuminismo moderato, incarnato da Locke, Hume, Montesquieu, Voltaire, Turgot, Rousseau, fautori della religione naturale e del provvidenzialismo deista e “colpevoli” di posizioni politicamente conservatrici come l’assolutismo monarchico o il costituzionalismo inglese, o pericolose come la democrazia diretta celebrata dal grande ginevrino, padre spirituale di Robespierre e del Terrore.

Inutile dire che questa rigida rappresentazione di un Illuminismo radicale che vive di un legame organico tra il materialismo ateo e il radicalismo politico è stata duramente e giustamente contestata dalla critica. Per rimanere in Italia, come si fa a considerare un illuminista radicale quel Gaetano Filangieri che univa il costituzionalismo repubblicano e l’amore per i diritti dell’uomo alla militanza massonica e al credo deista? E che dire di Vico, addirittura segnalato come repubblicano e materialista?

Indomabile, impermeabile a ogni critica, Israel ora non esita a entrare con il suo teorema riduzionista nel terreno incandescente della Rivoluzione, rilanciando la vexata quaestio del nesso tra quest’ultima e i Lumi, nesso antico e tutto teleologico da tempo abbandonato dagli specialisti. Lo fa accusando tutti i protagonisti di un’ormai secolare storiografia - da Mathiez a Lefebvre a Soboul, sino a Furet - di non avere capito che la soluzione dell’enigma delle origini del 1789 non stava nello studio dei prezzi, o delle sollevazioni contadine o delle dinamiche di piazza, ma soprattutto se non esclusivamente nella storia intellettuale, nella potente «rivoluzione della mente» (per usare una sua espressione) prodotta dagli illuministi radicali.

Inutile dire che l’Hegel della Fenomenologia dello spirito avrebbe sorriso vedendo finalmente confermata la sua tesi della Rivoluzione come frutto del pensiero; non lo hanno fatto, invece, gli studiosi americani, che hanno subito reagito alla provocazione con recensioni al curaro.

Israel ripercorre la Rivoluzione reinterpretandone i momenti cruciali, naturalmente a modo suo. Prende sul serio le tesi complottarde di Barruel e le accuse di Burke agli illuministi quali padri della Rivoluzione, salvo tacciarle di genericità per non aver distinto tra illuministi radicali e moderati. Ai primi, pochi, ma padroni dell’opinione pubblica attraverso i giornali, guidati da Mirabeau, Sieyès, Brissot, Condorcet, Israel attribuisce la leadership rivoluzionaria sino al 1793. Sono loro i veri fautori dei diritti dell’uomo (non i deisti alla Voltaire o alla Rousseau), i padri delle leggi per l’eversione dell’aristocrazia, la separazione tra Chiesa e Stato, l’eguaglianza di fronte alla legge, l’abrogazione della monarchia, l’abolizione della schiavitù, l’introduzione del divorzio.

Nei convulsi dibattiti sulla prima costituzione democratica del mondo, nel 1793, i radicali si scontrarono con gli illuministi moderati ispirati al modello britannico, e seguaci di Montesquieu, Voltaire, Hume; al tempo stesso ebbero contro da un lato i robespierristi, dall’altro i fautori del Contro-illuminismo ispirati ai valori dell’Antico Regime. Essi si batterono a favore dei diritti dell’uomo, poi brutalmente sospesi nel 1793-94 e progressivamente abbandonati tra il 1799 e il 1804, anno del ripristino della schiavitù da parte di Napoleone.

La narrazione, va detto, è avvincente. E tuttavia, a un’analisi attenta, essa risulta tanto suggestiva quando artificiosa. Israel sopravvaluta l’omogeneità, l’identità e quindi i successi del fronte radicale. Condorcet, il grande eroe del libro, presunto capo degli illuministi radicali, non era certo un ateo militante ma bensì un massone deista, lockiano e ammiratore di Voltaire e di Rousseau. Così come deista era Thomas Paine, l’autore dei Rights of Man che fondava i diritti nella religione naturale. Del resto persino un indiscutibile materialista come d’Holbach preferiva parlare di doveri anziché di diritti dell’uomo, rendendo evidente come radicalismo filosofico e progressismo politico non andassero necessariamente accoppiati. La stessa Chiesa temeva e denunciava, più che gli atei materialisti, i deisti riformatori alla Voltaire; per Pio VI la Costituzione civile del clero era eretica e scismatica, non figlia dell’ateismo. Si potrebbe continuare, ma sarebbe ingeneroso.

Ad Israel spetta infatti il grande merito di aver raccontato per la prima volta quella che potremmo definire la tragedia dell’Illuminismo, la sua fine nel sangue al di là delle ipotizzate distinzioni al suo interno. Quel mondo, in tutte le sue componenti, fu infatti la prima vittima del Terrore, dell’odio di Marat e Robespierre e del cosiddetto «populismo autoritario» dei montagnardi per gli intellettuali, gli accademici e le élite. Giustiziati i massimi rappresentati dell’Illuminismo, fatti morire in carcere personaggi come Condorcet, la ghigliottina non risparmiò neppure le prime coraggiose femministe, teoriche dei diritti della donna, Olympe de Gouges e Madame Roland.

Il racconto di questa tragedia appare in queste pagine indignate una risposta forte anche a chi ha sempre voluto trasformare le vittime in carnefici invocando le presunte origini illuministiche del Terrore e condannando in blocco una Rivoluzione nata nel segno dei diritti dell’uomo e terminata con la dittatura di Napoleone, le Restaurazioni dell’Antico regime e la nascita dei primi egoismi nazionali.

Ma soprattutto queste pagine aprono di fatto una nuova stagione di studi sull’eredità dell’Illuminismo nella storia dell’Occidente: toccherà indagare, in futuro, sui cosiddetti Risorgimenti nazionali del XIX secolo, cui è estraneo il concetto di diritti dell’uomo, per comprendere davvero da dove veniamo. Di questo, al di là dei dissensi, dobbiamo essere grati alla fatica di Jonathan Israel .

* Jonathan Israel, La Rivoluzione francese. Una storia intellettuale dai Diritti dell’uomo a Robespierre, traduzione di Palma Di Nunno e Marco Nani, Einaudi, Torino, pagg. 960, € 42


Sul tema, nel sito, si cfr.:

L’ILLUMINISMO, OGGI. LIBERARE IL CIELO. Cristianesimo, democrazia e necessità di "una seconda rivoluzione copernicana".

Federico La Sala


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: