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PER GIOACCHINO DA FIORE, SAN GIOVANNI IN FIORE

PER L’ABBAZIA FLORENSE, INTERROGAZIONE PARLAMENTARE. Una nota di Carmine Gazzanni

Il deputato Francesco Barbato (Idv) interroga il ministro Severino dopo l’inchiesta di Infiltrato.it
venerdì 21 settembre 2012 di Federico La Sala
L’inchiesta di Infiltrato.it sull’Abbazia Florense continua a tenere banco. La vicenda, infatti, proprio in virtù di quanto accertato e documentato dalla nostra testata, supera i confini calabresi e sbarca a Montecitorio. Della questione, infatti, si è interessato l’onorevole Idv Francesco Barbato che nei prossimi giorni presenterà un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro Paola Severino per chiedere lumi sulla questione e sulle possibili responsabilità di Curia e Comune.
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> PER L’ ABBAZIA FLORENSE, INTERROGAZIONE PARLAMENTARE. ----- ’ndrangheta e perdono, omelie dei vescovi Morosini e Nunnari. Intanto ha ragione Mario Congiusta... (di Emiliano Morrone)

sabato 8 settembre 2012

’ndrangheta e perdono, omelie dei vescovi Morosini e Nunnari, il mio contributo al dibattito sul Quotidiano della Calabria

di Emiliano Morrone

Come qui dimostrerò, la Chiesa non può perdonare alcun mafioso, ‘ndranghetista, camorrista o simile.

Sul peccato, in rete si trovano facilmente riflessioni di santi. Ne riporto qualcuna, quasi in copia, consapevole che si tratta di elaborazioni comunque lontane dalla realtà calabrese, con la quale ciascuno si misura ogni giorno; spesso nella paura e nella rassegnazione, vinto dalla sfiducia, dall’impotenza, da un infinito senso d’ingiustizia.

San Bernardo ricorda che Lucifero fu castigato da Dio perché si ribellò con la speranza di non essere punito. San Giovanni Grisostomo rammenta che Giuda si perdette, peccando con la fiducia di essere perdonato da Dio. Chi offende il Signore con la speranza del perdono «è un derisore, non un penitente», sostiene S. Agostino. E San Paolo precisa che Dio non si fa prendere in giro, «Deus non irridetur». Inoltre, è legge il motto per cui maledictus homo qui peccat in spe, «è maledetto l’uomo che pecca nella speranza del perdono».

Seppure con spirito evangelico, la Chiesa non può ontologicamente aprire una porta ai criminali e ai loro amici. A riguardo, intendo seguire un ragionamento, con tutti i limiti di questo prezioso spazio.

Intanto ha ragione Mario Congiusta, quando riconduce il perdono a una libera scelta della vittima. Impossibile nel caso di suo figlio Gianluca, ammazzato dalla ‘ndrangheta e forse anche, una seconda volta, dall’abbandono che lo Stato, assente ingiustificato, riserva ai familiari.

Dunque, nessuno può assolvere - e nemmeno condannare - in nome di Dio, non potendone stabilire la volontà né chi esercita il magistero della Chiesa né chi la medesima incarna, cioè il singolo credente, parte del «Corpo mistico di Cristo». Il perdono è, allora, un fatto individuale, che in ogni caso non cancella il peccato, l’abuso, la violenza, l’assassinio. Il peccato o reato non si elimina mai. Se così è, il perdono - solo da parte della vittima di mafia - serve simbolicamente, ma anche come valore e come testimonianza, a concorrere al reinserimento morale e sociale del peccatore; estorsore, ladro o assassinio che sia.

Il perdono umano ha una funzione specifica nel rapporto tra chi offende e chi è offeso, e una seconda funzione nella collettività: verso un futuro più limpido, più sano, più giusto.

Tutti possiamo sbagliare e tutti possiamo scegliere, salvo che non esista costrizione. Per il buddismo, ciascuno è responsabile della mancata realizzazione di sé. È per questo che il buddismo invita a un preciso percorso spirituale. Anche nel cristianesimo delle origini si praticava un cammino dello spirito, che Dante Alighieri o Gioacchino da Fiore, Fedeli d’Amore o meno, indicarono per allusioni, simboli, riferimenti esoterici. L’obiettivo era il raggiungimento dell’illuminazione; in termini buddisti diremmo della «buddità». La profondità dell’opera (di vita) di Dante e Gioacchino sta nella loro profezia, intesa come indicazione del disegno (divino) dei tempi.

Il martire don Peppe Diana, sacerdote, è stato un profeta nello stesso senso. Con il suo esempio, infatti, ha tradotto una direzione individuale e collettiva di giustizia; la quale, a differenza del perdono, strumento dell’animo umano, è il fine del disegno “politico” di Dio.

La Chiesa, soprattutto in Calabria, ha il grande compito di divulgare il messaggio della scelta: se stare dalla parte ‘ndrangheta o dalla parte degli uomini.

La ‘ndrangheta, però, non è solo l’organizzazione criminale di cui, grazie soprattutto a Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, oggi si conoscono i riti, il linguaggio, le trame, le mire e i territori conquistati. La ‘ndrangheta è anche negli ambienti religiosi, l’affermazione non sia letta come bestemmia. La ‘ndrangheta è in logge massoniche e in politica: sta nei palazzi del potere e arriva, comprando le coscienze, anche nei tribunali, negli uffici - per citare Fabrizio De Andrè - dell’«ordine costituito». Si presenta con tanti soldi sporchi nei nostri luoghi più belli e negli angoli più disperati, già pieni d’angoscia, disoccupazione e morte. La ‘ndrangheta è un modo di pensare e agire; è una forma, la peggiore, di tradimento dell’essere uomini.

L’Alighieri relegava i traditori nell’abisso più profondo dell’Inferno. Non a caso. La Chiesa mantenga coraggio e combatta sempre, con la forza dello spirito e dell’azione sociale, la ‘ndrangheta in tutte le sue facce e accezioni. Non credo che, nella sua infinita misericordia, Dio avrà pietà per il traditore dell’essere uomo. Per lo ‘ndranghetista che confida nel perdono della confessione o approfitta dell’accoglienza cristiana dei pastori in Cristo.

Emiliano Morrone


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