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DIO E’ AMORE ("CHARITAS"), MA NON PER IL CATTOLICESIMO-ROMANO! Una gerarchia senza Grazie ( greco: Χάριτες - Charites) e un papa che scambia la Grazia ("Charis") di Dio ("Charitas") con il "caro-prezzo" del Dio Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

GESU’ SPOSATO E LA CHIESA NUDA. Una nota di Federico La Sala

Riconoscere fondamentalmente che senza il libero e decisivo sì della donna (Maria) non sarebbe nato non solo Cristo ma nemmeno la Chiesa, per l’ uomo della stessa Chiesa è paradossalmente “scandalo e follia”
giovedì 4 ottobre 2012 di Federico La Sala
“Il papiro della moglie di Gesù non influisce sulla Chiesa”
ROMA - «Non influisce sulla visione di Gesù Cristo che appartiene alla tradizione della Chiesa». E’ lapidario padre Federico Lombardi, responsabile della Sala Stampa della Santa Sede; il frammento di papiro copto del quarto secolo dopo Cristo con la frase: «Gesù disse loro: “mia moglie”, presentato a Roma nei giorni scorsi dalla studiosa di Harvard Karen L. King, non fornirebbe alcuna prova - come ha (...)

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> GESU’ SPOSATO E LA CHIESA NUDA. ---- IL "RISUS PASCHALIS" PERDUTO E IL "GESU DISSE; SIATE ALLEGRI" DEL GIORNALE DEI VESCOVI (ATEI E DEVOTI) DI OGGI.

martedì 25 settembre 2012

La Queriniana rilancia il "Risus paschalis": un successo editoriale sul fondamento teologico del piacere sessuale.[1].

"È possibile che l’uomo nell’interezza della sua realtà concreta e quindi nella sua sessualità, nel desiderio, nel godimento, sia immagine di un Dio trascendente?". La domanda è ardita, tanto più se ci si situa nell’ambito della fede cristiana e se si tiene conto del fatto che la Chiesa cattolica è sessuofobica da quasi due millenni.

Dobbiamo infatti soprattutto a S. Agostino d’Ippona (354-430 d.C.) una concezione negativa e peccaminosa della sessualità umana, se è vero come è vero che nei Soliloquia è arrivato a scrivere: "Quanto a me, penso che le relazioni sessuali vadano radicalmente evitate. Penso che nulla avvilisca lo spirito dell’uomo quanto le carezze di una donna e i rapporti corporali che fanno parte del matrimonio". Sempre, tuttavia, nella storia della Chiesa, qualcuno ha osato dire e manifestare che attraverso il piacere l’uomo può cogliere qualcosa di Dio, che il godimento sessuale è riflesso e immagine, realizzazione ed esperienza del godimento infinito che è in Dio. Si è trattato di voci isolate o è possibile rifarsi ad una tradizione scritta e orale che, nei secoli, ha diffuso una visione positiva, serena e quasi trascendente della sessualità?

A questo interrogativo intende rispondere il libro di Maria Caterina Jacobelli Il Risus paschalis e il fondamento teologico del piacere sessuale (Brescia, Queriniana, 2004), pubblicato per la prima volta nel 1990, con prefazione di Alfondo Di Nola, e giunto ormai alla quarta edizione. Attraverso la sua conoscenza ad ampio spettro del tema, l’autrice parte dall’analisi storica di un fenomeno assai diffuso nell’Europa del Nord intorno al ’500, ma testimoniato per più di 1100 anni un po’ ovunque nella Chiesa: il Risus paschalis, da cui l’opera prende il titolo.

Si trattava di una tradizione secondo la quale, la mattina di Pasqua, il celebrante - per rendere più evidente il passaggio dalla tristezza della Quaresima alla gioia del tempo pasquale - cercava di far ridere il popolo radunato in chiesa mediante il turpiloquio e la messa in scena di atti impertinenti o addirittura osceni. Partendo dalla descrizione di questo fenomeno la teologa dimostra, con argomenti irrefutabili, che "sia la liturgia ebraica che quella cristiana hanno usato ed usano il piacere sessuale come linguaggio per cantare la gioia di pasqua". Da qui prende le mosse una valutazione teologica della sessualità e del piacere sessuale come luogo di esperienza del godimento infinito di Dio.

Il punto di partenza è, ovviamente, la Scrittura e in particolar modo la narrazione della creazione dell’uomo e della donna. Si passa poi al Cantico dei Cantici e a tutte le metafore "amorose" usate dai profeti e dagli scrittori sacri per descrivere il rapporto di Dio con l’umanità. Ciò che emerge in modo limpido e senza possibilità di fraintendimenti è che il piacere sessuale ha in sé una scintilla del divino ed è una partecipazione all’essere stesso di Dio.

Ampio spazio è riservato poi a S. Tommaso d’Aquino, illuminato dottore della Chiesa, e alla sua Summa, luogo in cui è disvelata l’intrinseca bontà della creatura umana e della sua ricerca del piacere. Ne sgorga un’etica nuova del piacere, del godimento, del "ridere". La conclusione è un augurio: "possa ogni rapporto sessuale compiuto nel godimento dell’amore, rendere l’uomo - creato maschio e femmina - sempre più profondamente immagine di Dio".

[1] Maria Caterina Jacobelli, Il risus Paschalis. Il fondamento teologico del piacere sessuale, Brescia, Queriniana, 1991 (da Adista notizie, n°49 del 3 luglio 2004, www.adista.it ).



E Gesù disse: «Siate allegri!»

intervista a Massimo Cacciari

a cura di Francesco Dal Mas (Avvenire, 25 settembre 2012)

«Il cristianesimo è lieto e deve far ridere. Guai, dunque, a una predicazione triste. Chi annuncia non può che avere il sorriso, anzi il riso di Beatrice che percorre tutta l’ultima cantica: «Tu la vedrai sulla vetta di questo monte ridere felice». Se tu non fai capire che il Paradiso è riso, come ha dimostrato Dante con Beatrice, la tua evangelizzazione sarà nebulosa e quindi non sarà un’evangelizzazione perché annunci un Vangelo triste, quindi non un eu-angelion , una ’buona notizia’ ». S’infervora il filosofo Massimo Cacciari intorno al tema «Davvero Gesù non ride?» che gli è stato affidato nell’ambito dell’ottava edizione di «Torino Spiritualità» e che svilupperà nell’appuntamento di giovedì.

Professore, lei è solito approcciarsi a Gesù in termini drammatici...

«Un momento. Come insegnava Platone, un dramma e una commedia hanno la stessa origine e non possono essere trattati in modo disgiunto. Quindi dire drammatico non significa dire incapace o impotente a ridere ».

È pur vero che quello di Gesù è stato letto da molti come un annuncio triste...

«Sì, ma è tutto da discutere. Nel Vangelo la dimensione del ridere è praticamente assente perché quando incontriamo un riso è quello degli stolti che deridono Gesù quando risorge la bambina».

E nell’Antico Testamento?

«È presente solo nell’accezione della stoltezza umana. Dio ride per schernire dall’alto la stoltezza dell’uomo. Ma sono letture affrettate».

Affrettate perché?

«Come si può non sentire un timbro del riso nel Cantico dei cantici? Più difficile si fa la ricerca nel Nuovo Testamento, perché qui sembra che il riso manchi. Ma è proprio così? Vediamo di ascoltare con orecchi non particolarmente ottusi. E allora scopriamo che nel Nuovo Testamento Gesù non ride con scherno nei confronti della nostra miseria e stoltezza. Certo, manca il riso sguaiato. Ma come si fa a non sentire una luce ilaros, come avrebbero detto i Padri orientali, quella luce del cielo quando è sgombro da ogni pesantezza, da ogni nebbia? Come si fa a non sentire nelle parole di Gesù questa ilaritas che mai giudica, mai condanna? Anche se non è nominato espressamente come si fa a non ascoltarlo?».

Si è soliti, in effetti, definire spiritosa una persona che ci fa ridere intelligentemente.

«Una battuta di spirito è una battuta che alleggerisce, che solleva, che assolve. Come si fa a non sentire questo timbro nelle parole di Gesù? Ma direi ancora di più: non è piena di ironia tutta la parola di Gesù?».

Gesù ironico? Ma come? L’ironia non sembra molto evangelica.

«Ironia nel senso letterale del termine, di gusto del paradosso. Il paradosso che invita alla ricerca. La parabola che timbro ha se non questo? Non è forse profondamente ironica in questo senso? Come hanno spiegato grandi interpreti, la parabola non ha nulla a che fare con l’allegoria perché l’allegoria è una similitudine che immediatamente si scopre. La parabola, invece, è un invito a pensare pieno di ironia. E che invita al sorriso. Le parabole del Regno hanno paragoni che sembrano assurdi. Il Regno dei cieli è un grano di senape. Non mette in evidenza un’immensa distanza? Non è un paradosso? Come si fa a non sorridere per la parabola delle vergini stolte che si precipitano ad acquistare l’olio e poi vengono cacciate? Oppure quell’immagine al limite della blasfemia: il Signore è come quel re che tutto concede per non essere più infastidito da scocciatori che gli chiedono di tutto? Questa parabola è piena di elementi ironici. Come lo è quella del samaritano e del figliol prodigo. Io credo che l’unico che abbia capito fino in fondo lo spirito della parabola di Gesù sia Kafka».

Kafka? Perché mai Kafka?

«Le sue sono parabole che non danno soluzione, rimangono enigmi. Non sono facili similitudini, non sono allegorie. Non permettono un allegorismo a differenza delle favole antiche e, nello stesso tempo, fanno sorridere. Fanno sorridere continuamente. Kafka secondo me rideva quando scriveva i suoi racconti. È tutta questa dimensione che bisogna scoprire se si vuole leggere con orecchi aperti il messaggio di Gesù. E poi un tema a me caro: l’ilaritas del più perfetto imitatore di Gesù che è Francesco». In tempi di crisi come quelli che viviamo, c’è spazio per un annuncio che non sia triste?

«Quanto ho detto vale soprattutto per tempi di crisi come i nostri. Se tu, invece di annunciare una lieta novella, annunci una novella ancora più triste, è chiaro che fallisce l’evangelizzazione. Citavo Francesco. Forse che lui, ai suoi tempi, non considerava tutti i problemi? Nella sofferenza lui ’rideva’, cantava e aveva il volto del riso e non della tristezza. L’unico comando che ha dato Francesco ai suoi è stato: andate e non siate mai nebulosi ».

Ma bisogna distinguere riso da riso. Non le pare? Oggi la risata è spesso sguaiata...

«Non c’entra nulla. Questo non è riso, è derisione, è scherno, è sarcasmo. L’etimo di sarcasmo è fare a pezzi la carne. Questo è il riso che insegnava Leopardi. Gli italiani sono capaci solo di scherno. Questo è il riso tipico dell’italiano».

È il rischio anche della satira?

«Certo. Quando la satira non è ironica (perché può essere ironica ed esprimere un sano riso che solleva), ma quando è impietosa, sarcastica, è nichilistica, fa a pezzi e basta. Ma si può fare a pezzi e basta anche tradendo il Vangelo come qualcosa di triste o semplicemente spirituale. La Beatrice di Dante non è solo spirituale, è spirito, cioè respiro che solleva, respiro che libera».


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