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MICHELANGELO E LA SISTINA (1512-2012). I PROFETI INSIEME ALLE SIBILLE PER LA CHIESA UN GROSSO PROBLEMA ....

DOPO 500 ANNI, PER IL CARDINALE RAVASI LA PRESENZA DELLE SIBILLE NELLA SISTINA E’ ANCORA L’ELEMENTO PIU’ CURIOSO. Materiali sul tema, per approfondimenti

mercoledì 7 novembre 2012 di Federico La Sala
TONDO DONI. Attenzione: nella cornice "raffigurate la testa di Cristo e quelle di quattro profeti" (Galleria degli Uffizi)? Ma, per Michelangelo, non sono due profeti e due sibille?!

In un bel documentario dal titolo «1512. La volta di Michelangelo nella Sistina compie 500 anni» mandato in onda, ieri, 31 ottobre 2012 (giorno dell’anniversario) su TV2000 alle ore 13.05 (e replicato alle 23.05) con Antonio Paolucci, Gianluigi (...)

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> DOPO 500 ANNI --- Il Tondo Doni di Michelangelo. Un approfondimento sul capolavoro di Michelangelo Buonarroti realizzato tra il 1506 e il 1507 e conservato agli Uffizi (di Finestre sull’Arte).

sabato 20 luglio 2019

Il Tondo Doni di Michelangelo: origini e significato di uno dei più grandi capolavori della storia dell’arte
-  Un approfondimento dedicato al Tondo Doni, capolavoro di Michelangelo Buonarroti realizzato tra il 1506 e il 1507 e conservato agli Uffizi.
-  di Finestre sull’Arte, scritto il 27/06/2019 *

      • CONTINUAZIONE E FINE

I nudi di Michelangelo sono però diversi: intanto vige una differenza fondamentale, ovvero non hanno attributi che possano identificarli come pastori, e soprattutto sono completamente nudi, a differenza di quelli che invece compaiono nel dipinto di Signorelli. È pertanto evidente che il loro significato debba essere leggermente diverso. William Page, a fine Ottocento, pensò si trattassero di angeli senz’ali, interpretazione poi seguita da altri anche nel Novecento inoltrato. Altri invece fecero proprie le teorie di de Tolnay, magari aggiungendo ulteriori livelli di lettura: Colin Eisler, per esempio, suggerì d’identificare i nudi come atleti simbolo di virtù. Altri ancora fecero riferimento al clima culturale della Firenze di fine Quattrocento vedendo nei nudi un’allegoria dell’amore platonico. Di recente è stata proposta un’altra lettura, molto calzante: la studiosa Chiara Franceschini, in particolare, ha concentrato la propria attenzione sulla figura del san Giovannino, che non solo è collegata al sacramento del battesimo avvalorando dunque l’ipotesi che l’opera potesse essere stata realizzata per celebrare la nascita della figlia primogenita di Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, ma nella composizione occupa fisicamente lo spazio che raccorda la Sacra Famiglia e i nudi dietro di loro. In un suo saggio del 2010, Franceschini cita un paio di studi di Frederick Hartt, nei quali si faceva riferimento a una lettera di Ugo Procacci, che a sua volta comunicava ad Hartt di conoscere fonti documentarie che riportavano di come i Doni, prima di Maria, avessero avuto alcuni figli, tutti chiamati Giovanni Battista, e tutti morti poco dopo la nascita. Non sono stati trovati riscontri a sostegno di questa informazione, ma dal momento che passarono quasi quattro anni tra la data delle nozze e la nascita di Maria, si tratta di un’evenienza del tutto plausibile, dato che le coppie del tempo tendevano a mettere al mondo il primo figlio poco dopo il matrimonio. Evenienza che ci porterebbe anche a supporre che questi bambini non sopravvissero abbastanza a lungo per essere battezzati. E che i Doni volessero fortemente un figlio, come ha notato anche Antonio Natali, è testimoniato anche dal fatto che nel retro dei ritratti eseguiti da Raffaello (e ora visibile grazie all’allestimento inaugurato nell’estate del 2018) compaiono le raffigurazioni di due episodî del mito di Deucalione e Pirra, attribuiti al cosiddetto Maestro di Serumido (in particolare, nel retro del ritratto di Maddalena compaiono Deucalione e Pirra che ripopolano la terra dopo il diluvio scatenato da Giove).

All’epoca, alla scomparsa precoce dei neonati si accompagnava la preoccupazione per la sorte della loro anima, nel caso fossero morti prima d’essere battezzati. Questo destino era argomento dei dibattiti teologici del tempo: il domenicano Antonino Pierozzi (Firenze, 1389 - Montughi, 1459), rielaborando spunti da Tommaso d’Aquino, immaginava che i non battezzati fossero destinati al limbo per poi risorgere con corpi di uomini di trentatré anni, senza tuttavia provare né il dolore dell’Inferno, né la gloria del Paradiso. Secondo altri teologi, ai non battezzati sarebbe stato destinato, dopo il Giudizio Universale, il mondo terreno, dove avrebbero trascorso momenti felici. A Firenze queste dottrine si diffusero anche grazie ad alcuni scritti di Savonarola ed è probabile, sottolinea Franceschini, che sia Michelangelo sia i Doni le conoscessero, in quanto ben diffuse in Firenze dai frati del convento di San Marco (del resto sappiamo da Ascanio Condivi, primo biografo di Michelangelo, che l’artista aveva ben presenti i sermoni di Savonarola, e che lesse anche alcuni suoi scritti). La studiosa ipotizza dunque che i nudi potrebbero essere i non battezzati risorti, anche per il fatto che la bellezza e la nudità sono due caratteristiche collegate al tema della resurrezione. Inoltre, al contrario di san Giovannino che guarda verso la Sacra Famiglia (volgendo peraltro le spalle ai personaggi dietro di lui, come a dire che non sono stati battezzati), i nudi si guardano tra loro (una possibile allusione al fatto che non sarebbero stati toccati dalla grazia di Cristo). Franceschini suggerisce dunque che il celeberrimo tondo degli Uffizi “possa alludere a una speranza di vita futura per coloro che sono morti senza battesimo”.

D’una certa attenzione è meritevole anche un’ulteriore interpretazione, di Antonio Natali, che fa riferimento ai testi del Nuovo Testamento, e in particolare alla lettera di san Paolo agli Efesini, nella quale il santo si rivolge a quanti un tempo furono pagani e, a seguito della conversione, hanno abbracciato Gesù Cristo, evidenziando che “voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli edei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Gesù Cristo. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo del Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito”. Secondo Natali il Tondo Doni è probabilmente un’illustrazione di questo passo: la nudità dei giovani sullo sfondo rappresenta la liberazione dal peccato, e il muro cui s’appoggiano sarebbe simbolo di quel “tempio Santo” che ognuno di loro concorre a formare e che allude alla Chiesa di Cristo. Il tutto si collegherebbe all’evento della nascita di Maria Doni in quanto è per mezzo del battesimo (che è uno dei temi della lettera di san Paolo) che s’entra nella comunità cristiana.

Quanto alla storia del Tondo Doni, sappiamo che verso la fine del Cinquecento gli eredi di Agnolo Doni avevano conosciuto un calo delle loro fortune, e fu forse per tali circostanze che l’opera venne venduta, anche se non sappiamo con certezza quali fossero i motivi. Così, il 3 giugno del 1595, dalla casa di Giovanni Battistaa Doni (figlio di Agnolo) l’opera fu prelevata per essere condotta nella residenza del suo acquirente, il granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici, che la appese nella sua camera da letto in Palazzo Pitti (si legge in una nota di pagamento: “addì 3 di giugno d. quattro [...] a Piero di Bernardo con due compagni fachini granducali et sono per aver portato di casa il Doni nel Corso de’ Tintori a Pitti in camera di S.A. un quadro d’una vergine grande di Michelagnolo Buonaruoti”). Nel corso del diciassettesimo secolo, il dipinto fu smontato dalla cornice di Francesco del Tasso per essere montato su di una cornice rettangolare più in accordo con il gusto dell’epoca: solo nel 1902 il Tondo Doni fu riunito alla sua cornice originaria, che era in deposito presso la Galleria degli Uffizi. La riscoperta per la cornice, peraltro, fugò tutti i dubbî in merito alla destinazione privata dell’opera, e riaccese l’interesse della critica nei confronti del Tondo Doni.

E anche se la celeberrima tavola michelangiolesca conobbe alcuni periodi di sfortuna critica, non v’è più dubbio, almeno a partire dal primo Novecento, che rappresenti, al contrario, uno dei testi più alti di tutta la storia dell’arte: Cesare Brandi, addirittura, scrisse che “non c’è forse pittura al mondo più alta e pregnante del Tondo Doni di Michelangiolo”. Dipinto modernissimo, è alla base della pittura di tutto il Cinquecento, e fu fonte d’ispirazione anche per i più grandi. Si pensi solo a uno dei vertici della produzione di Raffaello, la Deposizione Borghese, scomparto centrale della smembrata Pala Baglioni. E si provi a immaginare da dove derivi la posizione della terza delle pie donne, quella inginocchiata sulla destra, che sorregge il corpo della Vergine cui vengono a mancare le forze alla vista del figlio trascinato verso il sepolcro.

      • Bibliografia di riferimento

-  Antonio Natali, Michelangelo. Agli Uffizi, dentro e fuori, Maschietto Editore, 2014
-  Cesare Brandi, Scritti d’arte, Bompiani, 2013
-  Chiara Franceschini, The nudes in Limbo: Michelangelo’s “Doni Tondo” reconsidered in Journal of the Warburg and Courtauld Institute, vol. 73 (2010), pp. 137-180
-  Cristina Acidini Luchinat, Michelangelo pittore, 24 Ore Cultura, 2007
-  Antonio Natali, La piscina di Betsaida: movimenti nell’arte fiorentina del Cinquecento, Maschietto Editore, 1995
-  Silvia Meloni (a cura di), Il Tondo Doni di Michelangelo e il suo restauro, Centro Di, 1985
-  Alessandro Parronchi, Opere giovanili di Michelangelo, Leo S. Olschki, 1981
-  Roberto Salvini, Michelangelo, Mondadori, 1981

* Finestre sull’Arte, scritto il 27/06/2019 (ripresa parziale - senza immagini).


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