Maria “faccendiera del Paradiso” per una Chiesa sinodale
Un commento dei teologi Scarafoni e Rizzo
di PAOLO SCARAFONI E FILOMENA RIZZO (La Stampa, 06 Dicembre 2022)
Nel giorno dell’Immacolata prendiamo spunto dal bel contributo del compianto padre Stefano De Fiores, «L’immagine di Maria dal Concilio di Trento al Vaticano II (1563-1965)», dove si racconta Maria nelle pieghe della storia. La scoperta dell’America aveva spinto gli sguardi sulle terre emerse oltre i confini convenzionali. Durante il periodo barocco, a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, grazie a Galileo l’universo diventa più grande. Gli orizzonti si dilatano. Tutto acquisisce termini superlativi, anche nell’arte e nella spiritualità. Nel mondo cattolico Maria è qualificata con aggettivi che le attribuiscono una esaltazione spettacolare: trionfo, regalità, eminenza, e soprattutto privilegio. Sembra un’eresia chiamarla «sorella» e «serva» come fanno i carmelitani, avversati da autori come De Bérulle e Bellarmino che ritengono che la Madre di Dio superi in dignità e grazia tutte le creature in un ordine a parte tra Cristo e la Chiesa, fra il cielo e la terra. De Convelt la pone al di sopra dei Serafini, il cui amore «paragonato all’amore della Vergine non è amore infiammato, ma appare cenere e fuoco spento». C’è chi la chiama «un Dio creato; un finito infinito; un’onnipotente debolezza... Dio increaturito o creatura deificata». È il famoso padre Mostro, il domenicano Niccolò Riccardi, chiamato così per l’eccezionale obesità o per la grande eloquenza o forse per l’incredibile memoria. Viene ripresa la dottrina di San Bernardo sulla mediazione universale delle grazie da parte di Maria, in quanto «Cristo consegna a sua madre ogni grazia da distribuire agli altri».
Le immagini mariane acquistano un valore determinante. I gesuiti se ne fanno promotori. Francesco Borgia, il terzo generale della Compagnia, in una famosa sentenza, paragona le immagini alle spezie di un pasto, ovvero ciò che può stimolare il gusto. L’icona da lui preferita è quella presente nella Chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma, la Madonna Salus Populi Romani, che si riteneva dipinta da san Luca. Le sue accorate omelie mariane ottengono da Pio V il permesso di eseguirne una copia con uno stile leggermente diverso, sotto la supervisione di San Carlo Borromeo. Da quella poi ne vengono dipinte tante altre e inviate nei luoghi di missione, dal Brasile alla Persia.
Il trionfo di Maria non è oscurato dalla dea ragione nel secolo dei lumi. Lodovico Antonio Muratori, prete modenese, storico e letterato, invita a purificare, con buone intenzioni, le forme religiose popolari dalla superstizione pagana, e a far comprendere che non si possono mettere in competizione le varie immagini della Madonna, e che bisogna avere più fiducia nella messa che negli scapolari e nelle medaglie. Il suo sforzo non è accolto perché non nasce dalla coscienza comunitaria, ma dal mondo accademico.
Proprio durante l’Illuminismo si consolida la devozione del mese mariano, adottata immediatamente dal popolo perché legata al ciclo delle stagioni. Al primo trattato di mariologia risalente a Placido Nigido all’inizio del seicento, ne seguono ora altri: tra i più importanti quello di San Luigi Grignon de Monfort e quello di Sant’Alfonso Maria de Liguori. Per Monfort, Maria è lo «stampo di Dio, forma Dei», una madre viva e dinamica nella storia. La Vergine si trova nella categoria teologica della «relazione». Per lui è cristocentrica, e invita a correggere le espressioni tipiche del tempo: è meglio dire di essere «schiavi di Gesù attraverso Maria o in Maria», più che «schiavi di Maria». Sant’Alfonso sviluppa la teologia narrativa e orante, valorizzando il sensus fidelium per l’Immacolata Concezione. Maria «è la faccendiera del Paradiso, che continuamente sta in faccende di misericordia impetrando grazie a tutti, ai giusti e peccatori».
L’ancien régime, per sostenere la «restaurazione», rifiuta gli ideali rivoluzionari, specialmente la libertà e l’uguaglianza e ripropone le prerogative aristocratiche. Utilizza la figura di Maria. Il suo splendore mette in risalto la sua condizione eccezionale e i suoi privilegi. Ma Maria appartiene sempre al popolo, è il suo tesoro. Pio IX l’8 dicembre del 1854 definisce il dogma dell’Immacolata non tanto in favore dei privilegi aristocratici, ma piuttosto in sintonia con il sensus fidelium.
L’Italia barocca esalta Maria, la Francia dei lumi non riesce a offuscarla né la restaurazione a strumentalizzarla. L’Inghilterra romantica dipana il travaglio mariologico tra una devozione sana e una artificiale, grazie agli studi storici e patristici di San John Henry Newman, che attraverso il suo metodo peculiare si avvicina al sentire autentico della fede del popolo di Dio maturata nel tempo: «nella devozione cristiana si sono aperte due grandi correnti lungo i secoli: una centrata sul Figlio di Maria, l’altra sulla Madre di Gesù... non è necessario che l’una oscuri l’altra». Il popolo di Dio non ha mai visto Maria rivale, ma ministra del suo Figlio. Più ami Maria più ami Gesù.
Con il Concilio Vaticano II si pone fine a tutti gli iconoclasti e i mariolatri che falsano la figura della Madre di Dio. La mariologia è inserita nel cuore dell’ecclesiologia, esaltando il nesso tra la beata Vergine e il mistero della Chiesa. Lumen Gentium 53, in chiave antropologica, dichiara di lei che è la più vicina agli uomini perché è la più vicina a Dio, a Gesù Cristo: «Redenta in modo eminente in vista dei meriti del Figlio suo e a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo... quale discendente di Adamo, è congiunta con tutti gli uomini bisognosi di salvezza». L’unicità di Maria non la separa da noi. La sua eminenza è compresa come compenetrazione con il Figlio divino, e servizio nella missione agli altri.
Papa Francesco non nasconde il suo amore per Maria. È bello vederlo pregare davanti alla Salus populi romani, prima di partire e al ritorno dai suoi viaggi, per invocare il suo aiuto, affidarsi a lei e ringraziarla. L’identità sinodale della Chiesa richiede una riflessione teologica e antropologica sul ruolo della Madre di Dio. La sua presenza nelle comunità non soltanto ci invita a custodire, ma anche a continuare il cammino attraverso nuovi «cantieri». Ella è il modello di apertura, l’aurora che ci stimola alla «ri-recezione» della fede nel cambio epocale, «la faccendiera» che dal Paradiso ci aiuta a non aver timore di attualizzare e rendere più autentico il modo di vivere il Vangelo al servizio dell’umanità sofferente, per il Regno di Dio.