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ITALIA: STORIA E POLITICA (1513-2013). MACHIAVELLI CONTRO OGNI TIRANNIA E CONTRO OGNI POPULISMO: C’E’ CAPO E "CAPO" E STATO E "STATO"!!!

LA QUESTIONE DELLO STATO: "IL PRINCIPE" O MEGLIO "DE PRINCIPATIBUS" (1513). UN OMAGGIO A NICCOLO’ MACHIAVELLI. Una nota di Sergio Romano - con un saggio (pdf) di Federico La Sala

Lascio al lettore decidere se fra l’epoca di Machiavelli e la nostra corra qualche analogia. Mi limito a osservare che questo Stato apparentemente unitario è un mosaico di lobby, corporazioni, patriottismi municipali, irresponsabilità regionali e sodalizi più o meno criminali (...)
mercoledì 23 gennaio 2013 di Federico La Sala
[...] Credo che la chiave di cui il lettore ha bisogno per orientarsi fra tante interpretazioni di Machiavelli sia nascosta nella sua vita. Il Principe è il risultato delle esperienze che l’autore aveva fatto negli anni fra il 1498 e il 1512 quando era stato cancelliere e segretario dei Dieci di Libertà, l’organo che nella Repubblica fiorentina era contemporaneamente ministero degli Interni, degli Esteri e della Guerra. Aveva viaggiato in Italia e in Europa, aveva frequentato le corti (...)

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> LA QUESTIONE DELLO STATO: "IL PRINCIPE" O MEGLIO "DE PRINCIPATIBUS" (1513). --- Rivogliamo Machiavelli (di B. Gravagnuolo)

domenica 9 marzo 2014

Rivogliamo Machiavelli

Nuova edizione del Principe e intervista a Gennaro Sasso

Realtà e leggenda. La visione del segretario fiorentino era popolare e democratica, e non furbesca, benché immersa in un’Italia lacerata

di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 09.03.2014)

UN CINQUECENTENARIO E LE PIROETTE DELLA POLITICA IN ITALIA RILANCIANO LA FIGURA DI MCHIAVELLI. Il cinquecentenario è quello del Principe, la cui stesura lambisce il 1514. Le piroette, non prive di brutalità, sono quelle che hanno portato alla defenestrazione di Letta, con plateale sfiducia dentro il Pd, dopo che il suo rivale aveva a lungo garantito «enricostaisereno ». Ben per questo, molti hanno parlato del fiorentino Renzi, erede dell’altro «segretario». Sicché ci si chiede, la politica è, e resta, esercizio di inganno commisto a forza cieca? Con buona pace dell’«accountability» e dell’opinione pubblica?

E allora cominciamo da due libri che vanno al cuore dell’enigma Machiavelli. Che politica aveva in mente quel fiorentino geniale, per secoli vituperato e frainteso, da suggerire accostamenti come quello di cui sopra?

I libri: una serrata intervista di Antonio Gnoli a Gennaro Sasso, tra i massimi machiavellisti mondiali oltre che filosofo teoretico: I corrotti e gli inetti. Conversazioni su Machiavelli (Bompiani, pp. 196, Euro 11). E una dotta edizione del Principe per la cura di Gabriele Pedullà e traduzione italiana attuale di Carmine Donzelli, editore del volume ( pp. 347, Euro 30).

Testi diversi, ma entrambi con l’ambizione di sfatare luoghi comuni su Machiavelli. Il primo luogo comune, accreditato a lungo dai gesuiti e da machiavellici che predicavano bene e razzolavano male (Federico di Prussia e il suo Anti-Machiavelli...), è quello del demonismo amorale e degli Arcana Imperi: Natura bieca e anti- etica della politica e dello stato. Salvo esorcismi chiesastici o nobilitazione della Ragion di Stato (come con lo storico Friederich Meinecke).

Per Sasso, quella di Machiavelli è una concezione sobria e disincantata, antitetica a provvidenzialismi e filosofie della storia. Che delinea un Principato civile originato da «virtù» e «gloria»: preveggenza e coraggio, unite ad ambizione costruttiva a valer da exemplum. Nel solco di una sfida continua, rinascimentale, contro la «fortuna» che è contingenza assoluta e occasione da cogliere e consolidare con argini politici.

In Sasso la politica è sfida concreta e non superomistica, romantica o nietzscheana, contro il divenire senza senso, per dare ad esso forma, ragionando sulla realtà effettuale e non già sulla Veritas dell’Essere, inattingibile al sapere politico. E rilevanti per inciso sono gli intermezzi sassiani sulla infondabilità logica dell’esperienza in termini razionali, visto che l’esperienza non si fonda né è oggetto di esperienza: a differenza del filosofare che si muove su tutt’altro piano ed è perciò indifferente al mondo. A differenza del punto di vista tutto politico di Machavelli, scevro (ma non a digiuno) di filosofia. Dunque per Sasso: Principato popolare, con alleanza tra Principe, popolo, borghesia e contado.

Contro i Grandi, come tenta di fare Cesare Borgia, con spietata ragionevolezza in vista di un regno italico del centro-nord. E ovviamente il contesto è quello del paese disunito e calpestato dai sorgenti stati assoluti, la Francia in primo luogo a partire da Carlo VIII e l’impero tedesco.

Sasso non crede all’idea di Italia «tout court» in Machiavelli, persuaso da una certa idea disincantata del potere in ciclica decadenza ed espansione (Polibio). E tuttavia l’Ialia, come concetto non immediato e «metapolitico», esiste eccome nel segretario, dalle Alpi alla Sicilia. Come nella tradizione romana tardo repubblicana quando l’Italia amministrativamente varca il Rubicone all’inverso e include i Municipia galli e celtici. E poi Machiavelli esalta il genio italico nelle armi e quant’altro e celebra persino la disfda di Barletta. Per non dire dei famosi versi di Petrarca con cui si chiude il Principe: Virtù contra furor/ prenderà l’arme/ e fia il combater corto/ che l’antiquo valor/ ne l’talici cor non è ancora morto.

Né a ben guardare la lettura di Sasso - che la svaluta frettolosamente - si discosta da quella di Gramsci nelle Note sul Machiavelli: il Borgia come Cesare democratico e popolare di un regno del centro-nord, con epicentro nelle Romagne. Nel quadro della frantumazione italiana schiacciata da stati assoluti, municipalismi e Papato.

Sul presente Sasso rilutta a fare paralleli, salvo il cenno alla nazione senza stato, infestata da corrotti e inetti e che un decisore democratico, capace di usare la forza, potrebbe prima o poi riscattare. Pie illusioni tardo giacobine e azioniste, che in tempi di populismo diventano circo mediatico e anti-politica contro-partiti.

Quanto al volume a cura di Pedullà, segnaliamo un paio di cose. Primo, il nesso mezzi-fini. Pedullà spiega che sono i mezzi in Machiavelli ad illustrare il fine e non viceversa. E il Principe deve motivare certi passaggi crudi, mostrandoli necessari e condivisibili per il Bene comune. Infine, ci vogliono tre cose per governare: buoni esempi, buone leggi e buone armi. Armi proprie e non mercenarie, appartenenza. Era la politica di massa, egemonica e autonoma di allora. Passioni, interessi, valori. Né intrattenimento, né circo, né vanità; res severa. Anche il Principe moderno dovrebbe essere questo. E invece...


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