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REPUBBLICA ITALIANA, 1994-2012: UN POPOLO, UN PRESIDENTE E IL presidente MENTITORE ISTITUZIONALIZZATO con il suo popolo....che CANTANO LO STESSO INNO NAZIONALE E GRIDANO: "FORZA ITALIA"!!! LA DOMANDA E’: CHI E’ PULCINELLA? CHI IL MENTITORE ISTITUZIONALE?!

"LA SCUOLA (COME IL LAVORO) RENDE LIBERI"!? L’Inno di Mameli si studierà a scuola. Per legge. Una nota di Marcella Ciarnielli - a c. di Federico La Sala

E il 17 marzo sarà dal prossimo anno «giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera», non un giorno festivo per un nuovo ponte, ma di studio sui valori dell’identità nazionale.
mercoledì 14 novembre 2012 di Federico La Sala
COME L’ITALIA, UN PAESE E UN POPOLO LIBERO, ROVINO’ CON IL "GIOCO" DEL PARTITO CON IL PROPRIO NOME E CON LA "OVVIA" PRESENZA DI "DUE PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA".
PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE. CARO PRESIDENTE NAPOLITANO, CREDO CHE SIA ORA DI FARE CHIAREZZA. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI
BERTRAND RUSSELL: LA LEZIONE SUL MENTITORE (IGNORATA E ’SNOBBATA’), E "L’ALFABETO DEL BUON CITTADINO".

L’inno di Mameli si studierà a scuola (...)

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> "LA SCUOLA (COME IL LAVORO) RENDE LIBERI"!!! --- GIU’ LE MANI DALLA SCUOLA DELLA REPUBBLICA. LA FORZA DEI PIÙ GIOVANI E LA DISILLUSIONE DEI DOCENTI SCESI IN PIAZZA A MIGLIAIA PER NON ABBANDONARE L’ISTRUZIONE AI TAGLI

domenica 11 novembre 2012

-  Prof e ragazzi invadono Roma
-  “Giù le mani dalla scuola”

-  di Luigi Galella (il Fatto, 11.11.2012)

      • LA FORZA DEI PIÙ GIOVANI E LA DISILLUSIONE DEI DOCENTI SCESI IN PIAZZA A MIGLIAIA PER NON ABBANDONARE L’ISTRUZIONE AI TAGLI

Otto milioni. Siamo otto milioni noi che abitiamo la cittadella della scuola. Un esercito mite che marcia nelle aule fra banchi e cattedre, con le parole di ogni giorno, il frusciare delle pagine e impercettibili movimenti dei pensieri che si formano e informano: le armi, le uniche, con cui possiamo aggredire il futuro. Se provassimo a pensarci così, docenti e studenti, tutti insieme, ci sentiremmo la più forte compagine militare della storia. La storia che faticosamente costruiamo, anche se di recente col tono dimesso di chi ha smesso di crederci. Roma. Piazza Esquilino, vicino Termini. Il luogo dell’incontro che raccoglie studenti, docenti e ogni altro operatore scolastico per dire no all’ex legge Aprea - che spalanca le porte ai privati nei Consigli di Istituto eliminando la rappresentanza studentesca - e all’elevazione del tempo-cattedra da 18 a 24 ore. Nella parte alta della manifestazione, dove sfilano gli insegnanti, in numero molto inferiore ai ragazzi, sono circondato dai colleghi: un’immagine quasi straniata se non imbarazzata. Un po’ astratti come siamo, sembriamo avere meno dimestichezza con la parte fisica di noi stessi di quanta ne abbiano loro, che al contrario marciano fitti fitti.

MI GIRO indietro e già non vedo più dove si conclude il corteo. Sento parlare di decine di migliaia di manifestanti e quasi non ci credo. Di sabato pomeriggio. Giovanissimi che rivendicano il diritto alla scuola pubblica, anziché confondersi nello struscio di via del Corso. Al grido di “La scuola nasce e muore pubblica”, “No all’Aprea, siamo una marea”, “I professori veri promuovono la scuola”, “La cultura fa paura”. Riconosco la chioma familiare di Antonella, una mia ex-collega di Lettere. Ora insegna al “Seneca” Storia e Filosofia. Qualche battuta per ricostruire il tempo perduto, piccole notazioni personali, quindi il consueto rancore che ci prende quando rievochiamo ciò che accade. E i partiti della “strana maggioranza”, che finora abbiamo votato e forse non voteremo. Nel suo ultimo intervento Profumo ha assicurato che le cattedre non si toccano, ma non ci fidiamo. Traumatizzati dall’ideona delle 24 ore, non ci basta più nemmeno la smentita del ministro in persona.

Mi stacco. Ho voglia di rifare la fila della manifestazione a ritroso, per capire quanti siamo veramente. E cammino per un po’, senza giungere in fondo. Mi colpisce il numero dei ragazzi e la loro energia: coi megafoni urlano verso i curiosi che si affacciano sulla strada e li invitano a scendere. Da lontano vedo due insegnanti conosciute in scuole diverse e mi fermo a parlare. La prima, Rossella, di Francese, che chiamavo “Forrest Gump” per il suo candore. La seconda, Angela: l’ultima volta ci siamo incontrati nel treno che ci portava a Civitavecchia, nel nostro primo anno di entrata in ruolo. Un vero amarcord: il tempo trascorso, le rughe dei ricordi, San Lorenzo dove abitavamo, l’estate romana che non c’è più...

ALL’IMPROVVISO ci voltiamo, richiamati dall’immagine dei ragazzi che corrono, tenendosi per mano, attirati da ciò che accade davanti e che ci fa tornare al presente, come tacitamente rimproverati in quel nostro abbandonarci alle rimembranze del passato. I corpi dei ragazzi, oggi, sono la falange che ci tende una mano. Ci afferra, ce la stringe, ci tiene. A noi docenti, perlopiù cinquantenni: disincanta-ti, mesti, rabbiosi. E ancora eterei, un po’ evanescenti e irresoluti nel rivendicare ciò che siamo. Noi che abbiamo con gli anni smarrito proprio il senso del “corpo”. Dell’esserci, del partecipare. Una lezione da ripassare. Ancora una volta la vitalità dei ragazzi, oggi al nostro fianco, ci aiuta a riconoscere quel senso.


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