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ARCHé -o- LOGIA EVANGELICA. ALLA RICERCA DELL’ARCA DI NOE’, DELL’ARCA DELL’ALLEANZA DI MOSE’, DEL PRESEPE DI FRANCESCO D’ASSISI. "La x è il punto dove scavare" ("Indiana Jones e l’ultima crociata", 1989 - nella biblioteca di Venezia da cui si accede alle catacombe).

NATALE 2012. TERRA BRUCIATA INTORNO A GESU’. E’ NATO IL "PADRONE GESU’", IL"DOMINUS IESUS" DI PAPA RATZINGER. Via "Giuseppe" e via anche "il bue e l’asinello"!!! Una nota di Roberto Monteforte

L’INFANZIA DI GESU’. Bue e asinello non c’erano. La rivelazione sulla nascita di Gesù nel libro di Benedetto XVI. È il terzo volume che Bendetto XVI dedica alla vita del Nazareno
giovedì 6 dicembre 2012 di Federico La Sala
[...]«È un libro su un bambino e su una donna e sul grande significato della libertà» ha osservato il presidente Rcs libri, Paolo Mieli intervenuto alla presentazione del volume con il cardinale Ravasi, la teologa brasiliana Clara Lucchetti Bungemer, il direttore della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi [...]
"Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico (...)

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> NATALE 2012. TERRA BRUCIATA INTORNO A GESU’. ---- La Natività.Libertà e uguaglianza nella storia dell’uomo (di Michele Ciliberto) - Il Natale è una memoria coinvolgente e pericolosa (di Serena Noceti).

lunedì 24 dicembre 2012



-  La «conciliazione» di divino e umano
-  Anche per tanti filosofi laici, da Hegel in poi, l’incarnazione cambia la percezione della vicenda umana
-  La Natività
-  Libertà e uguaglianza nella storia dell’uomo
-  La svolta radicale
-  La figura del Cristo capovolge il rapporto uomo-Dio proprio della filosofia greca

-  di Michele Ciliberto (l’Unità 24.12.12

Per quale motivo i laici, e anche i non credenti, festeggiano il Natale? Quale è il significato che essi assegnano a questa festività che ricorda, e celebra, l’Incarnazione (insieme alla Resurrezione il centro costitutivo della religione cristiana)?

Vorrei cercare di rispondere a queste domande da storico della filosofia, sostenendo queste tesi: l’Incarnazione è una base essenziale della concezione della storia umana come storia della libertà; è il fondamento di una visione dell’uomo quale principio di libertà e di responsabilità; con essa inizia a svolgersi, in termini nuovi, il principio dell’eguaglianza e di un comune destino come predicato originario dell’umanità.

Alla base di questa visione che fonda una concezione integralmente nuova della storia e dei fini che in essa l’uomo si propone stanno due motivi essenziali: la «conciliazione» di umano e di divino, che si realizza nella figura di Cristo; il mutamento radicale, rispetto alla filosofia greca, nel rapporto tra Dio e uomo e, di conseguenza, tra uomo e Dio. Vediamoli entrambi cominciando dal primo.

«La certezza dell’unità di Dio e dell’uomo è il concetto di Cristo, dell’Uomo-Dio. Cristo è apparso,un uomo che è Dio e un Dio che è uomo; da ciò il mondo ha avuto pace e conciliazione». Così scrive Hegel nelle Lezioni di storia della filosofia, illuminando il significato della Incarnazione e della figura di Cristo nella storia del pensiero e in quella del mondo.

Questa posizione è il punto di approdo di un lungo travaglio che attraversa fin dalle origini anche la filosofia moderna. Esso concerne precisamente la possibilità della «conciliazione» fra umano e divino di cui parla Hegel: come è possibile che finito e infinito, uomo e Dio, possano «conciliarsi» nella figura di Cristo? Se è incommensurabile la distanza tra l’uno e l’altro, la figura di Cristo si rivela come una sorta di creatura mostruosa una specie di centauro senza alcun fondamento filosofico e teologico. Infatti il rapporto tra divinità e umanità potrebbe darsi solo in termini di «assistenza» della prima alla seconda; non di «inerenza», inconcepibile sia dal punto di vista filosofico che teologico.

Queste sono posizioni di pensatori radicalmente estranei al cristianesimo; ma anche un grande cristiano e un profondo pensatore come Pascal esclude, da un punto di vista filosofico, la «conciliazione» di umano e di divino: solo la verità del Vangelo, osserva, «concilia la contrarietà con un’arte affatto divina e ne fa una saggezza veramente celeste in cui si conciliano quegli opposti, incompatibili in quelle dottrine umane». Come egli stesso precisa subito dopo, questa è però teologia, non filosofia.

La forza e la grandezza della posizione di Hegel sta precisamente nel porre in termini filosofici la «conciliazione» di umano e di divino, interpretando a questa luce la figura di Cristo e l’Incarnazione. Lo fa perché elabora una nuova teoria degli «opposti» risolvendo il problema di fronte al quale Pascal si era fermato, abbandonando il campo filosofico per quello teologico.

A differenza di Pascal il quale aveva respinto drasticamente la possibilità che gli «opposti» fossero «nel medesimo soggetto» Hegel «concilia» umano e divino nella figura di Cristo, stabilendo le basi della concezione della storia come storia della libertà. E strappando, con Lutero, Cristo alla tomba in cui l’avevano cercato i crociati, lo pone nella interiorità dell’uomo, nella spiritualità che si «acquista solo nella conciliazione con Dio, nella fede e nella partecipazione». Quella cristiana è perciò una «dottrina della libertà» individuale, fondamento di una nuova concezione dell’uomo e della storia, di cui l’Incarnazione e la figura di Cristo sono fondamento essenziale.

È un’acquisizione filosofica decisiva dalla quale non sarà più possibile tornare indietro, e che il pensiero laico farà sua nei suoi esponenti più alti e significativi. Si potrà discutere dei caratteri della libertà, ma che essa sia il principio della storia umana e che il cristianesimo abbia svolto una funzione essenziale questo è ormai un dato acquisito.

E veniamo ora al secondo elemento. L’Incarnazione e la figura di Cristo generano un altro «principio» filosofico essenziale anche per un laico, consistente nel mutamento radicale, rispetto al pensiero greco, del rapporto tra Dio e l’uomo.

Lo ha detto in pagine molto belle Max Scheler: mentre la concezione greca presenta un uomo che si sforza di salire verso Dio, il cristianesimo con la figura di Cristo rovescia questo punto di vista, presentando un Dio che discendendo verso tutti gli uomini, accoglie con un gesto di amore totale l’intera umanità. Nella concezione cristiana si attua perciò un vero e proprio «rivolgimento dell’amore»: «il nobile si abbassa all’ignobile, il sano all’ammalato, il messia ai pubblicani ai peccatori e questo senza la paura antica di diventare meno nobili ma nella più strana convinzione di guadagnare l’eccelso, di divenire simili a Dio».

Un motivo assai intenso, svolto con efficacia anche da Barth: «L’uomo può dirsi senza Dio, può sentirsi ateo, ma Dio non può dirsi senza l’uomo perché Dio non è più senza l’uomo, rimane abbracciato, così coinvolto con l’umanità da appartenere ad essa». Quello cristiano è un Dio che, coprendo ogni persona con la sua luce e il suo calore, pone le basi di quel principio di solidarietà e di eguaglianza tra tutte le creature che diventerà poi un principio essenziale della filosofia e del pensiero politico moderni.

In conclusione: libertà, responsabilità, eguaglianza sono tutti concetti che hanno a che fare con l’esperienza cristiana e con la dottrina della Incarnazione, e perciò con il Natale. Sarebbe stolto negarlo o occultarlo; come sarebbe sciocco trascurare l’originalità e la creatività con cui il pensiero laico ha ripensato e sviluppato queste radici. La nostra comune civiltà nasce e fiorisce da semi differenti: ieri come oggi il nostro compito è riconoscerli e riaffermarli nella loro autonomia e specificità.


-  La fede cristiana si sviluppa intorno a un’idea di salvezza che è pienezza di umanità, nel mondo e col mondo.
-  La storia del Logos ne è paradigma
-  Un bimbo il Dio che rischia non è solo spirito
-  Il Natale è una memoria coinvolgente e pericolosa
-  Il cristianesimo non è una «religione civile»
-  È la compromissione radicale del divino con la storia dell’umanità che spinge i cristiani alla passione per la giustizia

di Serena Noceti (l’Unità, 24.12.2012)

In principio era il Logos, il Logos era presso Dio e il Lo gos era Dio... E il Logos divenne carne». Con la loro incisiva lapidarietà queste parole del Quarto Vangelo, che vengono proclamate nelle chiese ogni anno nella liturgia del Natale, consegnano a una prospettiva essenziale, davanti al profluvio di parole sulla solidarietà, la condivisione, la bontà con cui si offre la reinterpretazione del Natale in una società ormai secolarizzata e post-cristiana, ma sempre segnata nei tempi del vivere collettivo dalla sua tradizionale storia cattolica.

Sono parole che sintetizzano la coscienza di fede cristiana sulla ineliminabile relazione di Dio con il mondo, sulla sua compromissione radicale con la storia dell’umanità, e insieme vogliono esprimere una parola significativa sull’umano, a partire dalla concreta vicenda di Gesù di Nazareth.

Le parole del Vangelo di Giovanni sono parole che possono raggiungere nella loro paradossalità anche gli uomini e le donne credenti e non abitatori di questa tarda modernità, perché parlano di «divenire» e di «carne», di un definitivo (che non è l’assoluto) nel frammento di un esistenza singolare e limitata; perché hanno la capacità di interpellarci attraverso il tempo a riconsiderare in modo nuovo la nostra stessa storicità, dischiudendone orizzonti di senso e di resistente speranza. Quando la Bibbia ricorre al termine «carne», infatti, esprime l’essere umano integrale visto nella sua fragilità, nella debolezza, nella mortalità, nello stare in una rete di relazioni che qualificano l’identità singolare e nell’essere determinato e «de-finito» dallo spazio e dal tempo.

La fede cristiana si sviluppa intorno a un’idea di salvezza che è pienezza dell’umanità, nel mondo e con il mondo, di cui la storia del Logos incarnato è fondamento e paradigma. La progressiva tecnicizzazione del mondo e della vita, lo sviluppo rapido dei sistemi di comunicazione e di trasporto, l’evoluzione dei sistemi sociali stanno modificando in maniera sostanziale proprio la nostra percezione dello spazio e del tempo. «Com-presenti» al mondo intero e segnati da un egemonico presente che sembra presentarsi a noi già compiuto, pronto per essere consumato e abbandonato per fare spazio non al futuro, ma a nuovi presenti, siamo affascinati da una «possibile onnipotenza» e insieme sperimentiamo un inedito dis-orientamento: abbiamo smarrito il senso del tempo, di una storia collettiva che goda di radici che custodiscono identità in divenire, di una progettualità di futuro capace di una speranza che orienti le prassi dell’oggi.

L’annuncio cristiano ha al centro non una verità a-storica su Dio, ma la paradossale affermazione che mediatore di salvezza per l’umanità intera è l’uomo Gesù Cristo, nella singolarità della sua vicenda umana, data nello spazio e nel tempo: una biografia segnata dalla parzialità come ogni altra esistenza umana (a iniziare da quella di sesso), ma capace di interpretare

il «qui ed ora» nella permanente dinamica trasformativa del futuro. Davanti a quella volontà di potenza che ci fa perdere di vista la nostra condizione di fragilità il cristianesimo proclama non una verità a-storica sul divino e sulla trascendenza, ma il volto di Gesù di Nazareth. Nel Natale ricorda che, se contraddistingue l’umano (e il divino) lottare per ridurre ogni fragilità e vincere ogni alienazione, è proprio della maturità umana la coscienza che individuazione del senso, esercizio di libertà, crescita autentica sono connessi con il limite e il determinato.

Non «semplicemente» il «farsi uomo» di Dio, ma il «farsi carne» (sarx), lo sperimentarsi nella condizione spazio-temporale e nella storicità di un divenire libero e responsabile, per una salvezza che passa dall’impotenza della sarx di Gesù e quindi non impone, non vincola, ma si propone alla libertà di ognuno. È una proposta di fede che chiede di superare ogni concezione di un Dio «a-patico» e immutabile e ogni comprensione della verità che sia a-storicamente pensata, per aprirsi a una rivelazione di Dio nella storia e come storia, che comporta interpretazione e coscienza del relativo. Al di là del pittoresco e dell’aurea di innocente candore veicolata dai nostri presepi, il Natale è una memoria coinvolgente e pericolosa perché costringe ad abbandonare un’idea infantile di salvatore che, quale onnipotente e deresponsabilizzante Deus ex machina sceso nei contesti dolorosi della vita in cui si è sperimentato il limite del nostro possibile, viene a liberarci dalla finitudine dell’umano e dal rischio della libertà.

Fin dall’inizio del cristianesimo si è vigilato per mantenere la verità della «carne» di Gesù davanti alle ricorrenti tentazioni gnostiche, alle riduzioni spiritualizzanti o etiche della fede, al concentrarsi sulla natura divina di Cristo a detrimento della concretezza della sua persona umana. Anche oggi, in un tempo in cui è sempre più evidente la tentazione di risolvere l’esperienza cristiana nell’interiorità o in una spiritualità dedita a un sacro che semplifica e rifugge dalla complessità del mondo, mentre molti tentano di ri-ascrivere il cristianesimo a un destino di civil religion, la memoria del «Natale nella carne» si pone come interruzione necessaria per i cristiani affinché ritornino a declinare un annuncio significativo per tutti, perché ancorato all’effettività corporea di Gesù quale luogo dell’esserci di Dio, capace di ridisegnare il pensiero sull’umano e sul divino.


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