Giuseppe Dossetti, un problema storico
di Alberto Melloni (http://www.comune.re.it, 9 febbraio 2013) **
1. Giuseppe Dossetti - al quale con un gesto la cui nobiltà perdona il ritardo con cui dedichiamo questo luogo, che da oggi diventerà “il Dossetti” - è un personaggio storico lontano: per molti un nome, ricordato proprio perché quel nome resta e periodicamente ritorna come un fantasma, un mito, un’ossessione, una dossessione dice Galavotti. Comunque un problema storico.
Nato a Genova nel 1913, morto a Monteveglio nel 1996, potrebbe essere ormai studiato per quel che è stato nella storia, un politico, un riformatore, un produttore di cultura.
Dossetti fu un politico di vita attiva assai breve: resta in scena con pieno titolo solo sei-sette anni fra la Resistenza e l’inizio degli anni Cinquanta. In un tempo nel quale i cattolici non erano moderati. Perché quando lo erano stati avevano votato la fiducia a Mussolini in Italia col Partito popolare, ad Hitler in Germania col Zentrum: e in quel momento, nel roveto ardente della liberazione, avevano in mente ben altro che finire al guinzaglio di nuove illusioni conservatrici o autoritarie. Volevano una democrazia sostanziale, una società dominata dalla ricerca della giustizia sociale e strumenti democratici di democrazia, cosa che in italiano si chiama partito. E insieme, nello stesso gesto con lo stesso respiro, una chiesa segnata dalla trasparenza evangelica. Cose che richiedevano per lo meno una Costituzione. E forse un Concilio.
Dossetti è stato un riformatore, per tante cose un riformatore sconfitto. Padre di una Costituzione di cui deprecava la zoppìa della II parte, fondatore di avventure intellettuali e politiche che ha sovrastato con la sua visione del futuro. Perito del concilio Vaticano II, di cui pure sentiva le insufficienze. Cristiano, più precisamente “battezzato”, padre una “piccola famiglia” monastica nascosta fra l’appennino e la Palestina. Prete di una chiesa, quella di Bologna, quella italiana che dopo la rimozione di Lercaro, lo lascia andare in esilio in Medio Oriente dimenticandosi di lui. Eppure quest’uomo riformatore portatore del valore dell’utopia come utopia, lontano nella storia, ancora oggi fa discutere.
Dossetti lo si denigra, lo si dimentica, e potendo lo si rimuove. I reazionari ne fanno la caricatura: un cattocomunista, un pesce rosso che nuota nell’acqua santa, un integralista. Gianni Baget Bozzo, suo antico discepolo vi riconosce l’ostacolo che impedisce il dispiegarsi del disegno politico di rinascita nazionale di Forza Italia.
La chiesa italiana non riesce neppure da morto a dargli un posto, e a inserirlo nelle liste nelle quali, non senza qualche ipocrisia, mette La Pira o Lazzati, Sturzo e Toniolo, Bachelet o Moro. Perfino gli eredi delle tante scintille intellettuali e spirituali che ha seminato nella politica, nel diritto, nella ricerca, nella vita religiosa sono a mal partito con una personalità indocile a tutto, fuorché alla fede, che la vera eredità indivisa e indivisibile di questo personaggio.
E così si finisce per creare tanti piccoli Dossetti, sfocati, uno per la resistenza, uno per la Costituzione, uno per la Dc, uno per il monachesimo, uno per il concilio, uno per Palazzo d’Accursio e uno per Piazza del Gesù. Nessuno dei quali è vero per una ragione semplicissima: perché Giuseppe Dossetti è stato Dossetti proprio per essere stato tutte quelle cose lì in una volta sola, tutte insieme, con una intensità alimentata da una spiritualità antica e aspra, per tutta la vita: e lo è stato con la consapevolezza di un cristiano che voleva esserlo facendo la propria scelta “con tutte le sue forze”. Per questo comprendere Dossetti vuol dire cercare di cogliere l’insieme di que sta intensità che già egli evocava nel discorso dell’Archiginnasio.
2. Questa intensità si dispiega in tempi e storie precise, che di poco sbordano dal “secolo breve”, quello iniziato con la Grande Guerra e finito con la riunificazione della Germania. Dossetti nasce infatti nel 1913, ai tempi della Sagra della primavera di Strawinski, mentre infuria quella che Emilio Gentile chiama l’apocalisse della modernità: il delirio del bagno di sangue, del lavacro della violenza, che vede inerme una chiesa decerebrata dalla repressione antimodernista e una cultura che in tutti (con la sola eccezione di Sigmund Freud) attecchisce e fermenta il desiderio della violenza, di cui tornano anche oggi i sinistri rumori.
È giovane quando il cattolicesimo è filofascista. Studente modello a Bologna, cresce fra Cavriago e Reggio sotto l’influsso della madre e del radicalismo cristiano di don Dino Torreggiani, il prete degli zingari, dei carcerati, segnato dalla figura di don Angelo Spadoni, il vicario scomunicato dopo la guerra. La spiritualità oblativa resterà come un ordito di tutta la sua vita. Dossetti vuole che la sua esistenza sia "un olocausto", ha il desiderio non di farla passare, ma di consumarla, di spenderla per qualcosa, anzi per Qualcuno, in una serie di intrecci spirituali decifrati analiticamente da Galavotti nel primo dei due tomi ai quali ha lavorato con difficoltà non tutte dovute al soggetto dei suoi studi.
Ma Dossetti non è solo l’anima pia del bimbo rapito davanti alla sindone. È anche altro e lo si vede fin da giovane. Negli anni Trenta va a vivere a Milano, all’Università Cattolica del p. Agostino Gemelli, il socialista diventato francescano, scienziato, filofascista, vulcanica testa calda di una riconquista della società a partire dalle sue classi dirigenti, esaudito nel suo desiderio al punto che sessant’anni di classe dirigente cattolica, da Dossetti a Romano Prodi incluso, si formano ad una scuola che solo di recente ha perso questo rango.
Negli anni dei tribunali speciali, della guerra d’Africa, delle leggi razziali, questo giovane giurista che studia diritto romano e diritto canonico, lavora per il fondatore dell’Università, per ottenere da Roma l’approvazione dei nuovi "istituti secolari". In Cattolica diventa un virtuoso della sua materia, di cui sarà poi ordinario in questa Università di Modena insieme ad un altro grande del diritto come Amorth. Talmente bravo che Pio XII promulga i documenti (due dei pochi nei quali non intervengono i suoi fidati consulenti gesuiti tedeschi) di cui Dossetti è il redattore. Talmente fine nella sua materia da riuscire a piegare Paolo VI quando il progetto di una Lex ecclesiae fundamentalis all’inizio degli anni Settanta cade perché la sua critica severa convince migliaia di vescovi a mettere uno stop a quel disegno.
Il cavallo di razza della Cattolica, però non è solo un dotto minutante di diritto canonico: è un leader naturale. L’8 settembre 1943 quando lo Stato fascista si sgretola, Dossetti e altri giovani dotti destinati ad una Italia nazionalcattolica, si sono già svegliati alla democrazia, hanno iniziato a pensare al domani del paese. Pensare la resistenza intellettuale, poi quella politica, e infine aderendo a quella militare. Dossetti (lo racconta in una delle interviste agli studiosi di fscire.it che passerà martedì sera in tutt’Italia) gira per Milano con i volantini azionisti. A casa Cadoppi, proprio dietro questo Palazzo oggi a lui dedicato, rifiuta l’idea di un "partito cattolico", diventa capo partigiano della provincia di Reggio Emilia, dove i militanti comunisti hanno un peso enorme e la cui condotta dopo la liberazione costituisce una pleonastica vaccinazione ideologica di cui non farà vanto. Capo partigiano disarmato, Dossetti porterà qualcosa di quell’audacia in una vita politica che lui dice (è un vezzo che userà molte volte parlando di sé) inizia per caso. Piccioni e i vecchi popolari pensano possa essere un vicesegretario decorativo accanto a De Gasperi. Invece sprigionerà una creatività politica senza pari.
Diventa il leader cattolico della commissione che alla Costituente stende quella carta che sarà anche la più bella del mondo, ma che, come dimostra il pizzico di storicamente sfocato che c’era nella splendida lectio di Roberto Benigni, è anche una delle più ignorate del mondo.
Ha attorno a sé un gruppo di cui fanno parte La Pira, Lazzati, Mortati, Amorth, Fanfani, radunati in via della Chiesa Nuova. È l’autore dell’accordo che porta tutti i partiti di massa a riconoscersi nei principi della prima parte della Carta, inclusi quelli sui patti Lateranensi e sulla libertà religiosa. Nella DC è il capo della battaglia contro quel realismo che diventa immobilismo politico. Inventa strumenti economici, politiche, riviste e cenacoli - con l’idea che una democrazia "sostanziale" possa far sua le aspirazioni di giustizia sulle quali la sinistra socialcomunista guadagna i propri voti. Alla fine nel 1949-1951, paralizzato dalle "pressioni indicibili" della Santa Sede, decide di andarsene: perché senza una riforma della chiesa non ci sarà quella dello Stato.
Svanisce dietro la cortina fumogena costruita Rossena e non porta nessuno dalla vecchia vita alla nuova che inizia a Bologna, sua chiesa e sua città per tutto il resto della vita. Per molti che hanno letto la sua rivista Cronache sociali (uno per tutti don Milani), una diserzione; per altri un sollievo che farà franare (è il caso di Montini e di De Gasperi) un equilibrio politico nel quale Dossetti era essenziale. Per altri un abbandono o un passaggio che comunque aumenta la riverenza per un inesauribile fiuto politico e un rapporto con la Scrittura magnetico.
Per lui è il transito verso una vita diversa, di studio e di preghiera, che lentamente prenderà una forma monastica, o per essere pignoli come bisogna essere in quest’aula parlando di un maestro del diritto canonico, prenderà la non-forma di una reciproca immanen za fra fedeltà battesimale e vita sotto una regola, nella quale l’antico rifiuto della categoria dei “religiosi” degli anni Quaranta si esprime in categorie nuove.
Dal 1953 infatti, Dossetti va a vivere a Bologna. Fonda in via san Vitale un "centro" che unisce una comunità di ricerca e una di contemplazione presto destinate a prendere ciascuna la sua via. Quello che tutti chiamavano "Pippo" diventa il fondatore di uno dei maggiori centri di ricerca sulla storia religiosa, l’autore d’una regola monastica per la famiglia religiosa - e per essa viene ordinato prete diocesano da Giacomo Lercaro che ne è padre. Non è questo l’approdo della sua vita? Sì, ma è un approdo che porta ancora molte sorprese. A partire dallo shock del 1956.
Appena fatti i voti di obbedienza a Lercaro, il cardinale gli dà l’obbedienza di candidarsi a sindaco di Bologna, contro il Pci di Giuseppe Dozza. Un brivido che scomoda Togliatti, venuto da Roma per dargli del traditore, e che finisce in modo paradossale.
Dossetti ovviamente perde le elezioni amministrative. Ma convoca giovani professorini, come Beniamino Andreatta e il già noto Achille Ardigò, e scrive quel Libro bianco per Bologna, che diventerà il manuale di tutte le giunte rosse da lì in poi. E tuona per chiedere, dal banco di un consiglio comunale, la "persecuzione della ragion di Stato" durante l’invasione dell’Ungheria.
Poco dopo, il cardinale lo ha lasciato tornare alla vita orante, lo fa prete e gli affida il gioiello di Bologna, san Luca. Il 25 gennaio 1959 arriva inatteso l’annuncio del concilio Vaticano II, la nuova pentecoste voluta da papa Giovanni. Durante la preparazione Dossetti rimette in modo la sua officina di san Vitale 114 non per studiare i temi del concilio, coperti da segreto, ma per preparare un’edizione delle decisioni dei grandi concili della serie bellarminiana ma senza l’omissione di Costanza: un modo sofisticato per dire che il concilio apparteneva a quella tradizione millenaria e non all’orizzonte della condanne dei decenni precedenti. Ma nel concilio si realizza quel sogno che aveva coltivato negli studi, meditando una frase di Torquemada affiorata: "nel concilio non c’è più autorità che nel papa, ma c’è più grazia"
Poi il concilio inizia, anzi “si apre” e apre la chiesa. Lercaro, padre conciliare, chiama Dossetti a Roma nel novembre del 1962 come suo consultore. Dossetti torna a vivere in quell’indirizzo emblematico, via della Chiesa Nuova. E da lì farà ricorso ai vecchi amici giuristi come Mortati, ai giovani del centro di Bologna - come Pino Alberigo, Boris Ulianich e Paolo Prodi - ai grandi teologi del Vaticano II. E sarà protagonista di passaggi decisivi del concilio. Paolo VI adotta nel 1963 un nuovo regolamento del concilio che lui ha riformulato e poi lo nomina perito del Vaticano II. La costituzione dogmatica sulla chiesa Lumen Gentium si delinea con i voti orientativi da lui voluti, sul modello di ciò che aveva fatto in costituente.
Dossetti altri passaggi decisivi del Vaticano II: ma soprattutto vede nella riforma liturgica non un cambio di formule, ma il sogno realizzato di una chiesa eucaristica. Si inalbera quando il concilio non vota la condanna della deterrenza atomica e non canonizza in aula papa Giovanni, padre e maestro della sua nuova vita.
Per molti riformatori un concilio nella vita basta e avanza: è così anche per Dossetti? No: dal 1966, tornato a Bologna, lancia il progetto di una complessa riforma dell’arcidiocesi, diventa provicario, rischia di succedere al cardinal Lercaro nella cattedra e nella porpora.
Ma non sarà così. Non solo perché il papa decide di nominare a Bologna Antonio Poma come coadiutore con diritto di successione. Ma perché nel gennaio del 1968 a Bologna capita qualcosa che non si vedeva da secoli. Lercaro, con una collaborazione di Dossetti, lavora all’omelia del 1° gennaio 1968, prima giornata mondiale della pace. Era la festa che, nei sogni di Paolo VI avrebbe dovuto sancire una tregua mediata da lui in Vietnam: la tregua non ci fu, continuarono i bombardamenti sui civili e Lercaro, anziché usare il registro degli auspici, condannò i bombardamenti sul Vietnam in nome di Dio. E condannare bombe americane "in nome di Dio" è un caso internazionale che innesca una reazione a catena dove tutto - l’affaire di Avvenire, il messale, il Pci - si fonde in una rottura esplosiva: Paolo VI rimuove Lercaro dalla sua cattedra: uno shock senza precedenti, che cambia la vita di Dossetti e lo priva, dopo quattordici anni del padre, a ridosso della morte della madre che aveva voluto nella propria famiglia monastica.
Lercaro si sottomette a questa con “abbandono” e con una obbedienza soprannaturale sarà anche quella di Dossetti: che inizia un viaggio in Oriente, e poi, dopo l’udienza di Nixon atterrato con un elicottero da guerra in piazza san Pietro, si eclissa. Dall’Oriente a Monteveglio, da Gerusalemme a Gerico questo staretz cercato e temuto si sottrae a ogni impegno pubblico, fino alla morte di Poma, l’arcivescovo di Bologna che aveva sostituito Lercaro. Ma pur senza apparire è presente in momenti cruciali della chiesa e della storia. [...]
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