-***seconda parte
Come dicevo poco fa si batte contro la Lex ecclesiae fundamentalis che voleva dare alla chiesa una costituzione che, per quanto simile a quella delle democrazie liberali, ne avrebbe inquinato la fisionomia di comunione: si batte con un’azione di disseminazione che persuade l’episcopato cattolico e convince Roma - sarà un maestro come Eugenio Corecco l’artificiere ultimo di questa operazione delicatissima - a rimettere tutto entro la sistematica codiciale.
Nel 1978 è in Italia e attivo durante il rapimento di un suo antico amico Aldo Moro con una serie di iniziative e rivolte a vari leader politici e con una lettera alle Br che Giovanni Moro avrebbe dovuto ritirare la mattina della lettera di Paolo VI, quella che diceva “senza condizioni”.
Nel 1980 scrive a Menachem Begin una severa lettera teologica quando, durante l’occupazione israeliana di Beirut, i miliziani cristiani perpetrano quell’immane eccidio a Sabra e Chatila, di cui egli addossa la responsabilità morale ultima a Tshaal: episodio e lettera dopo le quali Begin si ritirerà dalla vita pubblica.
Nel 1982 assiste un cattolico come Beniamino Andreatta quando questi chiama in causa il papa in persona durante il discorso al parlamento che scoperchia lo scandalo dell’Ambrosiano/Ior e che salva la chiesa da un marasma dalle conseguenze incalcolabili.
Riprende la parola in modo pubblico solo nel 1986 con un profilo che per alcuni è tutto ciò che resta di uno statista diventato un monaco anziano e malato. Eppure l’idea di Dossetti che, se si posa una cultura profonda su una vita integra si riesce a capire meglio il futuro continua a sbalordire.
Come quando ad ottobre del 1990 scrive in un articolo apparso anonimo che sta per accadere nel mondo dopo l’operazione Desert Storm e spiega le conseguenze di quella che molti considerano la più classica delle guerre giuste. Dossetti teme che quell’alleanza internazionale non costituisca agli occhi delle masse diseredate dei Sunniti un titolo di legittimità, ma un ricordo delle crociate di cui il fondamentalismo ha bisogno.
Ripeto: 1990. Non per profezia: ma per rigore intellettuale.
Questa stessa lungimiranza lo riattiva anche politicamente all’indomani della vittoria elettorale di Silvio Berlusconi del 1994: quando si schiera in difesa della costituzione promuovendo una fitta rete di comitati non per trattare la carta da feticcio di una nostalgia di vecchi partigiani, ma per un giudizio ancora una volta sulla chiesa.
È la primavera del 1994. Così, con una tonaca addosso, diventa ancora una antenna politica di prima grandezza e guida un patriottismo costituzionale che, dopo la sua morte, il 15 dicembre 1996, farà valere le sue ragioni. Una sospensione emergenziale della vita monastica? l’inveramento di una vita politica nella spesa exhinanente di sé? Di fatto un’attenzione spirituale alla storia cosa che è sempre rimasta viva in Dossetti, quel muoversi tra i massimi sistemi, la chiesa e lo Stato.
3. E che come ciascuna delle altre, a qualcuno fa problema: perché Dossetti continua ad esserlo un problema (da rimuovere) per ciò che questo percorso di cristiano e di uomo significa. Chi ha avuto e ha paura della forza della sua proposta politica immagina che "facendosi prete" abbia dimostrato il carattere astratto o utopico del suo pensiero. Chi ha avuto e ha paura della visione della chiesa come comunità convocata dal dono lo dipinge come un uomo che è vero solo quando sta in silenzio. Ma Dossetti è ciò che è per la sua capacità di produrre rigore e cultura.
Una cultura il cui pregio non era quello di veder nero (altri vedevano più nero di lui), ma di vedere il vuoto che si apre quando la chiesa non accompagna il cambiamento dei paradigmi di civiltà con una risposta di fede che per Dossetti mancava, con esiti che l’unico suo libro di teologia sulla Shoah scava a fondo. In parte compensata da un "eccesso di fede" che vorrebbe fosse il modo proprio suo e della sua famiglia di compensare il semipelagianesimo dell’attivismo cattolico, la dissipazione delle energie spirituali, la mancanza di fede operante che tocca tutti, anche la gerarchia: una compensazione microcosmica dell’attivismo che si accontenta della presenza per la presenza, quella che è il danno che la chiesa fa a sé (e indirettamente, ma non inefficacemente allo Stato) e della quale il concilio - con i nodi dei poteri teologicamente partecipabili e della povertà di Cristo come povertà di impianti filosofici - è il paragone.
4. Se nella chiesa Dossetti inquieta per la sua fedeltà teologica al concilio come atto di confessione di una chiesa eucaristica e di una cristologia del nudus nudum Christum sequi, sul piano politico quel che fa problema è il suo giudizio sul fascismo come dato permanente della storia italiana.
Dossetti mutua da Gobetti l’idea del fascismo come autobiografia della nazione: ma non solo sul piano storiografico o sul piano della coscienza del cattolicesimo democratico (quello che non perdona i popolari italiani e i centristi tedeschi), ma proprio come dato permanente, che si ripropone.
È questa la radice teologica del suo patriottismo costituzionale. Quello che Dossetti fiuta e rifiuta nel 1994 è la tentazione di liberarsi dalla coscienza della guerra che i costituenti portavano con sé in un agnosticismo costituzionale della chiesa italiana che ricordava l’altra grande “mancanza al proprio compito” della chiesa.
Se Dossetti rimane un inciampo e un ingombro, se non si riesce a caramellarlo, se non si riesce
a farne democristiano prestato all’ascesi o viceversa è per questo vigore culturale. Che
non viene solo da un abitudine al rigore dello studio ma dalla Bibbia, indossata come la
povertà sanante della cultura religiosa. La bibbia che "raschia il cervello" e che
plasma l’intelligenza degli eventi e genera una “povertà” necessaria: perché (è una
polemica del 1966):
Pretendere che un valore culturale qualunque (anche se di grande dimensione e profondità
come potrebbe essere il diritto romano o la metafisica aristotelica) sia universalmente
valido equivarrebbe a scomunicare dall’umanità tutti quelli che non accettassero o
potessero comprendere e assimilare quel valore.
Dossetti per questo non cerca l’autoriforma dell’eremita, ma un monachesimo che sa che ogni cristiano ha bisogno della chiesa: e che la riforma della chiesa serve perché chi ne ha sete la trovi, in un momento nel quale si esauriscono le culture e non c’è (non c’è) un pensiero cristiano o non cristiano che non sia il mero rabberciamento di rottami ideali o ideologici. Questo spiega l’ostilità verso un uomo di un secolo. Il fascino di un uomo di un secolo fa che di quel secolo - come disse nel suo ultimo corso Pino Alberigo - fu la coscienza.
* FONTE. FINESETTIMANA.ORG