Romero santo, l’occasione della Chiesa di Francesco
di Tommaso Giuntella (l’Unità, 24 marzo 2013)
Quando lo scorso 13 marzo papa Francesco si è affacciato dalla loggia di san Pietro e con il suo accento latinoamericano ha parlato di «cammino tra vescovo e popolo, popolo e vescovo», il pensiero di molti è corso all’immagine di un altro vescovo sudamericano. Un vescovo che ascoltò il popolo facendosene pastore e guidandolo fino al martirio in suo nome. E così, mentre si rincorrevano voci entusiaste sull’origine del nuovo Papa, sull’ordine di provenienza e sul nome scelto, si è diffusa una convinzione:«È la volta buona, finalmente avremo San Romero d’America».
Perché, anche se il suo processo di beatificazione è rimasto sepolto nelle scrivanie per troppi anni, Romero è già «San Romero de América» per quel popolo che continua a camminare dietro il suo esempio. Del resto l’aveva detto Romero stesso 8 giorni prima di morire «Se uccidono me, resterà sempre il popolo, il mio popolo. Un popolo non lo si può ammazzare». Vescovo e popolo, popolo e vescovo...
Oggi ricorrono trentatre anni da quel 24 marzo 1980, quando l’arcivescovo di San Salvador fu assassinato con un colpo di fucile mentre celebrava la Messa. La sua scelta radicale al fianco dei poveri, dei contadini e degli oppressi contro la dittatura e lo sfruttamento dei latifondisti di El Salvador, era diventata scomoda.
Romero veniva da una formazione tradizionalista, si riteneva un conservatore, ma appena mise i piedi nel fango della sua prima missione da vescovo, nel 1974 a Santiago de Maria, sperimentò la radicalità del Vangelo e della scelta preferenziale per i poveri di fronte allo scandalo di un sistema di potere oppressivo e di sfruttamento violento.
Nel 1977 Romero fu nominato vescovo della capitale, San Salvador, dove il suo amico gesuita - a proposito di gesuiti in America Latina - Rutilio Grande organizzava comunità nelle quali iniziava a prendere forma la coscienza e la speranza dei campesinos, di un popolo schiacciato dalla dittatura.
Le omelie di Padre Rutilio Grande divennero presto un problema per i paramilitari. E Rutilio Grande fu ferocemente assassinato il 12 marzo 1977, meno di 20 giorni dopo la nomina del vescovo. Per il vescovo fu il momento della svolta. Dichiarò che non avrebbe più partecipato ad alcuna cerimonia pubblica con esponenti del governo fin quando non si fosse fatta un’inchiesta sull’omicidio.
Romero gridò al mondo che la missione di Rutilio Grande sulla cui strada anche lui avrebbe continuato era di rendere i poveri contadini e lavoratori «consapevoli della loro dignità di persone, dei loro diritti fondamentali, uno sforzo globale verso lo sviluppo umano». Uno sforzo che per il vescovo era «in linea con il Concilio non è certamente gradito a tutti, perché risveglia la coscienza del popolo».
Ecco, Romero scelse il Vangelo nella sua semplice radicalità e capì che la Chiesa doveva riprendere il suo posto nella storia secondo la parola di Isaia (58, 6-7) «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo?» e come ricordava un altro gesuita, Luis Espinal, ucciso in Bolivia due giorni prima di Romero, il 22 marzo 1980, «in un sistema di ingiustizia, non è possibile la neutralità. Ogni opzione è politica. Perciò la Chiesa fa politica, sia quando parla che quando tace»...«E soprattutto, fa che non ci abituiamo a vedere le ingiustizie, senza che divampi in noi l’ira e la volontà di agire».
Anche Romero, come Papa Francesco, scelse di abitare in una piccola stanza nella sagrestia della cappella di un Ospedale e si oppose alla costruzione di una sede arcivescovile. Scelse la via del «non conformismo cristiano», come lo chiama Enzo Bianchi, indicata dal nuovo Pontefice il 22 marzo scorso ai diplomatici: «La povertà non è solo nelle bidonville ... è la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi (...) Non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti».
In un tempo che ha bisogno di segni profetici, la Chiesa colga questa occasione per allontanare i mercanti dal tempio e tornare a prendere le parti dei più deboli. Come nell’aereoporto di San Salvador, tanti murales sono sparsi tra il Messico e la Terra del Fuoco da un popolo che ha già canonizzato il suo San Romero de America e aspetta che, ancora una volta, lo stanco sguardo dell’occidente si accorga di dov’è andato il mondo.