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L’EUROPA, IL CRISTIANESIMO ("DEUS CHARITAS EST"), E IL CATTOLICESIMO COSTANTINIANO ("DEUS CARITAS EST").Una storia di lunga durata...

MURATORI, BENEDETTO XVI, E "UNO SPROPOSITO MAIUSCOLO": LA LEZIONE DI VICO. Un breve testo dalla "Prefazione ai lettori" del "Trattato sulla carità cristiana" di Ludovico A. Muratori - a c. di Federico La Sala

MURATORI E RATZINGER. "DEUS CARITAS EST": FINE DEL CRISTIANESIMO. TOLTA AL PESCE ("I.CH.TH.U.S.") L’ ACCA ("H"), IL COLPO ("ICTUS") E’ DEFINITIVO!!!
sabato 11 luglio 2015
"Solo la carità cristiana insegna la prassi del Bene metafisico"("Boni metaphysici praxim una charitas christiana docet"). G.B. Vico, De constantia iurisprudentis, 1721.
DUE PAPI IN PREGHIERA: MA CHI PREGANO?!

STORIA E STORIOGRAFIA. Nel 1723, a Napoli, Giambattista Vico già lavora alacremente alla "Scienza Nuova"; per lui, è più che chiaro: "charus" e "charitas" derivano etimologicamente dai termini greci "charìeis" e "charis", e il significato (...)

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> Un breve testo dalla "Prefazione ai lettori" del "Trattato sulla carità cristiana" di Ludovico A. Muratori --- Atti della Giornata di studio dal titolo "Muratori tra storia e religione" (di Fabio Marri - Intervista/Letture).

martedì 8 marzo 2022

“Muratori tra storia e religione” a cura di Fabio Marri *

Prof. Fabio Marri, Lei ha curato l’edizione degli Atti della Giornata di studio dal titolo Muratori tra storia e religione, pubblicati da Olschki: quale importanza riveste la ricerca storica di Lodovico Antonio Muratori?

Muratori tra storia e religione, Fabio MarriLa fama di Muratori come “padre della storia” (definizione universalmente accettata, anche se più prudentemente si potrebbe limitarla alla storia medievale, davvero una sua ‘invenzione’) viene confermata ogni volta che si rileggono le sue opere e, volendo, si va a vedere anche come nacquero e si svilupparono. Operazione che noi del Centro Studi Muratoriani stiamo cercando di facilitare con la graduale pubblicazione del suo immenso epistolario condotto coi principali eruditi d’Europa ma anche con tantissimi italiani, il meglio della cultura del suo tempo. Da queste lettere (e, volendo approfondire, dai manoscritti e dalle successive redazioni delle opere), appare sempre più chiaro l’accertamento scrupoloso dei documenti alla base di qualsiasi ricerca, e la volontà del Muratori di risalire sempre alla prima origine di ogni fatto, anche a lui contemporaneo.

A 350 anni dalla morte, Muratori è ancora attuale?

Rispondere genericamente di sì, quasi chiedendo un atto di fede nell’interlocutore, sarebbe comodo. Si potrebbe, semmai, parafrasare quella celebre pagina di De Sanctis su Machiavelli, che si interrogava su “ciò che è vivo e ciò che è morto” nel suo autore, concludendo che Machiavelli, aldilà delle contingenze storico-politiche irrimediabilmente mutate, è “un punto di partenza nella storia, destinato a svilupparsi”. Muratori è un altro gigante, sulle cui spalle issandosi altri successivi hanno potuto vedere più in là, ma beninteso seguendo il suo metodo e (ammesso che sia possibile) la sua probità scientifica e umana. Uno dei più grandi studiosi del Muratori del secolo scorso, Fiorenzo Forti, scrisse a proposito delle Antiquitates italicae Medii Aevi (forse il suo capolavoro, in 6 volumi di grande formato) che, per ciascuno dei 75 argomenti trattati, esistono oggi studi più recenti e aggiornati, ma nessuno che possa fare a meno delle acquisizioni muratoriane. E anche laddove Muratori si occupa di argomenti sulla base di conoscenze ormai superate e improponibili (come la prevenzione e cura della peste, in un libro scritto nel 1714 e all’epoca richiestissimo), prescrive cose con cui abbiamo dovuto fare i conti anche adesso: mascherine o protezioni similari delle vie respiratorie, disinfezione frequente (si capisce, coi mezzi di allora, aceto, fumigazioni e simili), isolamento e sorveglianza di chi fosse stato in contatto con appestati, distanziamento di sicurezza, aerazione... Un prete cattolico come lui, in epoca controriformistica, giunse ad autorizzare che le messe, anche quella solenne di Natale, in casi di epidemie fossero dette a porte chiuse!

      • Approfitto della ricorrenza che lei ha citato per anticipare che il 21 ottobre prossimo, giorno di nascita del Muratori, progettiamo insieme al comune di Vignola di allestire un evento celebrativo e di studio nella sua città natale. Il 21 ottobre del 2020 avevamo programmato il convegno (poi spostato in avanti di una decina di giorni, per una nuova recrudescenza del Covid) i cui atti stiamo commentando adesso.

Come interpretò Muratori la propria vocazione religiosa?

Senza venire mai meno alla fede (nell’ultima sua lettera, scritta all’amico-rivale Scipione Maffei venti giorni prima di morire, ribadì che “le Sacre Scritture” continuavano da sempre a guidare il suo agire), e corroborando questa fede con una forte spinta operativa, caritativa, di impegno verso i deboli e disagiati, si diede fin dai primi studi a promuovere un adeguamento del cattolicesimo romano alle nuove istanze di razionalità che venivano dall’Europa più evoluta, e dallo stesso pensiero giansenistico e luterano, evangelico insomma, col quale non ebbe paura di confrontarsi. Messo sotto accusa dalla parte più retriva della curia papale, ad esempio per i limiti posti al potere temporale della Chiesa e al godimento delle entrate ecclesiastiche, per la lotta alle superstizioni religiose, per la richiesta di una messa in volgare, per la riduzione delle feste di precetto, e altre cose che furono viste come concessioni al protestantesimo, trovò per fortuna, nell’ultima parte della sua vita, un papa, Benedetto XIV, che si professava suo allievo e lo difese dalle richieste di scomunica o proibizione dei suoi scritti.
-  Il vero cristiano, sosteneva Muratori, è chi preferisce l’esercizio della carità verso il prossimo al culto esteriore e rituale, farisaico. E ne diede l’esempio lui stesso, quando a 44 anni rinunciò a facili stipendi e onori come ministro estense chiedendo di essere assegnato a una delle parrocchie e dei quartieri più problematici della città, e divenendo dunque, come fu chiamato da allora, il “prevosto della Pomposa” (chiesa che ricostruì anche con le sue mani, oltre che vendendo una collana d’oro ricevuta dall’imperatore, e ‘tassando’ i ricchi della zona).

Nel capitolo XXXII de I promessi sposi, Manzoni cita Muratori a proposito della credenza sugli untori nella peste di Milano del 1630: che valore hanno le parole di Muratori in quel contesto?

Argomento dibattuto dai critici, sia in questo volume (da Caterina Bonasegla, una docente di liceo che ha lavorato sul tema coi suoi scolari) sia in precedenti occasioni, almeno da un convegno del 1989 dove se ne occupò Alfredo Cottignoli, manzonista e muratorista insieme. È innegabile che Muratori, nella sua ansia di completezza bibliografica, dia spazio anche alle numerose testimonianze avvaloranti il fenomeno delle unzioni (come dà spazio ai rimedi più strampalati messi in atto contro la peste, per non lasciare niente di intentato, sia pure spesso esprimendo le sue riserve); ma a loro contrappone argomenti contrari, e soprattutto contesta la ‘sincerità’ delle confessioni rilasciate sotto tortura. Manzoni (soprattutto nella Storia della colonna infame, aggiunta ai Promessi sposi nel 1840) gli rimprovera il suo dare un colpo al cerchio e una alla botte, il non condannare recisamente l’opinione delle unzioni, ma lasciar solo capire il suo dissenso; è stato però osservato come Manzoni leggesse il Governo della peste dalla prima edizione del 1714 e non da quella ritoccata del 1722, dove la condanna è più netta sebbene non ancora assoluta: come apparirà anche da un’opera muratoriana molto più tarda, la Forza della fantasia umana, dove le presunte unzioni (allo stesso modo della stregoneria) sono citate come possibili prodotti di menti turbate o esaltate. Un secolo di illuminismo e di scienza medica giocano a favore di Manzoni, che però nel caso di Muratori pecca forse di anacronismo e antistoricismo: ma anche Manzoni sa e dice (o fa dire ai monatti) che c’era gente che ungeva le case altrui convinta di propagare la peste; d’altronde, il cospargere l’ambiente di materiali biologici contaminati anche oggi è ritenuto fonte di estensione del contagio.

Che rapporto ebbe il Muratori coi classici latini e greci?

Nella sua lettera-confessione mandata nel 1721 al conte Artico di Porcìa che ne avrebbe voluto pubblicare la biografia, ammette la primitiva infatuazione per la classicità romana, ma poi la scoperta del “bello” che si annidava anche tra la presunta “barbarie” medievale, donde la definitiva vocazione di medievista. Ma Roma e la sua storia rimasero sempre oggetto di studio, tant’è vero che Muratori pubblicò, quasi contemporaneamente alla sua opera maggiore sul medioevo, anche la più completa raccolta di iscrizioni latine allora esistente (superata solo da quelle del tardo Ottocento).
-  In lingua greca si perfezionò da autodidatta, come mostra in questo volume il saggio di Gabriele Burzacchini Muratori ‘grecista’ alle prime armi: e non dimentichiamo che le primissime pubblicazioni in volume, stampate dai suoi 25 ai 37 anni, consistettero nell’edizione di scritti sconosciuti del poeta latino Paolino di Nola e del greco Gregorio Nazianzeno; ma anche le Antiquitates medievali saranno intrise di sapienza classica (cito solo le riflessioni sulla variabilità delle lingue vive, appoggiate sull’Ars poetica di Orazio, su Varrone, Cicerone e altri, poi sulla storia delle lingue, e del latino in particolare, nelle dissertazioni sull’origine della lingua e della poesia italiana).
-  La sua opera storica conclusiva, infine, gli Annali d’Italia, parte dal primo anno dell’era volgare abbracciando dunque tutto il periodo romano imperiale. Aggiungo che la lingua latina era ancora il veicolo principale della diffusione internazionale della cultura: in latino Muratori corrisponde coi grandi eruditi del nord-Europa (ad esempio la famiglia Mencke di Lipsia, titolare degli Acta eruditorum, rivista latina stampata fino al tardo Settecento e che ospitò anche “estratti” muratoriani), e in latino scrive le introduzioni ai Rerum Italicarum scriptores (una rivoluzionaria raccolta di cronache medievali inedite, tuttora per gran parte insuperata, essendo morto il progetto di nuova edizione avviato da Carducci nel 1900). Sono in latino anche le Antiquitates, sebbene Muratori sul finire della sua vita decidesse di volgarizzarle per metterle a disposizione di tutti, creando così le Dissertazioni sopra le antichità italiane stampate poco dopo la sua morte.

Quale incidenza esercitarono, nell’arco del Settecento, le sue opere filosofiche?

Ai tempi muratoriani, il concetto di “filosofia” era molto più ampio di quello, restrittivo, in auge dall’idealismo in poi. “Filosofo” era (per piluccare solo tra i corrispondenti del Muratori) non solo Leibniz, ma anche il suo rivale Newton; non solo Vico, ma anche l’altro napoletano Antonio Genovesi, che oggi consideriamo piuttosto un economista; come era filosofo Montesquieu, che venne a Modena nel 1729 appositamente per conoscere Muratori. Rientrano certamente nel campo della filosofia, come la intendiamo oggi, le opere muratoriane di “filosofia morale” (1713-1735), in cui Vico vide il tentativo di dimostrare razionalmente la dottrina cristiana, e le opere del 1745 che indagavano (partendo dalla speculazione dei sensisti inglesi, che impressionò molto Muratori) la psiche umana. Ma anche la sua estetica, espressa in opere giovanili (composte intorno ai trent’anni), gli garantì ampia eco in Europa, al punto che ancora a distanza di decenni c’erano stranieri che gli scrivevano chiedendogli una “censura” (come si diceva allora), una revisione delle proprie produzioni poetiche ancora a stampare. Questi fatti gli assicurano una posizione di qualche rilievo nella storia della filosofia italiana ed europea, come è stato rilevato da vari studiosi soprattutto in occasione delle celebrazioni centenarie del 1972, e anche a principio del nostro millennio con l’inclusione di Muratori in un monumentale Grundriss der Geschichte der Philosophie stampato a Basilea nel 2011. Ma soprattutto, di Muratori restano essenziali la “filosofia della storia”, non enunciata teoricamente ma varata nei fatti con le opere e col metodo cui tuttora ci ispiriamo, e quella che potremmo chiamare filosofia politica-religiosa, tendente a fare entrare nella modernità gli ordinamenti statuale ed ecclesiastico d’ancien régime: la Pubblica felicità, uscita nel 1749, rimane una delle più alte realizzazioni del nostro pensiero (pre-)illuministico.

Quale enorme valore possiede il Carteggio muratoriano?

La sua importanza, per la storia della cultura nazionale, è stata sancita ai massimi livelli con un Decreto Presidenziale del 1970 che ne ha istituito l’Edizione Nazionale, avviata concretamente nel 1975 e di cui siamo arrivati al venticinquesimo volume (poco più della metà rispetto al programmato: si tratta di volumi dalle dimensioni medie di 500 pagine). Fino a quel momento, conoscevamo (abbastanza) bene le lettere di Muratori, pubblicate ai primi del Novecento, ma erano in gran parte ignote le lettere dei corrispondenti, che completavano il colloquio. Grazie ai carteggi siamo informati non solo sulle vicende biografiche degli autori, ma anche sulla minuta cronaca degli avvenimenti dell’epoca (guerre, trattative diplomatiche, questioni dinastiche, epidemie); e - direi soprattutto - veniamo a conoscere la genesi e lo sviluppo delle pubblicazioni muratoriane, la raccolta di documenti che ne costituiva l’ossatura, le rielaborazioni che potevano andare dal cambiamento del titolo (dunque anche dell’oggetto trattato) alle correzioni linguistiche, fino al sacrificio di una parte che non soddisfaceva più o che sembrava meglio opportuna in un altro libro.
-  Solo dall’edizione del carteggio con Leibniz (stampata nel 2020) abbiamo conosciuto due lunghi saggi latini di Muratori, che anticipavano le Antichità estensi e italiane del 1717, ma per ragioni di opportunità politica non vennero stampati nella loro interezza; e solo dal carteggio con l’austriaco Gottfried Philipp Spannagel (di stanza in Italia con incarichi diplomatici e sotto falso nome) siamo riusciti a ricostruire una intricata vicenda familiare che coinvolse il futuro governatore della Lombardia Giovan Luca Pallavicini tirando in ballo buona parte degli esperti di “scienza cavalleresca” italiani, dall’Orsi al Maffei, chiamati a raccolta da Muratori.
-  Ho citato sopra il Governo della peste, opera cominciata nel 1712-13 quasi come suggerimento urgente alle autorità, in difesa preventiva dalle minacce epidemiche che si addensavano sul Modenese, stampata nel 1714 ma poi rielaborata anche attraverso il colloquio coi grandi naturalisti amici del Muratori (uno su tutti, il suddito estense Antonio Vallisnieri, docente a Padova). Grazie a loro prende piede, soprattutto nell’ultima edizione vigilata dall’autore del 1722, la teoria che allora si diceva dei “vermicciuoli”, cioè dei microorganismi invisibili che sarebbero stati alla base del contagio. Teoria cui Muratori riserva uno spazio crescente, tuttavia non nascondendo riserve: e lo stesso Vallisnieri (il suo carteggio è fortunatamente già disponibile da qualche decennio), sia pure propendendo per la teoria poi risultata vincente ma non dimostrabile con gli strumenti dell’epoca, riconosce a Muratori di aver esposto nel suo trattato quanto di meglio era allora a disposizione della medicina: e l’opera ebbe ristampe sino al 1838, dunque - come si diceva sopra - in età pienamente ‘manzoniana’.

Il Carteggio muratoriano è già, allo stadio in cui si trova, documento e ‘monumento’: sarebbe auspicabile che venisse completato in breve giro di anni, ma per far questo, e soprattutto per farlo bene (come la comunità scientifica riconosce al già edito), occorrerebbero mezzi finanziari e risorse umane sempre più difficili da trovare, da parte di un’associazione fondata esclusivamente sul volontariato come è il nostro Centro di Studi Muratoriani.

Fabio Marri (1950), fino al 2020 professore ordinario di Linguistica italiana all’università di Bologna, dopo essere stato anche incaricato d’insegnamento all’università di Dresda, dal 2003 è presidente del Centro di Studi Muratoriani. In campo storico-linguistico si è occupato di letteratura milanese dei primi secoli, di scrittori nei dialetti e nell’italiano regionale emiliano-romagnolo (Lingue di terra, 2007), di linguaggio informatico, giornalistico, sportivo, e da ultimo di Lingua e burocrazia alla prova del Covid (2020-2022). In campo muratoriano, ha curato di persona l’edizione di un vocabolario dialettale modenese supervisionato da Muratori (1984), tre volumi di carteggio (1999, 2003, 2014), e gli Atti del convegno del 2020 di cui si discute in questa sede.

* Fonte: Letture.org


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