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VICO CON NEWTON: "NON INVENTO IPOTESI"! E CON SHAFTESBURY, CON LA "TAVOLA DELLE COSE CIVILI"!

VICO, PENSATORE EUROPEO. Teoria e pratica della "Scienza Nuova". Note per una rilettura (pdf, scaricabile) - di Federico La Sala

(...) al di là della contrapposizione della storia sacra e profana, rivelata e ragionata, e al di là dello “stato di minorità” - senza cadute in uno stato di super-io-rità!
sabato 6 gennaio 2024
C’era un lord in Lucania.... *
Se pochi filosofi e letterati sanno dell’omaggio di Ugo Foscolo al filosofo delle “nozze e tribunali ed are” (“Dei sepolcri”, v. 91), moltissimi “addottrinati” ignorano ancora e del tutto che Vico per circa nove anni decisivi per la sua vita ha abitato a Vatolla, nell’antica Lucania (in particolare, nell’attuale Cilento, a poca distanza dall’antica Elea-Velia, Ascea, Paestum, Palinuro, Agropoli) e, al contempo, che James (...)

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> RILEGGERE VICO. Teoria e pratica della "Scienza Nuova". --- Per un’«etica dell’argomentazione», a tutti i livelli (di Alessandro Pagnini - Come si individua la pseudoscienza) .

mercoledì 15 gennaio 2014

Il problema della demarcazione

Come si individua la pseudoscienza

di Alessandro Pagnini (Il Sole 24 Ore/Domenica, 12.01.2014)

      • Massimo Pigliucci & Maarten Boudry (eds.), Philosophy of Pseudoscience. Reconsidering the Demarcation Problem, Chicago, University of Chicago Press, pagg. 470, £ 24.50.
      • Silvano Fuso, La falsa scienza, Roma, Carocci, pagg. 302, € 21,00.

Stamina è un caso di "pseudoscienza", di "cattiva scienza" o di "falsa scienza con frode"? Nel nostro modo comune di affrontare certi problemi di plausibilità scientifica o di efficacia terapeutica non ci preoccupiamo gran che delle differenze e delle definizioni. Tuttavia un conto è sostenere il Disegno Intelligente rappresentando disonestamente come fallace la teoria dell’evoluzione solo perché si vuole impedire che un’educazione scientifica possa progressivamente sostituire un’educazione religiosa (che fa di certe spiegazioni ultime e di certi "misteri" la sua ragione); un conto è difendere una cura omeopatica credendo davvero nella sua efficacia; un altro ancora è lucrare sulla dabbenaggine e la disperazione della gente contrabbandando per scienza un’illusione.

Eppure se dovessimo dire quale dei casi citati è socialmente meno dannoso, soprattutto dopo aver riflettuto sulla ricca e documentata rassegna di esempi storici di "falsa scienza" che Silvano Fuso ci racconta, forse dovremmo dire il primo. Perché il Disegno Intelligente lo si può trattare a tavolino, magari con in mano qualche libro di supporto alle nostre argomentazioni; mentre gli altri costano: costano risorse economiche (per controlli alla fine inutili), costano tempo (e il tempo può a sua volta costare salute e vite umane), e soprattutto costano perché insinuano in menti deboli e ignoranti il tarlo dello scetticismo e della sfiducia nella scienza.

Ecco perché, da Hume in poi, i filosofi moderni hanno considerato importante quello che Popper battezzò come "problema della demarcazione". Finché però, nell’83, un saggio del filosofo e storico della scienza Larry Laudan ne decretò la "demise", ritenendolo uno "pseudoproblema" che nulla aggiunge, se non per una sua valenza emotiva e retorica, al problema della distinzione «tra una conoscenza affidabile e una conoscenza non affidabile», o ai tradizionali problemi relativi al controllo empirico di una ipotesi.

Oggi, a distanza di trent’anni, a dispetto della sua fortuna (qualcuno, non a caso di vocazione religiosa, lo ha addirittura considerato «uno dei saggi più importanti nella filosofia della scienza del XX secolo»), i contenuti del saggio di Laudan appaiono poco convincenti, talvolta concettualmente confusi, e i suoi argomenti, come anche le sue sinossi storiche, tutt’altro che incontestabili. Meno ancora appare accettabile il verdetto con cui esso liquida come inutile o fuorviante un interesse epistemologico sulla demarcazione. Lo si evince dalla raccolta di saggi curata da Pigliucci e Boudry che si concentra sul problema particolare di una possibile definizione di "pseudoscienza".

Va detto subito che nessuno degli autori che intervengono nella discussione pretende di aver trovato, né ritiene si possano trovare, i criteri necessari e sufficienti affinché si possa dire in assoluto di una teoria o di un’ipotesi se è scientifica o pseudoscientifica. E i più sembrano concordi nel differenziare i criteri di demarcazione tra ambiti di conoscenza diversi (tra scienze mediche, scienze fisiche e scienze della vita, per esempio), nel rispetto della specificità delle loro teorie, delle loro leggi (quando ci sono) e dei loro metodi. I più sono anche concordi nel riconoscere che il problema riguarda meno la logica o la metafisica che non una ragion pratica.

Ma l’idea di tutti è che quella demarcazione si abbia da fare; e che, anzi, non solo sia resa urgente dalle policies nella sanità, dall’allocazione delle risorse in medicina e negli investimenti per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, da scelte e priorità nell’educazione, da questioni legali riguardo alle frodi e da questioni etiche sul tipo di modelli cognitivi destinati a orientare i nostri comportamenti e le nostre decisioni, ma che di fatto sia (spesso tacitamente) presupposta in gran parte delle nostre considerazioni e dei nostri atteggiamenti normativi e valoriali, e non solo quando si parla del ruolo della scienza e dello scienziato nella società.

Questo significa che il problema della demarcazione ci sfida a trovare soluzioni orientative, certo fallibili e revedibili, ma che riguardano in astratto e in generale una definizione di scienza (sia pure in termini di "somiglianze di famiglia" tra le sue unità), del tipo di quelle utilmente adottate, per esempio, dalla National Academy of Sciences, che periodicamente si premura di render pubblici dei criteri in base a cui valutare la "buona" condotta degli scienziati.

Ciò non ammonta a riesumare il mito del Metodo con la M maiuscola, inteso come algoritmo per dedurre verità; quello che Joseph Agassi icasticamente definì una «science sausage machine» (una macchina per fare scienza simile a quella che fa uscire le salsicce da un impasto prescritto in una ricetta). Serve solo a ricordarci che negare il Metodo non appiattisce la scienza su altre forme di conoscenza o di attività umana. Le differenze ci sono, ed è nostro obbligo, anche morale, renderne conto.

Non sto a elencare i numerosi spunti di grande interesse e attualità che questi due libri ci forniscono sia per comprendere le pseudoscienze sia per comprendere la scienza, e intendo concentrarmi brevemente su una domanda: c’è, nell’evoluzione cognitiva umana, una tendenza "naturale" all’irrazionalità, alla pseudoscienza, come qualcuno sostiene? La mente umana è equipaggiata di euristiche semplici e veloci, le cui operazioni configurano una razionalità adattativa, ecologica.

Tuttavia quando queste euristiche operano per risolvere problemi cognitivi astratti e complessi che richiedono una più lenta riflessione, se non c’è il vaglio di una razionalità normativa basata sulla logica e la probabilità, allora l’esito irrazionale diventa quasi inevitabile. Spesso l’autorità epistemica riconosciuta a una pseudoscienza è una scorciatoia alla fine della quale il pensiero trova l’approdo pigro di una credenza.

I rimedi non possono che essere a livello normativo ed educativo, e non possono che consistere nel favorire, pervasivamente, una forma mentis in cui logica, ragionamento, argomentazione ed etica (molto convincente, nel volume sulla pseudoscienza, l’argomentazione del logico Van Bendegem ... per un’«etica dell’argomentazione») trovino una loro naturale consistenza.


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