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VICO CON NEWTON: "NON INVENTO IPOTESI"! E CON SHAFTESBURY, CON LA "TAVOLA DELLE COSE CIVILI"!

VICO, PENSATORE EUROPEO. Teoria e pratica della "Scienza Nuova". Note per una rilettura (pdf, scaricabile) - di Federico La Sala

(...) al di là della contrapposizione della storia sacra e profana, rivelata e ragionata, e al di là dello “stato di minorità” - senza cadute in uno stato di super-io-rità!
sabato 6 gennaio 2024
C’era un lord in Lucania.... *
Se pochi filosofi e letterati sanno dell’omaggio di Ugo Foscolo al filosofo delle “nozze e tribunali ed are” (“Dei sepolcri”, v. 91), moltissimi “addottrinati” ignorano ancora e del tutto che Vico per circa nove anni decisivi per la sua vita ha abitato a Vatolla, nell’antica Lucania (in particolare, nell’attuale Cilento, a poca distanza dall’antica Elea-Velia, Ascea, Paestum, Palinuro, Agropoli) e, al contempo, che James (...)

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> VICO, PENSATORE EUROPEO. Teoria e pratica della "Scienza Nuova". --- Nel laboratorio di Giambattista Vico (di Michele Ciliberto)

domenica 19 aprile 2020

«Scienza nuova». Attraverso l’analisi delle tre redazioni del testo è possibile entrare nell’elaborazione del pensiero del filosofo che ha delineato un’altra via del «moderno» in una diversa prospettiva

Nel laboratorio di Giambattista Vico

di Michele Ciliberto (Il Sole-24 Ore, Domenica, 19.04.2020, p. VIII)

      • PRINCIPJ DI SCIENZA NUOVA. D’INTORNO ALLA COMUNE NATURA DELLE NAZIONI Giambattista Vico Introduzione di Biagio de Giovanni, Belle Époque Edizioni, Napoli, pagg. 526, € 42

Come si sa della Scienza nuova di Vico esistono tre edizioni, quella del 1725, la seconda del 1730, la terza del 1744. Una situazione per molti aspetti eccezionale, paragonabile in letteratura a quella del Furioso dell’Ariosto, del quale esistono, come nel caso della Scienza nuova, tre edizioni, quella del 1516, del 1521, del 1532.

Le diverse redazioni dello stesso testo ci permettono di entrare nel laboratorio di un autore e di vedere in presa diretta come egli lavori, in un continuo farsi del testo, che viene riafferrato nella sua concretezza storica, anche quando ha assunto, come capita ai capolavori, la fisionomia di un classico fuori del tempo in cui è nato e si è sviluppato, reagendo a impulsi e tensioni dell’epoca alla quale appartiene. Naturalmente, non tutte le redazioni stanno sullo stesso piano, né è detto che l’ultima sia, in quanto tale, la migliore.

È un fatto che nel caso di Vico, l’attenzione degli studiosi si sia concentrata a lungo sull’edizione del 1744, preferendola a quella del 1725 e a quella del 1730. A conferma però di quello che dicevo, uno dei meriti più importanti della ricerca contemporanea su Vico è stata la “riscoperta” dell’edizione del 1730, prima sottovalutata, ad opera degli studiosi raccolti nel Centro di studi vichiani fondato e diretto prima da Pietro Piovani, poi, con risultati di notevole valore, da Fulvio Tessitore, il quale ha fornito nel 2002 anche un’edizione anastatica del testo dimostrando il rilievo e l’originalità che esso ha nel pensiero di Vico. Questa anastatica si inseriva a sua volta in un ampio progetto di pubblicazione delle edizioni anastatiche delle principali opere di Vico - per iniziativa del Lessico Intellettuale Europeo, fondato da Tullio Gregory - fra cui, naturalmente, la Scienza nuova del 1744.

Gli studiosi di Vico possono quindi disporre oggi delle edizioni originali delle sue opere più importanti, che possono studiare, agevolmente, nel loro processo di formazione e di sviluppo - cogliendole nella loro specificità, al di fuori, dunque, di prospettive di carattere teleleologico che non servono mai, quando si lavora sul piano della critica storica.

Della Scienza nuova del 1744 è stata pubblicata ora una nuova edizione anastatica ad opera di una piccola, e benemerita, casa editrice di Napoli, Belle Époque Edizioni, che si avvale - e questo mi pare un suo merito non secondario - della Introduzione di uno dei maggiori studiosi di Vico, Biagio de Giovanni, che su questo tema ha scritto pagine che sono un punto di riferimento e che si riflettono anche in questo volume. Penso, ad esempio, all’insistenza con cui de Giovanni batte sulla pluralità delle linee interne a quello che si suole chiamare «Moderno», mostrando come Vico si muova in una diversa, anche volutamente opposta a quella di Cartesio e al «soggettivismo riflessivo» della Mente, spingendo la prospettiva in altre direzioni ben rappresentate dalla famosa battuta di Vico: non è vero che homo intelligendo fit omnia, è vero invece, e lo dimostra la «metafisica fantasticata», che homo non intelligendo fit omnia.

Vico, insiste de Giovanni, delinea un’altra via del moderno, e lo fa scoprendo il territorio della storia. E questo vuol dire che la verità è un farsi, con un «oltrepassamento» quindi del rapporto intellettualistico soggetto-oggetto, con tutti i problemi che questo comporta, a cominciare dall’individuazione del confine tra il preistorico e lo storico, lì dove - ed è un problema cruciale - l’umanità inizia a formare il proprio destino.

Credo che su questo punto de Giovanni abbia ragione: il “moderno” si configura come una pluralità di linee e di tensioni, di cui il paradigma “scientifico” di Cartesio, Galilei, è un aspetto essenziale, ma non esaustivo. È un discorso che si potrebbe fare allo stesso modo per Giordano Bruno, che certo è un pensatore “moderno” ma non ha niente in comune con la concezione della natura, dell’atomo, del minimo di un pensatore come Galilei. Sono molte le linee che hanno portato alla “modernità”.

Al centro di queste pagine, e qui mi pare l’elemento maggiore di novità, è l’insistenza con cui de Giovanni si misura con il problema del rapporto tra la «storia ideale eterna» e la «storia che corre in tempo», cioè tra eternità e tempo, individuato come «il nodo cruciale del pensiero di Vico». Ed è muovendo di qui che de Giovanni scrive le pagine più nuove e interessanti: «entrambe le storie», sottolinea, «stanno ambedue nelle modificazioni della Mente umana», e muovendo da questa affermazione giunge a una determinazione di questa Mente che, opponendosi all’ego cartesiano, si configura come una «realtà collettiva», «una vera potenza della prassi umana». La Mente non si risolve dunque nella coscienza, ha un campo di riferimento molto più vasto: «è piuttosto evento, accadere, realtà collettiva, vitale...».

’Vitale’, lemma centrale in de Giovanni, che, qui come sempre, ha presente come ’fonte’ della sua meditazione sul moderno le pagine di Husserl ne La crisi delle scienze europee: «la Mente», scrive, «nasce per la salvezza e la conservazione della Vita, ecco la storia ideale eterna. È la ragione collettiva, carica di infondatezza logica, che permette la nascita del mondo umano e resta dentro tutto il corso della storia umana». In conclusione, la Mente è «unità di ’storia ideale eterna’ e ’storia eterna’». È il loro rapporto che rende possibile la salvezza della Vita, salvando il finito, mantenendo insieme Logos e physis, Mente e corpo, intelligenza e natura. Una salvezza mai acquisita una volta per tutte.

E qui veniamo a un altro punto importante dell’immagine che de Giovanni presenta di Vico: afferra la crisi del suo tempo, esprimendosi anche con toni tragici, mettendo in evidenza quali possono essere gli effetti della diffusione di una filosofia come quella di Epicuro o del pensiero di Cartesio - tutto riflessione e niente storia -, o dello scetticismo che, spingendo gli uomini a chiudersi nel proprio piacere e nella propria utilità, disgrega le società, con il rischio di passare da «perfetta libertà» a una «perfetta tirannide», e finendo col fare «selve delle città» e delle «selve covili d’uomini».

Rischio sempre aperto, ieri ed oggi: lo sapeva bene Alessandro Manzoni, che nei Promessi sposi, parlando della peste, riprende il lessico, e il motivo, di Vico: «S’immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedicimila appestati... e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichio, come in ondeggiamento... Tale fu lo spettacolo che riempì a un tratto la vista di Renzo...».


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