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VICO CON NEWTON: "NON INVENTO IPOTESI"! E CON SHAFTESBURY, CON LA "TAVOLA DELLE COSE CIVILI"!

VICO, PENSATORE EUROPEO. Teoria e pratica della "Scienza Nuova". Note per una rilettura (pdf, scaricabile) - di Federico La Sala

(...) al di là della contrapposizione della storia sacra e profana, rivelata e ragionata, e al di là dello “stato di minorità” - senza cadute in uno stato di super-io-rità!
sabato 6 gennaio 2024
C’era un lord in Lucania.... *
Se pochi filosofi e letterati sanno dell’omaggio di Ugo Foscolo al filosofo delle “nozze e tribunali ed are” (“Dei sepolcri”, v. 91), moltissimi “addottrinati” ignorano ancora e del tutto che Vico per circa nove anni decisivi per la sua vita ha abitato a Vatolla, nell’antica Lucania (in particolare, nell’attuale Cilento, a poca distanza dall’antica Elea-Velia, Ascea, Paestum, Palinuro, Agropoli) e, al contempo, che James (...)

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> VICO, PENSATORE EUROPEO. Teoria e pratica della "Scienza Nuova". --- MEMORIA DI VITTORIO FOA.

venerdì 18 settembre 2020

VITTORIO FOA, GIAMBATTISTA VICO, E I PRINCIPI DELLA "SCIENZA NUOVA" E DELLA NUOVA ITALIA ....

      • VITTORIO FOA. "[...] Una personalità ben riassunta dalla frase - notissima - rivolta a Pisanò durante un dibattito televisivo: «Se avesse vinto lei - affermava Vittorio - io sarei ancora in prigione. Avendo vinto io, lei è senatore della Repubblica e parla qui con me»" (Ilaria Romeo, cit. - qui, allegato)).

— ***VITTORIO FOA. "Caduto il regime fascista, Vittorio Foa lasciando il carcere donava al suo compagno di cella la Scienza nuova di Vico, con una dedica tratta dal testo: «Per varie e diverse vie, che sembravano traversie ed eran in fatti opportunità» [cf. "Principj di una Scienza Nuova", dedica a Clemente XII, 1730 - fls]. L’eterogenesi dei fini è una regola della scienza sociale moderna, un invito a far leva sui limiti della ragione per cogliere risvolti positivi da ogni evento, anche il più negativo [...]" (Nadia Urbinati, cit. - qui, allegato).


Vittorio Foa: ricordiamo la lezione dei costituenti

Vittorio Foa, l’anticonformista militante

di Ilaria Romeo (Collettiva, 18/09/2020)

      • Foto: Vittorio Foa

Centodieci anni fa, il 18 settembre 1910, nasceva a Torino un politico, un sindacalista, un giornalista e uno scrittore indimenticato. Un uomo che dagli esordi in Giustizia e libertà, passando per la Resistenza, la Costituente, la militanza nella Cgil ha attraversato l’intera storia della sinistra italiana

Amico di Leone Ginzburg, nel 1933 Vittorio Foa si avvicina al gruppo antifascista di Giustizia e Libertà, collaborando con lo pseudonimo di ‘Emiliano’ agli omonimi quaderni pubblicati a Parigi. Arrestato a Torino il 15 maggio 1935 su delazione dell’informatore dell’Ovra Pitigrilli resta in carcere fino al 23 agosto 1943. Padre costituente, deputato socialista per tre legislature, nel 1955 diventa segretario nazionale della Fiom per passare, alla morte di Giuseppe Di Vittorio, alla segreteria della Cgil.

Nel 1970 decide di lasciare gli incarichi sindacali per dedicarsi agli studi (dal 1987 al 1992 è senatore, eletto nelle liste del Pci e poi del Pds, come indipendente). Dirà nel suo discorso di addio alla confederazione: “Voi sapete che questo distacco è difficile. Mi consentirete di non vestire di parole dei sentimenti che sono agitati e profondi. Vi prego caldamente, in ragione di una antica stima reciproca, di dispensarvi da parole di commemorazione o gratificazione. Voglio solo ringraziarvi tutti, e con voi mille e mille compagni noti o sconosciuti, per quel che in tanti anni avete fatto di me”.

“Età e ragioni di salute - affermava nell’occasione - mi hanno indotto a dimettermi da segretario della Cgil. Si è amichevolmente osservato che l’età non si misura col numero degli anni. Resta il fatto che, l’attenzione dovuta al merito che uno ha acquisito con molti anni di lavoro, contraddice la cruda necessità di congedare chi è logorato. Solo rimedio utile per attenuare quella contraddizione è la fissazione di un limite di età oggettivo, impersonale, oltre il quale si deve partire non per incapacità soggettiva, ma per una norma. E in questo caso la norma vale se non vi sono eccezioni. Si è anche osservato che uno deve, per la Causa, sopportare i malanni dell’età e una salute deteriorata. Ma se la salute ha poca importanza per i singoli, essa ne ha molta per l’organizzazione, soprattutto quando si tratta di quel logoramento tipico del lavoro sindacale che coinvolge il modo di lavorare, la calma e la necessaria capacità di percezione dei particolari del movimento, fuori degli schemi generici”.

“La Cgil è stata la sua casa”, diceva il giorno dei funerali l’allora segretario generale Guglielmo Epifani. “Se ne va uno dei grandi uomini del nostro sindacato. Dobbiamo ringraziarlo per tutto quello che ci ha dato e per il senso di libertà che ci ha lasciato. A volte la sua poteva sembrare una speranza disarmata, ma Vittorio ha sempre visto nel fare e nell’agire il legame tra la speranza e il cambiamento (...) Si considerava un operatore sindacale, e la sua più grande preoccupazione è sempre stata quella di avere un sindacato autonomo. Fino agli ultimi giorni aveva chiesto di vederci, di parlarci: non si considerava uno messo di lato, si considerava, ed era, uno di noi”.

A dare notizia della morte di Vittorio Foa sarà, per desiderio della famiglia, l’allora segretario del Pd Walter Veltroni: “È un immenso dolore per noi - dirà - per il popolo italiano, è un immenso dolore per gli italiani che credono nei valori di democrazia e libertà, per l’Italia che lavora, per il sindacato a cui Vittorio Foa ha dedicato la parte più importante della sua vita (...) È un dolore per me personalmente perché Vittorio Foa incarnava ai miei occhi il modello del militante della democrazia, un uomo con una meravigliosa storia di sofferenza, di lotta e di speranza, un uomo della sinistra e della democrazia, mosso da un ottimismo contagioso e da un elevatissimo disinteresse personale (...) Penso che tutto il paese senta Vittorio Foa come uno dei suoi figli migliori”.

Autore di numerosi libri (fra gli altri, Il cavallo e la torre, Questo Novecento, Lettere della giovinezza), Foa aveva pubblicato poco prima della morte Le parole della politica. “Forse - sosteneva nel saggio - il degrado della politica e delle sue parole sta proprio nell’agire pensando di essere soli e nel pensare solo a se stessi [...] Io non credo che si possa insegnare a pensare al resto del mondo, ma pensare se stessi insieme agli altri è l’unico modo per ricostruire i cosiddetti valori”.

È il principio che sta alla base della confederalità della nostra organizzazione, quel principio del quale Guglielmo Epifani diceva in occasione del centenario della Cgil: “L’identità confederale richiede inevitabilmente una ricerca permanente di valori e politiche di unità, partendo dalle differenze; e un’idea alta di autonomia comunque espressa nelle alterne fasi che hanno segnato la storia dei rapporti fra partiti e sindacati. Solo un sindacato confederale - quello di ieri e quello di oggi - può tenere unite dentro di sé le ragioni dei lavoratori della terra a quelli dell’industria, quelli pubblici e quelli privati, quelli del Sud e quelli del Nord, gli emigranti e gli immigrati, i giovani che studiano, i disoccupati, gli anziani e i pensionati. Tutto, proprio tutto, della vita centenaria del sindacato italiano sta qui, in quell’atto, in quella scelta, in quell’inizio. In quell’idea - come ci ricorda Vittorio Foa - per la quale battendosi per i propri diritti si pensa insieme sempre ai diritti degli altri”.

Un uomo particolare Vittorio, fedele ai suoi ideali ma indisciplinato, dal sorriso sornione e l’intelligenza acuta, la mente brillantissima. Affermava lui stesso all’interno del volume Cent’anni dopo. Il sindacato dopo il sindacato: “Nel lavoro della formazione e soprattutto in quella che il dirigente dà agli altri dirigenti, nella continuità del suo lavoro, vi è un elemento molto importante, e non si tratta della disciplina, ma è la lotta contro il conformismo. Non bisogna accusare l’indisciplina. Non c’è niente di male a essere indisciplinati, se nell’indisciplina c’è una volontà. La cosa peggiore è quando la volontà non c’è più, quando si sceglie sempre di dare retta ad altri. L’insegnamento da dare ai compagni è che pensino con la loro testa. Possono anche pensare male, ma l’importante è che pensino con la loro testa. Questa è la vita che io credo di avere vissuto nella Cgil e credo di aver amato nella Cgil più di ogni altra cosa”.

Parole che tratteggiano una personalità straordinaria, fresca, incredibile, originale, di una grande curiosità intellettuale.
-  Una personalità ben riassunta dalla frase - notissima - rivolta a Pisanò durante un dibattito televisivo: “Se avesse vinto lei - affermava Vittorio - io sarei ancora in prigione. Avendo vinto io, lei è senatore della Repubblica e parla qui con me”.


IL SENSO DEL SUD PER LA SINISTRA

di Nadia Urbinati (la Repubblica, 23 marzo 2018)

Caduto il regime fascista, Vittorio Foa lasciando il carcere donava al suo compagno di cella la Scienza nuova di Vico, con una dedica tratta dal testo: « Per varie e diverse vie, che sembravano traversie ed eran in fatti opportunità». L’eterogenesi dei fini è una regola della scienza sociale moderna, un invito a far leva sui limiti della ragione per cogliere risvolti positivi da ogni evento, anche il più negativo. Con le dovute proporzioni, la sinistra del dopo 4 marzo dovrebbe saper vedere nella caduta un’opportunità. Altre volte in passato, la riflessione su "che cosa è andato storto" è stata fondamentale. È evidente che saper leggere implica avere dei criteri di giudizio come antenne; solo così la sconfitta si può fare opportunità.

La questione della rappresentanza sociale - dello schierarsi con chi - è una di queste antenne: la sinistra ha la missione di partire dalla condizione di chi sta peggio per poter correggere in positivo i rapporti sociali. In Italia, questa condizione è propria di alcune fasce (giovani e vecchi) e aree geografiche (il Sud). Ma non basta censire la mancanza cronica di lavoro e una vita di espedienti ( non sempre legittimi) come fanno gli scienziati sociali. Occorre sentire quei problemi e le loro implicazioni, poiché la politica è vicina alle emozioni che guidano le azioni. E un partito deve saper progettare le azioni, non solo dei pochi che lo dirigono, ma soprattutto dei molti che lo seguono o lo votano.

Pensiamo alla " questione meridionale" che molta parte della dirigenza della sinistra sembra aver lasciato cadere, consolandosi col dire "basta ai piagnistei", ci si " rimbocchi le maniche", " l’Italia è ripartita". Pochi anni fa, Roberto Saviano obiettò su questo giornale che quello del Sud «è un urlo di dolore, non un piagnisteo che sembra invece somigliare di più alla cantilena del va tutto bene » . Il Sud come " palla al piede" che deturpa l’immagine di un’Italia che riparte: in anni recenti, questo è stato il sentire della sinistra. E l’abbandono del Sud è stato reciproco, un divorzio. La quasi scomparsa della sinistra era una sconfitta annunciata. Che lo si sia visto dopo, questo è il problema.

Alle origini del fascismo, Antonio Gramsci scriveva che la classe politica era fatta di "dilettanti" che si preoccupavano di eliminare dalla vista ciò che ostacolava il cammino, preferendo magari usare il piglio autoritario: « Non hanno alcuna simpatia per gli uomini [ che soffrono]... Obbligano a soffrire inutilmente nel tempo stesso che sciolgono degli inni alati alla virtù, alla forza di sacrificio e di volontà del cittadino italiano » . E intanto, le forme di illegalità, le periodiche rivolte fanno del Sud un’incognita. Una storia eterna.

La "questione meridionale" non è così misteriosa e neppure una " palla al piede": mostra come con una lente di ingrandimento la disgregazione sociale, lo sfarinamento delle forze associative, che sole possono attivare protagonismo, e opporre una politica di programmi a una di promesse assistenziali. La condizione del disagio deve poter stimolare il sentire per meglio orientare il comprendere.

Ritornare a riflettere sulle politiche sociali, per abbandonare i piccoli stratagemmi elettorali della monetarizzazione del bisogno, per riprendere la via del rilancio di politiche per l’occupazione. E collegarsi con le altre forze della sinistra europea per riportare al centro la condizione di chi è penalizzato dalla globalizzazione. E intanto, aprire le sezioni e ogni luogo di incontro per dare voce a chi è restato ai margini, e rimettere in funzione i radar; tornare a leggere un Paese del quale si sono perse le tracce. Non può essere il premio David di Donatello a farci capire che il Sud c’è e non è una "palla al piede".


SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:

VICO, LA « SCUOLA » DEL GENOVESI, E IL FILO SPEZZATO DEL SETTECENTO RIFORMATORE. Una ’Introduzione’ di Franco Venturi.

VICO, PENSATORE EUROPEO. Teoria e pratica della "Scienza Nuova". Note per una rilettura

Federico La Sala


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