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A DON ANDREA GALLO E A TUTTA LA COMUNITA’ DI SAN BENEDETTO AL PORTO (GENOVA)

A DON ANDREA GALLO, PER SEMPRE. Note di Moni Ovadia, don Luigi Ciotti, Vinicio Capossela, Vito Mancuso, Oreste Pivetta, Gian Guido Vecchi.

In don Gallo si è compiuto il miracolo dell’ubiquità: lui è stato radicalmente cristiano e anche irriducibilmente cattolico, ma potrebbe anche essere ricordato come uno tzaddik chassidico, così come è stato un militante antifascista ed un laicissimo libero pensatore (Moni Ovadia).
lunedì 27 maggio 2013 di Federico La Sala
Il profeta di strada, profeta dei nostri tempi
di Moni Ovadia *
Don Andrea Gallo, mio fratello, ci ha lasciato. Io che non credo ma che conoscevo la sua forte fibra
e resistenza, pure fino all’ultimo ho sperato che il suo sorriso potesse fare il miracolo. Prete da
marciapiede come si è sempre definito, è stato uno dei sacerdoti più noti e più amati del nostro
sempre più disastrato Paese. Non solo per me, siamo in centinaia di migliaia di persone che da
sempre lo abbiamo sentito come un (...)

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> A DON ANDREA GALLO, PER SEMPRE. --- Nel centro storico di Genova, al Carmine, c’è ancora un murales del 1970 dove si legge “Aiuto! Ci hanno rubato il prete” (di Paolo Tavella - Don Andrea, il folletto col colbacco)..

giovedì 23 maggio 2013

Don Andrea, il folletto col colbacco

di Paola Tavella (europaquotidiano.it, 22 maggio 2013)

Sotto le finestre della mia casa nel centro storico di Genova, al Carmine, c’è ancora un murales del 1970 dove si legge “Aiuto! Ci hanno rubato il prete”.

Il prete è Andrea Gallo. Dovrei scrivere “era”, perché è morto questo pomeriggio, ma non so se riusciremo mai davvero a parlarne al passato, non solo per ragioni sentimentali. Una persona più immanente di Andrea Gallo è difficile da pensare. Mi ha sempre riportato all’idea di santità che hanno gli orientali, quella di un’immensa compassione, di un’estrema consapevolezza che tutto è Uno, che il bene e il male sono mescolati e non si può dividere il mondo in santi e peccatori, o almeno non come vorrebbe l’ortodossia.

Don Gallo era stato il vice parroco del Carmine negli anni Settanta, quando venne fuori che nel quartiere c’era una “fumeria di hashish”, ovvero una stanzetta dove alcuni ragazzi si trovavano e fumavano gli spinelli.

Il Carmine confina con una zona molto chic, abitata dalla borghesia di antico denaro, che indignata chiedeva provvedimenti severi contro i capelloni drogati temendo il contagio, senza sapere che molti dei loro figlioli ben pettinati erano già contagiati, eccome. Don Andrea, predicando la domenica successiva, disse che non solo l’hashish è droga, ma anche il linguaggio. Con le parole, ricordò, si bolla una ragazzo difficile o povero come “inadatto agli studi”, oppure si definisce “difesa della libertà” il bombardamento di popolazioni indifese.

Don Gallo era stato salesiano, folgorato da Don Bosco e poi da Don Milani. Appena ordinato sacerdote aveva servito in Brasile, ma raccontava che la dittatura lo aveva scacciato.

Tornato a Genova, fu assegnato come cappellano alla Garaventa, una nave-riformatorio. Su quella nave, che a Genova si evocava per spaventare i bambini (“se non studi finirai sulla Garaventa”), sperimentava un’educazione amorevole e antiautoritaria. Mia madre raccontava che non era raro vederlo alla testa di un piccolo esercito di garaventini in divisa, tutti diretti al cinema.

Sono stati i salesiani a togliergli l’incarico, nel ’64, e allora lui li lasciò, chiese di far parte della diocesi di Genova, fu spedito al Carmine. Ma lì la sua predica sulla droga del linguaggio non fu gradita né ai ricchi né al cardinale, il quale voleva confinarlo a Capraia, dato che a quel tempo l’isola era sotto la sua giurisdizione.

Il quartiere si sollevò, fricchettoni con i capelli lunghi e pie donne si ritrovarono uniti nel chiedere che rimanesse, che non lo mandassero via. Il Cardinale tuttavia restò muto, e irremovibile. Allora Don Gallo rifiutò di obbedire, e si ritrovò per la prima volta “prete da marciapiede”, come poi si sarebbe definito sempre.

Ma don Federico Rebora, un altro grande prete sociale genovese, lo accolse a san Benedetto al Porto, e lì venne fondata una comunità cristiana di base che ha raccolto intorno a sé una folla enorme, e non ha mai chiuso le porte in faccia a nessuno negli ultimi quarantadue anni. Tossicomani, matti, barboni, prostitute, transessuali, devianti di ogni tipo, poveri, migranti, lui accoglieva tutti, li proteggeva, li difendeva, di ognuno sosteneva le ragioni umane ma anche quelle politiche.

Riceveva onorificenze di ogni tipo, fra cui “Persona gay dell’anno”, di cui andava fierissimo. Si schierava dalla parte dei movimenti, senza esitare. Là dove la gente aveva bisogno, o protestava, difendeva un territorio, una fabbrica, un’impresa sociale, arrivava con un gran sorriso, a rallegrare e a predicare, a parlare di Gesù come di un amico suo e nostro. Credeva fermamente che la Chiesa dovesse fare quello che diceva, stare dalla parte degli ultimi, dare voce a chi non ne ha.

Raccontava che il Cardinal Bagnasco, uomo di grande carisma ma anche di fermo rigore, dopo aver scoperto che Andrea aveva prodotto perfino un calendario con le foto delle trans di Vico Croce Bianca, lo aveva mandato a chiamare. Allora, Don Andrea, gli aveva chiesto, che cosa vogliamo farne di questi transessuali? Oh beh, Eminenza, me lo dica lei, aveva ribattuto Don Gallo.

Si è sempre detto che fosse comunista, ma non credo. Di certo era un partigiano nel senso più ampio del termine. Su youtube ci sono molti video come quello in cui si slaccia un fazzoletto rosso dal collo e lo sventola come una bandiera, cantando Bella Ciao in Chiesa, alla fine della messa, con tutti i fedeli a fargli il coro. Lui era così, se vedeva una bandiera degna abbandonata per terra la raccoglieva, la faceva vivere. Ho sempre pensato che fosse sbagliato, come è stato detto, che se non fosse stato prete Don Andrea sarebbe stato un leader politico, intanto perché lui è stato un leader politico nel senso più nobile del termine, e poi perché l’avrei visto piuttosto come un grandissimo direttore di giornale.

Don Gallo era un comunicatore eccezionale, istintivo, intuitivo e fulmineo. Era amico di cantautori famosi come di rapper scatenati, Assalti Frontali e Vinicio Capossela non mancavano di presentarsi al suo compleanno e di esibirsi per il puro piacere di vederlo contento. Aveva imparato come funzionava Facebook e ci si divertiva come un quindicenne, ultimamente seguiva anche Twitter.

Capiva le novità, e lo incuriosivano. Era stato fan della prima ora di mentelocale , il sito fondato da Laura Guglielmi, già collaboratrice del manifesto, che più di dieci anni fa aveva lasciato un posto sicuro al Secolo XlX per il web anche grazie al suo incoraggiamento. Da allora Andrea accompagnato dal suo angelo, Domenico Chionetti detto Megu, si presentava in redazione a tutte le ore, pretendeva di fare i titoli, si faceva fotografare con i giovani redattori, non si perdeva una festa. Laura Guglielmi è stata infatti la prima persona cui ho telefonato quando ho saputo che il Don ha voltato l’angolo. Ci siamo dette: «Come è duro a volte il nostro mestiere, vorremmo piangere e invece ci tocca scrivere».

Il suo ultimo capolavoro è stata l’elezione di Marco Doria a sindaco della città. Lo aveva sostenuto con tutta la sua influenza e il suo potere, aveva bacchettato la sindaca uscente, Marta Vincenzi, che se l’era presa. La sera della vittoria, sui gradini di palazzo Ducale, Marco Doria aveva detto poche pacate parole per ringraziare i cittadini, poi si era materializzato d’un tratto Andrea, come un folletto col colbacco. E quando aveva accennato un passo di danza sapevamo tutti che cosa stava per succedere. Così, ancora prima di lui, abbiamo cominciato a cantare insieme Bella Ciao .


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