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L’EUROPA ...

LA TURCHIA, LO SPIRITO DI PIAZZA TAKSIM, E LA PROVA DI FORZA DI ERDOGAN. Materiali per capire

L’editorialista Cengiz Candar: “È da troppo tempo al potere” “Il premier è isolato e vuole l’escalation si gioca la sopravvivenza”
mercoledì 19 giugno 2013 di Federico La Sala
Erdogan soffoca la piazza
«La tolleranza è finita»
La polizia interviene in forze a Istanbul, centinaia i feriti
Il premier: «Taglieremo gli alberi». I manifestanti tornano a Gezi Park, scontri nella notte
di Umberto De Giovannangeli (l’Unità, 12.06.2013)
Taglierà gli alberi. Sradicherà la rivolta. Praticherà «Tolleranza zero». Erdogan non si ferma. «Toglieremo gli alberi da Gezi Park, saranno ripiantati in un altro posto» ha detto il premier turco davanti al gruppo parlamentare del suo (...)

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> LA TURCHIA, LO SPIRITO DI PIAZZA TAKSIM --- «L’Europa aiuti il mio Paese a preservare la convivenza tra le sue anime. Anche accelerando i negoziati per l’ingresso nell’Ue» (yasemin Taskin). «Ci hanno trattato come terroristi» (Batis Satilmis, Sdp)

giovedì 13 giugno 2013

-  I mille volti di piazza Taksim la rivoluzione senza leader
-  Ecologisti, ultrà, studenti e sindacalisti ma nessun partito-guida
-  Ogni mattina puliscono Geki Parki: «Lo lasceremo meglio di come l’abbiamo trovato»

-  di Marta Ottaviani (La Stampa, 13.06.2013)

      • I giovani di Geki Parki hanno improvvisato persino un ospedale da campo con studenti di medicina e medici volontari La protesta per ora non ha ceduto a provocazioni ed è rimasta calma

Sono come uno splendido mosaico. Tessere che vanno a comporre una società civile e un sottobosco politico di una Turchia ritrovata e che molti temevano perduto per sempre. Le anime che hanno cercato di salvare Gezi Parki e di dare una scossa alla coscienza democratica del Paese sono decine.

I sindacati, che negli ultimi anni sono tornati a assumere un ruolo nella vita quotidiana del Paese, dopo essere stati praticamente rasi a zero dopo il colpo di Stato del 1980. Organizzazioni ambientaliste, spesso in rotta di collisione con l’esecutivo come la Dogan Dernegi, che per anni ha lottato contro la costruzione della diga sul Tigri ad Hasankeyif, nell’est del Paese, o le associazioni di omosessuali, che da tempo accusano il premier di stretta conservatrice sulla vita quotidiana.

Ci sono le tifoserie di Besiktas, Galatasaray e Fenerbahçe, che hanno dato vita a una sorta di «Triplice Allenza», con tanto di sciarpa commemorativa che chissà quando si rivedrà mai. Ci sono i collettivi di studenti delle università. C’è, ed è una delle presenze più importanti, quella «terza Turchia» formata da giovani ma anche da gente intorno alla mezza età. Vengono da movimenti socialisti e comunisti, non si identificano in nessun partito e spesso non votano. Per loro la piazza è il mezzo non solo per protestare ma per riproporre sulla scena politica movimenti schiacciati dai militari e dimenticati dalla gente. Poi ci sono i curdi che non hanno sposato l’atteggiamento neutro tenuto dal Bdp, il Partito curdo per la Pace e la Democrazia, impegnato con il governo e il Pkk in una difficile trattativa per la fine della lotta armata e la soluzione dei problemi della minoranza e che quindi hanno tenuto un profilo basso in tutta questa faccenda.

E c’è il Chp, il Partito di opposizione e di orientamento laico, ma è una presenza minore. È una piazza che non ha riferimento politici in parlamento. Studenti e lavoratori, che hanno occupato facendo i turni, chi poteva veniva di giorno, chi lavorava gli dava il cambio appena uscito dall’ufficio.

Gezi Parki sorprende per la spontaneità con la quale i manifestanti hanno dato vita a un’occupazione che è cresciuta nel tempo, e sorprende per come persone con un background politico, ideologico, a volte anche sociale, così diverso abbiano potuto convivere insieme per due settimane.

L’organizzazione è stata impeccabile. Nella notte fra martedì e mercoledì, mentre la polizia sgomberava Taksim e attorno al parco si ripetevano le scene di guerriglia urbana senza precedenti, all’interno del parco ci si preparava al peggio. Sono stati isolati alcuni viali per dare vita a un piccolo ospedale. Studenti della facoltà di medicina, con dottori volontari, facevano giri di ricognizione per vedere che non ci fosse gente coinvolta negli scontri. Tanta preoccupazione tra la gente, soprattutto i più giovani, ma anche la consapevolezza che le due settimane di rivolta segnano un punto di non ritorno nella storia del Paese. «Abbiamo già vinto - dicono i tifosi del Besiktas -. Qui ci sono tante Turchie diverse che dicono no a una Turchia che non ci piace».

Dal palco dove le sere prima venivano trasmessi dibattiti, documentari e musica, arrivavano inviti alla calma e aggiornamenti sulla situazione. Sono stati proprio loro ad annunciare che l’hotel Divan, di fronte alla parte nord del parco, aveva messo a disposizione la sua hall al personale sanitario, distribuendo anche generi di primo conforto. I più coraggiosi a un certo punto si sono persino messi a dormire «tanto se caricano, con i lacrimogeni prima ci svegliano di sicuro».

Ieri all’alba il parco era semideserto, è tornato a riempirsi ieri sera per quella che potrebbe essere la loro ultima notte insieme. Ma nonostante tutto, alle prime luci del giorno i ragazzi di Gezi Parki si sono messi a pulire come tutte le mattine. «Abbiamo iniziato a scendere in piazza per il nostro parco - dice Hakan, che studia cinema, viene da Ankara, ma che considera Gezi Parki a Istanbul il suo parco comunque -. Il premier dice che siamo dei saccheggiatori. Anche se ci mandano via glielo lasceremo meglio di come lo abbiamo trovato».


Yasemin Taskin

Giornalista e scrittrice turca: «L’Europa aiuti il mio Paese a preservare la convivenza tra le sue anime. Anche accelerando i negoziati per l’ingresso nell’Ue»

«La piazza giovane sfida i padri»

di U. D. G. (l’Unità 13.06.2013)

«A ribellarsi è la generazione degli Anni Novanta, che non accetta la restrizione dei diritti, delle libertà individuali e che si ribella contro chi vorrebbe modificare forzatamente i suoi stili di vita. È una piazza giovane, non organizzata, che si riconosce si ritrova grazie a Twitter, Facebook, i social network». I protagonisti di Piazza Taksim visti da Yasemin Taskin, scrittrice, corrispondente turca in Italia del giornale Sabah.

La Piazza e il Potere. Occupygezi ed Erdogan. Le due Turchie. Cominciamo dalla Piazza.

«È una piazza giovane, tra i 19 e i 30 anni. È la “generazione ‘90”. Sono ragazzi che vengono principalmente da famiglie borghesi, la gran parte di loro sono universitari, ma ci sono anche giovani lavoratori, manager... Sono scesi in piazza perché sentono per la prima volta messi in pericolo i loro stili di vita, le loro libertà individuali. Inoltre, è una generazione che tiene in gran conto l’ecologia, l’ambiente, e anche in questo senso si sentono usurpati dei loro ideali, espropriati di un diritto, quello al verde che ritengono un diritto importante, da difendere. La cosa che li accomuna è l’ecologia, sono i diritti individuali, è una visione delle libertà che fa del privato un fatto pubblico. È una generazione “apolitica”. Nel senso che a Gezi Park non hanno voluto i partiti né i movimenti politici organizzati. Non hanno leader e non si appoggiano a strutture definite. Sono in rete, si organizzano attraverso Twitter, Facebook... Quella in atto è anche la ribellione dei giovani contri i padri. E in questo senso si scontrano con l’autoritarismo del “padre-primo ministro”».

E qui veniamo al potere. E alla sua espressione massima: il primo ministro Recep Tayyip Erdogan. Il premier sembra aver scelto al linea dura. Perché?

«Erdogan sta governando la Turchia da dieci anni. È stato eletto con elezioni democratiche, ottenendo il 49% dei voti. La genesi del suo potere non ha nulla a che vedere con regimi quali quelli contro cui la piazza si è rivoltata a Tunisi come in Egitto. Da dieci anni, economicamente Erdogan ha portato la Turchia a un livello molto elevato. Il Paese cresce in media del 5-6%. Inoltre, Erdogan è un leader molto apprezzato nell’opinione pubblica mediorientale. Per questo definirlo un dittatore è una forzatura. I risultati ottenuti gli danno la forza di sentirsi forte e adesso vorrebbe andare avanti con altri grandi progetti. Erdogan non cerca il consenso, non perché lo ritenga ininfluente, ma perché pensa che lo abbia già. Da qui le forzature operate».

Quali sono quelle che la «Generazione ‘90» ha ritenuto le più intollerabili?

«L’elenco è lungo. La legge contro l’aborto; il divieto sulla vendita degli alcolici, l’annuncio della chiusura del Teatro statale... Tutti questi divieti hanno allarmato la società civile che ha avuto la netta sensazione di una restrizione dei diritti democratici, Quelli a cui ho fatto riferimento, sono solo gli ultimi divieti. Erdogan ha forzato la mano, convinto di avere il consenso per farlo».

Ha così sottovalutato la piazza?

«Più che la piazza, ha sottovalutato l’incidenza di temi quali l’ecologia, le libertà individuali, hanno nel determinare i comportamenti dei giovani, soprattutto quelli delle fasce più acculturate, delle grandi città. E ha sottovalutato la reazione della Turchia laica, delle donne e degli uomini che, sia nell’ambito pubblico che nella sfera privata, sentono che la loro vita sta cambiando. Che qualcuno intende modificare forzatamente i loro stili di vita, omologandoli ad una visione unilaterale che ritengono inaccettabile».

In questo scenario, come dovrebbe comportarsi, a suo avviso, l’Europa. Cosa dovrebbe fare e cosa, invece, evitare?

«L’Europa, a mio avviso, non dovrebbe vestire i panni del “moralizzatore”, piuttosto dovrebbe aiutare la Turchia a conciliare le sue varie “anime”, perché questa convivenza è una peculiarità preziosa del mio Paese, da preservare e rafforzare. La Turchia ha fatto molte riforme per democratizzare il Paese seguendo l’obiettivo dell’adesione alla Ue. E da quando questo obiettivo si è allontanato, si sono rallentate anche le riforme. Riprendere il cammino dell’adesione all’Ue, definendone i tempi, questo sì aiuterebbe la Turchia a sentirsi e ad essere più libera».


«Ci hanno trattato come terroristi»

Il capo del partito socialdemocratico di Istanbul, Satilmis: «Per il premier è campagna elettorale»

di Claudia Bruno (l’Unità, 13.06.2013)

«Alle sette di mattina la polizia ha iniziato un attacco a Taksim. Abbiamo resistito il più a lungo possibile, dopo due ore gli agenti hanno preso il controllo della piazza e hanno assaltato il nostro quartier generale a Istanbul». Batis Satilmis, capo del partito socialdemocratico turco (Sdp) per la provincia di Istanbul, racconta gli eventi degli ultimi giorni, gli scontri tra polizia e manifestanti che hanno segnato una nuova escalation di violenza nel segno della tolleranza zero annunciata da Erdogan.

«Quarantacinque nostri membri sono stati arrestati e appariranno in tribunale entro 4 giorni per la legge contro il terrorismo continua Satilmis -. Sono stati arrestati anche 50 avvocati nel palazzo di Giustizia perché protestavano contro l’assalto a Taksim, cosa del tutto illegale perché la polizia non può arrestare un avvocato senza l’autorizzazione di un giudice». I manifestanti hanno accusato polizia e governo di aver organizzato «uno show a favore di telecamere», trasmettendo in diretta sulle tv nazionali gli scontri tra poliziotti e ragazzi che lanciavano pietre e molotov.

Alcuni dei manifestanti avevano in mano proprio le insegne dell’Sdp. Ma Satilmis non ci sta, anche se non crede alla montatura: «I membri del nostro partito hanno resistito all’attacco, non abbiamo usato molotov. Il governo e i media ci hanno preso come capri espiatori, come provocatori; ma la resistenza è stata una decisione collettiva. Noi siamo un partito legale e non abbiamo alcun legame con organizzazioni armate. Tutti lo sanno ma cercano di criminalizzarci: se ci trattano come terroristi, allora diventa anche normale arrestare gli avvocati che difendono questi terroristi. Esattamente come hanno fatto con i curdi in passato, e quando dico in passato intendo fino all’anno scorso».

Per cercare di allentare la tensione nel Paese, Erdogan ha incontrato un gruppo di 11 persone tra architetti, artisti e accademici. I rappresentanti dei manifestanti (costituitisi nella Piattaforma di solidarietà a Taksim, di cui fa parte anche l’Sdp) hanno però fatto sapere di non essere stati invitati. Per oggi è previsto un altro incontro tra Erdogan e Hülya Avsar, attrice e cantante turca. Una scelta che Satilmis critica: «Qualcuno alla Cnn ha commentato: “È un po’ come se Obama incontrasse Kim Kardashian per parlare di Occupy Wall Street”. Non hanno mai ascoltato le nostre richieste, né considerato l’idea di negoziare con noi.

Erdogan è stato intransigente sin dall’inizio perché ha un atteggiamento da campagna elettorale. Vede tutto questo come una possibilità di consolidare la propria posizione fra i suoi elettori, è arrabbiato o finge di esserlo. Ha usato la retorica del “mio popolo” contro “i vandali”. Ma dopo un po’ tutti hanno capito che è un modo per unire la base dei suoi elettori dicendo “o noi o loro”».

Una retorica che non intacca però la forza del movimento: «Queste persone hanno visto il loro reale potere per la prima volta, hanno visto il potere della resistenza. Dopo tre morti, oltre 5mila feriti e tutta questa crudeltà, la scorsa notte centinaia di migliaia di persone sono scese per strada in tutto il Paese. E il 90% di loro è nato negli anni ’90: queste persone porteranno un cambiamento in tutti gli aspetti della Turchia, dall’arena politica alla vita di tutti i giorni. Possiamo anche perdere ma abbiamo già vinto qualcosa che non potrà più essere tolto alla popolazione turca: il potere della resistenza, il potere delle persone che è più forte di ogni terrorismo di Stato. Possiamo cambiare, ci speriamo».


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